18 luglio 2012

cinema


 


 

IL RITORNO DEL CAVALIERE (OSCURO)

 

Un trailer elettrizzante ha invaso la rete, le tivù e le radio italiane (e non solo) negli ultimi giorni: Il ritorno del Cavaliere (oscuro). Questa volta, però, Frank Miller non c’entra niente. O quasi niente. A dire il vero, siamo in una simile realtà alternativa – come nelle vicende narrate nel fumetto – nella quale i supereroi sono un poco più vecchi di prima. Il nostro Eroe lo ricordiamo bello, giovane e – perché no – abbronzato, ora staremo a vedere se riuscirà a umiliare il viso leggermente rugoso di Bruce Wayne quando tornò a indossare i costumi di Batman dopo venti lunghi anni.

Per noi, di mesi, ne sono passati soltanto otto, tuttavia è inutile negare la nostalgia pervadente che c’ha devastato. E il rimpianto, se insistente, può farsi patologia incurabile da qualsiasi medicina, guaribile soltanto dall’unzione (estrema) di un re taumaturgico e dalla sua imposizione delle mani (e non solo). Otto mesi di gestazione che, in questo caso, non porteranno a una nascita prematura, ma a una ri-nascita necessaria e inesorabile. Il Superleader, da vero Re Sole, non attende la morte del suo Mazzarino (Angelino, in questo caso) per riprendere le redini del partito, ma si autoproclama: «L’état, c’est moi». Per l’Angelino, niente imposizione della spada, solo un bel calcio nel culo. Con onore, però.

Non dobbiamo temere: l’imperatore ritorna per noi. Mica l’ha scelto per egoismo: «è una scelta che non avrei voluto fare, ma ci stanno spingendo i sondaggi, centinaia di lettere e di messaggi dal popolo dei moderati», dice. Come l’Agilulfo di Italo Calvino, si tiene in vita grazie a una grande forza di volontà e, allo stesso modo del Cavaliere inesistente è invidiato dagli altri paladini perché eccezionale amante. Da vero leader carismatico è pronto a sacrificarsi in prima persona. Per noi. L’abbiamo scherzato, oltraggiato e ci siam messi toghe scarlatte per mal giudicarlo, considerandolo vanitoso come quel sovrano descritto da Hans Christian Andersen nella sua fiaba, e qualcuno ha osato addirittura gridare «il Re è nudo!». Ma quale nudo?! E poi, anche se fosse, sappiamo bene che non sfigura.

Il suo fisico è nerboruto e ben allenato: dieta alimentare ed esercizio fisico per rimettersi in perfetta forma e tornare giovane, da far invidia a Benjamin Button. È Il sogno degli italiani, come recita il titolo dell’opera di Garullo&Ottocento, ma la giusta interpretazione di quel sogno niente ha da spartire con la morte, è il sogno erotico di un corpo attraente e sinuoso. Non nascondiamoci: il Superleader è bellA! È per questo che le madri di Chicago bisbigliano all’orecchio dei propri figli (ma anche delle figlie): «Be Like Silvio», e Michael Jordan è solo un ricordo lontano. Infatti, sul suo volto certamente non si noteranno gli effetti del tempo, e il suo sex appeal sarà immutato come quello della più fascinosa diva di Hollywood. La sua femminilità sexy la notò anche il buon Enzo Biagi: «se Berlusconi avesse le tette, farebbe anche l’annunciatrice». Silvio è una “bella gnocca” che non ha bisogno di una nuova immagine, ci piace così: acqua e sapone. Creperebbe d’invidia la Norma Desmond di Viale del tramonto, sconfitta dalla fugacità della bellezza.

Ritorna il Cavaliere. Snobbando il sarcasmo di chi ancora lo deride pur sapendo di non poter fare a meno di lui. Più che inesistente è dimezzato, torna al suo Paese come quel Visconte un po’ cattivello ma con preziose doti d’umorismo. Quando andò via l’aveva sussurrato a mo’ di Arnold: «I’ll Be Back!». Torna “in campo” come il Bud Spencer di Lo chiamavano Bulldozer, per fare a spallate con il dramma del precariato, e insegnarci L’arte di vincere.

Chissà se nel prossimo capitolo del film, per una volta, lui che è un’icona pop che si crea e ricrea a nostra immagine e somiglianza, non scelga di fare come Kaiser Soze dei Soliti sospetti che «puf… sparisce», «dopodiché, penso che non ne sentirete mai più parlare…».

Paolo Schipani

 

 

CHEF

di Daniel Cohen [Comme un chef, Francia, Spagna, 2012, 84′]

con Jean Reno, Michaël Youn, Raphaëlle Agogué, Julien Boisselier

 

Jacky Bonnot (Michaël Youn) è un giovane cuoco virtuoso e intransigente. La sua rigorosa devozione alla gastronomia tradizionale francese e la sua incapacità di assecondare i palati grezzi e affamati nei piccoli bistrot lo costringono a interrompere costantemente il sogno di diventare uno chef.

Alexandre Lagarde (Jean Reno), cuoco pluridecorato, ha il problema inverso. L’avvento della cucina molecolare mette in discussione il suo trono della cucina francese, trasformando la sua vita costellata da stelle dei critici in un’esistenza più che comune.

La salvezza e il lieto fine per entrambi passano attraverso il consueto e abusato incontro-scontro tra due generazioni.

Daniel Cohen, regista di Chef, ci mostra un menu con solo due portate: Jean Reno e Michaël Youn. In questa pellicola gastronomica manca sicuramente l’ispirazione, un tocco di novità e qualche ingrediente che possa rendere più consistente una commedia che come punto di forza ha solo i battibecchi ai fornelli tra i due protagonisti. Restando in un contesto culinario, Chef manca sicuramente di sale.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Apollo, UCI Cinemas Certosa.

 

IL CAMMINO PER SANTIAGO

di Emilio Estevez [The Way, U.S.A., 2010, 94′]

con Martin Sheen, Emilio Estevez, Deborah Kara Unger, James Nesbitt

 

Tom Avery (Martin Sheen) è un oftalmologo benestante e senza pensieri. L’esatto opposto di suo figlio Daniel (Emilio Estevez), un inquieto ricercatore quarantenne alla perenne ricerca di stimoli in giro per il mondo.

Il padre, troppo remissivo e superficiale, non ha mai compreso le reali aspirazioni del figlio. È solo a seguito della morte accidentale per una tempesta all’inizio del Cammino di Santiago che il genitore si impone di assecondare l’ultima volontà di Daniel.

Tra ingombranti e polemici compagni di viaggio alla ricerca forzata di espiazione e redenzione, l’uomo riesce lentamente a sbarazzarsi di tutte quelle barriere che limitavamo la sua visione del mondo.

Emilio Estevez ha scritto, girato e interpretato Il Cammino per Santiago. La sua scelta di assegnare a suo padre, Martin Sheen, il ruolo di Tom ci rivela una forte componente autobiografica in questo conflittuale e irrisolto rapporto padre – figlio.

Il suo stile alla regia è semplice e diretto, sconfina spesso nel documentario a causa della sua ferma intenzione di far sentire allo spettatore tutta la fatica e la liberazione finale del lungo e commovente percorso catartico.

Marco Santarpia

In sala a Milano: Plinius

 

questa rubrica è a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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