3 ottobre 2012

musica


 

PICCOLO GENIO

Robert Sélitrenny, noto direttore d’orchestra ginevrino diventato luganese come tanti musicisti internazionali, mi ha inviato senza commenti un video che ArcipelagoMilano ha riprodotto in questo numero con il titolo “saranno famosi” e che suggerisco ai miei lettori di guardare cliccando qui a fianco prima di proseguire la lettura; è il filmato di un bambino palesemente orientale, di cinque anni (così lui stesso indica nel filmato e così si direbbe all’apparenza), che esegue al pianoforte pezzi abbastanza complessi con una facilità e una scioltezza assolutamente strabilianti. Tanto da far dubitare che sia autentico e da lasciare nel dubbio che – nonostante la sua apparente credibilità – si tratti di un abile … effetto speciale.

Non è possibile, vedendolo, sottrarsi ad alcune suggestioni e domande: come è possibile che un ragazzino “normale” debba studiare anni e anni, e non gli basti l’intera adolescenza, per arrivare a suonare così? quanta infinita pazienza e fatica servono usualmente, anche all’insegnante, per vedere questi risultati? come fanno quelle manine così minute a suonare insieme e tanto rapidamente tutte quelle note? ma ancor più, come fa quella testolina a capire il senso di quel che suona?

Il ragazzino richiama prepotentemente alla memoria tutto quello che abbiamo letto e saputo del piccolo Wolfgang Amadé, quando il papà Leopold Mozart lo portava in giro per il mondo – dicevano – come una scimmietta ammaestrata, e sappiamo che anche lui era un ragazzino sorridente e allegro, con un’aria da furbetto che sapeva di sorprendere e di riscuotere ammirazione. Ma di lui non abbiamo filmati, dobbiamo lavorare di fantasia. Qui invece il ragazzino geniale l’abbiamo davanti agli occhi, e questo toccarlo con mano ci interroga non solo sul fenomeno degli enfant prodige – di cui conosciamo infiniti esempi nella storia di tutte le arti – ma anche più in generale sulla esecuzione e interpretazione della musica.

Innanzitutto sorprende l’atteggiamento divertito del piccolo pianista; per lui è palesemente un gioco, non traspare né la fatica di suonare né – soprattutto – quella di aver imparato a farlo. Non sembra affatto una scimmietta ammaestrata (probabilmente non lo sembrava neppure Mozart), ha piuttosto l’aria di farsi burla di chi gli sta intorno. Non vi è traccia di quel rispetto o timore reverenziale nei confronti della musica che vengono usualmente inculcati in tutti i giovani che studiano uno strumento. È un nuovo metodo di insegnamento, quello che già produce – anche in assenza di prodigi – un gran numero di musicisti russi e asiatici, dotati di strepitosa tecnica ma non sempre culturalmente adeguati alle loro capacità manuali?

In questo caso, però, non è solo la tecnica che colpisce; anzi, l’esecuzione non è affatto “pulita”, vi sono molte imprecisioni, colpisce la passione che anima il ragazzino, l’intensità della partecipazione, una comprensione del testo profonda, forse ingenua, ma non infantile.

Ascoltandolo e vedendolo si comprende meglio come la grande gioia e la ricchezza che dà la musica non consiste tanto nel testo scritto, né nella sua semplice esecuzione, quanto nella relazione che si stabilisce fra esecutore e ascoltatore, e come questa relazione possa stabilirsi a diversi, diversissimi livelli: dal bambino che si diverte e vuole divertire i genitori, al grande interprete che scopre nuove emozioni nel leggere un testo arcinoto e che riesce a trasmetterle a un pubblico esigente e sofisticato. Senza emozioni e senza la capacità di comunicarle resta solo la banale esibizione di capacità tecniche e l’ossessiva ripetizione delle stesse musiche che riascoltiamo tutta la vita e che ci piacciono solo perché le riconosciamo!

Viene anche da riflettere sulla appartenenza della musica alla natura stessa dell’uomo e sulla capacità di permanervi all’infinito. Come potrebbe mai un ragazzino, probabilmente cinese, “capire” quei due brani – scritti in mondo e in un’epoca tanto lontani dalla sua cultura e dal suo immaginario – se in qualche modo non appartenessero al patrimonio genetico che gli è stato trasmesso? E’ come se la musica entrasse (darwinianamente?) nell’indole della nostra specie e vi lasciasse segni indelebili, capaci di riaffiorare ovunque si trovi un humus adatto e di essere rievocati da chiunque entri in possesso di idonei strumenti.

 

DA NON PERDERE

Domenica 28 ottobre alla Scala la Philharmonia Orchestra di Londra, diretta da Esa-Pekka Salonen, eseguirà due grandi capolavori: la Sinfonia n. 7 di Beethoven e la Sinfonia Fantastica di Berlioz. Il concerto serve a raccogliere fondi a sostegno di Villa Necchi Campiglio (un gioiello di architettura degli anni ’30, di Portaluppi, visitabile in via Mozart 14) e i biglietti sono già in vendita: prenotazioni e informazioni: FAI, Fondo Ambiente Italiano, telefono 02.467615237, e-mail concerti@fondoambiente.it

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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