18 settembre 2012

musica


 

MUSICA PER RICCARDO SARFATTI

Per due volte in pochi giorni, per due straordinarie occasioni, la Triennale ha aperto le porte alla musica; la settimana scorsa fa vi abbiamo dato conto del concerto tenutosi per il centenario della nascita di John Cage, questa settimana ci occupiamo dell’altro concerto, assai diverso, organizzato per ricordare i due anni trascorsi dalla drammatica scomparsa di Riccardo Sarfatti (un incidente in automobile, di notte, sul lago di Como) uomo di cultura, imprenditore e politico, che ha saputo raccogliere intorno a sé amicizia, affetto, considerazione.

Ricordare Sarfatti con un concerto di musica classica potrà apparire strano, ma le seicento persone che si sono assiepate nel Teatro (che ne contiene solo cinquecento, un altro centinaio è rimasto in piedi fino alla fine) hanno tutte capito che per ricordare persone di grandi qualità non vi è nulla di meglio che una bella musica. E – ovviamente – di questa parleremo.

A partire dal programma, scelto con grande intelligenza e fantasia da Sandra Severi Sarfatti, che ha voluto e organizzato il concerto: due pezzi di autori contemporanei – “Il gioco delle perle di vetro” del giovanissimo oboista comasco Piergiorgio Ratti, in prima esecuzione assoluta, ed “Elegia” scritta per l’occasione dal milanese Antonio Eros Negri – che incorniciavano la Moldava di Bedřich Smetana e poi, a seguire, il Requiem di Gabriel Fauré. Il tutto affidato a una orchestra giovanile (la “Antonio Vivaldi” costituita recentemente dallo stesso Ratti e dal ventunenne direttore Lorenzo Passerini), a un ensemble di diversi cori lombardi (la “Policorale Caecilia”), a ben due cori di voci bianche (stupendi bambini e bambine perfettamente istruiti da Dario Grandini e Sonia Spirito) e, per finire, a Noah Sinigaglia (soprano – voce – bianca) e a Niccolò Scaccabarozzi (baritono) che insieme probabilmente non arrivano a quarant’ anni. Dunque una impressionante quantità di ragazzi – e di bambini – che hanno suonato e cantato con grande professionalità in un curioso gioco di rinvii, in quanto la prima parte (per sola orchestra) è stata diretta dal Passerini mentre il Requiem (con cori, soli e orchestra) è stato diretto dallo stesso Negri autore dell’Elegia.

Non credo che sia facile trovare tanta serietà e avere risultati di qualità mettendo insieme un così gran numero di artisti e di compagini poco abituati a lavorare insieme e – per questione di età – con scarsa esperienza professionale. Credo invece che questa città – o meglio questo ambiente lombardo, perché molti di loro sono più comaschi che milanesi – abbia finalmente prodotto una cultura musicale diffusa che comincia ad assomigliare a quella mitteleuropea.

Qui si mescolano tante attitudini. Ricordavo la scorsa settimana le parole di Cage “comporre è una cosa, eseguire un’altra, ascoltare un’altra ancora; e cosa c’entrano l’una con l’altra?” e il concerto di Sarfatti ha fatto emergere da questo milieu lombardo compositori, esecutori e ascoltatori molto speciali: compositori di generazioni diverse con pezzi encomiabili da tutti i punti di vista (soprattutto per la morbidezza del linguaggio, fresco e sobrio, per la costruzione insieme semplice e complessa, per esser musica da ascoltare senza bisogno di sacrifici, godibile – cosa rara – senza tormenti); e poi esecutori generosi, scrupolosi, attenti, consci della sacralità del loro fare e del rapporto speciale con il pubblico (specialmente i bambini e le bambine, quanto impegno e quanta emozione! sembrava di essere a Lipsia, nella chiesa di San Tommaso, quando li istruiva il Kantor in persona per le celebrazioni più importanti); e infine il pubblico, non certo riunitosi per ascoltare musica, accorso solo per affetto o per il ricordo di un amico, eppure così assorto in ascolti anche complessi come il Requiem di Fauré – che per singolare circostanza o per una sottile allusione fu eseguito la prima volta, nel 1888, proprio per le esequie di un architetto – comunque una musica assai poco adatta ad ascoltatori non avvezzi o distratti.

E la Moldava? Scritta durante la misteriosa malattia che accompagnò l’autore fino alla morte, opera della nostalgia per antonomasia, ha un leitmotiv famosissimo ispirato a una antica canzonetta/filastrocca italiana, e diventa inno nazionale di Israele; forse è stata eseguita anche per questo, in memoria della aristocratica origine sefardita dei Sarfatti.

Insomma quante cose si possono dire con la musica, anche solo scegliendola – e senza scomodare le star del grande carrozzone mediatico che le gira sempre più intorno – lavorando con serietà e con impegno, soprattutto con amore.

Grazie, Riccardo, per le tracce che hai lasciato.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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