2 luglio 2012

MONTI: PIANO CITTÀ. L’ELOGIO DELLA LENTEZZA


Il governo del presidente Monti ha inserito interventi di riqualificazione a beneficio di 20 città, nel quadro dei provvedimenti per la ripresa economica: IL PIANO CITTÀ. Intervento felice nella logica, perché conferma la città come il luogo propulsore dello sviluppo, per la sua capacità di concentrare creatività, saperi e risorse umane, in sintesi capacità e opportunità. Corollario a questo ragionamento è la constatazione che la spinta allo sviluppo del paese è direttamente proporzionale alla dimensione delle città e alla loro intensità di connessione in rete; una constatazione che rivaluta il virtuoso effetto delle grandi e complesse iterazioni fra uomini e diversità, liberando metropoli e megalopoli dalla maledizione della cultura architettese, che fa delle grandi conurbazioni l’origine di gran parte dei malefici sociali e ambientali.

Meno felice è l’applicazione del piano, a favore di interventi di modesta dimensione economica, poco innovativi, localizzati prevalentemente in singole città di media e piccola dimensione, presentati con un linguaggio più vicino alla cultura assistenziale dei lavori socialmente utili che alla cultura innovativa della rigenerazione urbana, punto chiave delle politiche europee dalla Convenzione di Lisbona a Europa 2020. Nel provvedimento domina la modestia e una sostanziale difficoltà nell’agganciarsi ai programmi europei.

La modestia è in perfetta coerenza con i contenuti del Documento di Economia e Finanza 2012, un saggio su come aspirare a restare a pieno titolo in Europa programmando di viaggiare a velocità ridotta rispetto agli obiettivi comunitari, sopratutto riguardo alla crescita delle risorse umane. Infatti, il documento programmatico rimane al di sotto degli obiettivi di Europa 2020 sia per quanto riguarda le risorse umane (-50% la quota d’investimenti dedicati alla ricerca, +38% la quota degli abbandoni nella scuola primaria, -38% la crescita dell’istruzione terziaria), sia riguardo allo sviluppo sostenibile (perché ugualmente sono più alti sono i livelli di emissione programmati ed è ridotta, anche se in modo non sensibile, la quota di produzione di energia non rinnovabile). Positiva eccezione è la promessa di un Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di CO2 e di un Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

La difficoltà di agganciarsi ai programmi europei è confermata dalla tendenza emersa dai provvedimenti a favore delle smart city per il mezzogiorno e a favore delle piattaforme o cluster tecnologici nazionali, il cui numero e processo di formazione non collimano con le procedure comunitarie. E succede anche con i provvedimenti a favore delle città, che hanno poco in comune con i programmi simili promossi dall’UE.

Questa dicotomia ci costa cara perché: 1) le iniziative nazionali con molta difficoltà contribuiscono alla nostra integrazione comunitaria; 2) il loro accesso ai finanziamenti UE è difficile, per deficit di requisiti, e questo, in momenti di scarsità di risorse, non è un piccolo inconveniente. Eppure la Comunità riguardo alla rigenerazione urbana disegna un chiaro quadro, le cui componenti principali sono: ripensare la morfologia urbana, first people, un modello di sviluppo metabolico, pensare le città come centri di esportazione.

1) Ripensare la morfologia urbana. La tendenza comunitaria è di ripensare lo spazio europeo come un sistema megapolitano policentrico, affidando ai nuclei maggiori il ruolo di generatori di politiche collaborative, in grado di coinvolgere un ampio reticolo urbano. A questo fine il programma connecting invita l’Italia a pensare tre grandi nodi megapolitani (i grandi nodi di connettività) in sinergia con un sistema policentrico di circa 20 città, la cui rigenerazione ad alta qualità è co-finanziata dal Fondo europeo città – regioni. Questo dovrebbe essere il motore di rigenerazione del sistema Italia. E Milano sarebbe un nodo naturale di tale sistema, essendo definita dalla programmazione comunitaria una megalopoli del primo ordine. Occorre essere consapevoli che per affrontare la globalizzazione è indispensabile liberarsi del mito del “piccolo è bello”, a favore di poli megapolitani di alta logistica, ossia con forte integrazione di infrastrutture naturali, immateriali (ad alto livello di TLC) e fisiche (a basso consumo di materia), con sistemi di gestione smart evoluti, capaci di coinvolgere in politiche generative un’ampia nuvola di città. Orientare il nostro sistema amministrativo a questo modello collaborativo non sarà facile, e ancor meno stimolarlo a un dialogo ad alta qualità con l’esterno, ma questa è una delle condizioni della sopravvivenza del sistema Italia;

