12 giugno 2012

CITTÀ DELLA SALUTE: I VERI PERCHÉ


Dopo l’annullamento dell’originario progetto della Città della Salute (in origine Città della Cura e della Ricerca), che avrebbe dovuto portare all’integrazione funzionale della Fondazione Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’, della Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori e dell’Azienda ospedaliera ‘Luigi Sacco’ a Vialba, il dibattito sull’opportunità o meno di procedere in quel progetto si è focalizzato sull’individuazione della nuova localizzazione.

Anche chi ha criticato l’approccio ‘immobiliarista’ del dibattito, si è limitato a sostenere le ragioni del lasciare le cose come stanno o dello spostamento da una particolare lettura della sola situazione esistente. Quasi nessuno, però, nel sostenere la propria posizione, ha cercato di spiegare la coerenza d’investimenti, comunque importanti, con i prevedibili sviluppi dell’organizzazione della ricerca e della cura nel medio periodo.

Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie segnala almeno tre importanti convergenze che andrebbero tenute ben presenti nel valutare eventuali integrazioni fisiche e/o virtuali, non solo per il progetto in discussione.

La prima è nella crescente convergenza tra le tecnologie diagnostiche e interventistiche, la cui evoluzione dovrà, anche tener conto dello sviluppo del nanomedicina. Una convergenza caratterizzata da costi sempre più alti di acquisizione, da una più rapida obsolescenza e, di conseguenza, dalla necessità di massimizzare il loro utilizzo.

La seconda riguarda la necessità di far interagire sempre più strettamente le competenze cliniche di chirurghi, internisti, specialisti d’organo o d’apparato, di imaging, di laboratorio, creando équipe che, stabilmente, lavorino in modo sempre più integrato, mettendo in discussione le attuali suddivisioni organizzative, per poter assicurare standard sempre più appropriati di cura.

La terza è la diretta conseguenza dei profondi cambiamenti avvenuti nella ricerca, a partire dalle conoscenze scientifiche indotte dalla genomica, dalla proteomica, dalla metabolomica, ecc… Tutto ciò, ad esempio, ha permesso di capire, come nel caso dei tumori ma non solo, che quella che, fino a poco tempo fa, era ricondotta a un’unica forma patologica di un determinato organo, in realtà, era qualcosa di molto più complesso e differenziato e non sempre riconducibile all’organo in cui si manifesta la malattia.

Tecnologia, cura e ricerca, peraltro, non sono mondi che procedono in parallelo, ma sono fra loro molto interconnessi e dovranno esserlo sempre di più in futuro, attrezzandosi per far lavorare assieme medici, biologici ingegneri, informatici, esperti di tecnologie biomedicali ecc.. Questo, soprattutto, se si vogliono mantenere i livelli di eccellenza delle strutture sanitarie, pubbliche e private, ad alta intensità di cura, che caratterizzano non solo la realtà milanese ma, in generale, quella lombarda.

Le prime due convergenze, per esprimere pienamente tutte le proprie potenzialità, necessiteranno, in larga misura, di condividere spazi fisici comuni, tra soggetti che, pur mantenendo una propria autonomia gestionale, dovranno ‘imparare’ a sviluppare forme di organizzazione funzionalmente integrate. La convergenza potrà riguardare anche le strutture pubbliche e private, anche a partire dal fatto che risultano entrambe, in larga misura, finanziate dal servizio sanitario pubblico.

Altrettanto cogente è l’integrazione fisica per la ricerca, anche se il prevedibile sviluppo della telemedicina consentirà di dare ancor più forza all’obiettivo di far circolare le informazioni senza muovere le persone anche a grandi distanze, di cui si parla da oltre trent’anni nei convegni sul futuro della medicina. La vicinanza fisica e il rapporto diretto tra persone, infatti, resta insostituibile e il mezzo migliore per scambiarsi esperienze, idee e progetti. Questo, inoltre, senza dimenticare che lo sviluppo della ricerca traslazionale necessiterà di una sempre più stretta vicinanza reale tra il bancone del laboratorio e il letto del malato per scambiarsi conoscenze e materiali e definire strategie sinergiche.

Da questo sintetico scenario ne discende una prima considerazione. Le ipotesi ‘stand alone’, se proiettate in un futuro non lontanissimo, presentano, soprattutto per gli istituti monospecialistici, un rischio molto alto di impoverimento sia delle dotazioni tecnologiche/strutturali, sia in termini di competenze professionali. I risparmi immediati, uniti ai vantaggi dei mancati spostamenti delle persone, potrebbero così rivelarsi un boomerang per l’istituzione.

Nello stesso tempo, però, andranno valutati attentamente i costi/benefici delle eventuali integrazioni che si vanno a realizzare, attraverso un confronto trasparente e il più ampio possibile, sapendo che qualsiasi ipotesi presenterà sempre dei pro ma anche dei contro.

Il metro di valutazione non potrà non tener conto, soprattutto di questi tempi, dei costi, ma dovrà essere in grado di esplicitare il valore aggiunto in termini di salute apportato ai cittadini e, anche, al territorio, in una visione che non sia necessariamente confinata dentro la cinta daziaria milanese.

 

Sergio Vicario

 



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