2) First people. Sarà la parola d’ordine del prossimo programma quadro perché, come ricordano gli urbanisti interpellati in occasione del progetto Randstad 2050 in questo momento di crisi sono improponibili i soliti investimenti in strutture fisiche; occorre riequilibrarli con investimenti per l’economia e le infrastrutture sociali, rivalutando il ruolo dell’educazione e proponendo nuovi modelli di vita anziché piani di sviluppo fondiario. La questione non è “perché è importante investire nella città?” ma “perché è importante investire nella gente“. Si è investito troppo nei luoghi e troppo poco sulla gente”.

Il prossimo FP8 (Framework Programme 8) sarà fortemente innovativo per la crescita delle risorse umane, una vera sfida per gli amministratori pubblici, che sono chiamati a stimolare ambienti di didattica e di ricerca, accademici e non (oggi in stato di discreto torpore, a guardare dal loro posizionamento nelle classifiche internazionali), per stimolare l’innalzamento dello standard della scuola dell’obbligo e di quella terziaria, che non coincide più necessariamente con l’università;

3) Un modello di sviluppo metabolico. Le città sono destinate alla riconversione secondo le regole dei sistemi biologici a ciclo ‘chiuso’ e dell’inclusività dei sistemi sociali, questo porta alla rivalutazione dell’infrastruttura verde urbana e all’aumento della biodiversità, obiettivi supportati dai programmi Life e Natura 2000;

4) Pensare le città come centri di esportazione, quindi generatrici di nuove relazioni e nuova occupazione. Le Pubbliche Amministrazioni devono essere capaci di esercitare una chiara leadership supportata da processi di condivisione, per gestire i reticoli megapolitani in modo immaginativo e collaborativo, per dare vigore all’idea dello sviluppo della città come grande impresa collettiva ad alto saggio di inclusione, in grado di sviluppare intense relazioni a livello internazionale.

È evidente che tra fattori del declino dell’Italia si possano annoverare il localismo escludente delle politiche urbane e l’incapacità delle metropoli a connettersi con le nuove opportunità del mondo globalizzato. Se l’uscita della crisi dell’Italia deve passare attraverso una nuova leadership metropolitana è l’ora del risveglio di Milano, per cui è urgente che:

– il Piano intercomunale avvii il progetto collaborativo della nuova megalopoli policentrica;

– le rappresentanze degli imprenditori si convincano che il mondo non è finito con la deindustrializzazione, guardando ad esempio a Singapore, e riflettano sulle nuove forme di imprenditorialità con cui fare rete nel mondo globalizzato;

– i politici si confrontino con le nuove dimensioni dello spazio della metropoli, i cui confini sono dati dalla morfologia delle risorse naturali, oltre che relazionali e cognitivi, superando l’ideologia della città allargata alla provincia;

– gli operatori dell’istruzione terziaria propongano un serio piano di riforma strutturale di scuole riorganizzate per scopo, capaci di fornire adeguati servizi di long life learning, perché le risorse umane sono il fattore strategico della crescita;

– le risorse naturali diventino la forza guida per lo sviluppo di una megalopoli autosufficiente, dal punto di vista energetico e alimentare.

Non è tutto, ma l’importante è riprendere consapevolezza del ruolo di Milano capitale di una megalopoli del primo ordine, capace di reinstradare il Paese sulla via dello sviluppo, facendolo uscire dalla falsa illusione dei piccoli piani a sostegno dell’edilizia e del poter viaggiare a velocità ridotta rispetto agli standard quantitativi e qualitativi della nostra comunità di europei.

 

Giuseppe Longhi

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti