27 marzo 2012

arte


 

MARINA IS PRESENT

Questa settimana il mondo dell’arte milanese ha mormorato sempre e solo un nome: Marina. E la signora in questione è riconosciuta internazionalmente come la regina delle performer, Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997, creatrice di performance scandalose e provocatorie. Va in scena Marina Abramović.

Si è aperta con grande eco internazionale “The Abramović Method”, un evento a metà tra la retrospettiva e la presentazione di un grande, impegnativo nuovo lavoro dell’artista serba. Questo nuova opera nasce da una riflessione che Marina Abramović ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico.

“Nella mia esperienza, maturata in quaranta anni di carriera, sono arrivata alla conclusione che il pubblico gioca un ruolo molto importante, direi cruciale, nella performance”, dichiara la Abramović. “Senza il pubblico, la performance non ha alcun senso perchè, come sosteneva Duchamp, è il pubblico a completare l’opera d’arte. Nel caso della performance, direi che pubblico e performer non sono solo complementari, ma quasi inseparabili”.

E allora ecco che questa volta il pubblico diventa totalmente protagonista e attore. Una ventina di “volontari”, guidati dalle indicazioni della Abramović e dei suoi assistenti, prendono posto in installazioni che ricordano le tre principali posizioni usate dall’uomo: lo stare in piedi, sdraiati o seduti. Seguendo le indicazioni dell’artista, vestiti di camici bianchi e di cuffie insonorizzanti, i protagonisti dell’Abramović Method sono tenuti a stare 30 minuti in ogni posizione, in un percorso fisico e mentale il cui scopo è quello di espandere i propri sensi, osservare, imparare ad ascoltare e ad ascoltarsi.

Ma anche il pubblico è protagonista. Per enfatizzare il ruolo ambivalente di osservatore e osservato, di attore e spettatore, centrale ai fini del concetto stesso di performance, Marina Abramović mette alla prova il pubblico anche nell’atto apparentemente semplice dell’osservazione: una serie di telescopi permettono infatti ai visitatori di osservare dall’alto della balconata del PAC i protagonisti dell’evento, concentrandosi su alcuni particolari.

Una scelta non facile quella di partecipare alla performance, che richiede grande forza di volontà e anche un pizzico di resistenza fisica, oltre che la consapevolezza di “donare” un paio d’ore del proprio tempo all’arte e alla riflessione sulle nostre percezioni.

Ma d’interessante c’è anche il lavoro “The artist is present“, video e riproduzioni della monumentale performance del 2010 che la Abramović fece al MoMA di New York. Per tre mesi, sette ore al giorno, la Abramović è stata immobile e in silenzio davanti a oltre 1400 persone che, una alla volta, hanno avuto l’occasione di sedersi davanti a lei, seduta in assoluto silenzio a un tavolo nell’atrio del museo. I visitatori potevano sedersi di fronte a lei per tutto il tempo desiderato, e mentre l’artista non aveva alcuna reazione di fronte ai partecipanti, la loro reazione era invece il completamento dell’opera, permettendo ai visitatori di vivere un’esperienza intima con l’artista.

Immagini emozionanti, che mostrano come ogni essere umano reagisca in modi assolutamente diversi: chi rideva, chi stava serio, chi aveva una faccia dubbiosa e coloro che invece, molti, si lasciavano andare alle emozioni, piangendo silenziosamente davanti all’artista.

Concludono il percorso una selezione di video con le performance più famose della Abramović, come “Dozing Consciousness“, 1997, “Nude with Skeleton“, 2002, “Cleaning the Mirror I e II“, 1995, “The Kitchen. Homage To Saint Therese“, 2010 e tanti altri.
La scoperta di Marina Abramovic continua poi presso la galleria Lia Rumma, con la personale “With eyes closed I see Happyness“, fino al 5 maggio.

MARINA ABRAMOVIČ The Abramovič Method – fino al 10 giugno orari: lunedì 14.30 – 19.30, da martedì a domenica 9.30 – 19.30, giovedì 9.30 – 22.30; orari turni performance: lunedì 15.00/ 17.30, dal martedì alla domenica 10.00/ 12.30/ 15.00/ 17.30; giovedì 10.00/ 12.30/ 15.00/ 17.30/ 20.00;costi: biglietto unico performance + mostra dal 25 marzo: € 12 Biglietto mostra: € 8 intero, € 6 ridotto

 

 

LA FAMIGLIA ITALIANA VISTA DAL CINEMA

Nel suo primo week end di apertura la mostra “Famiglia all’italiana” ha visto oltre duemila visitatori. Un’ottima partenza per quella che è stata la prima manifestazione legata al prossimo Incontro mondiale delle famiglie, voluto da papa Benedetto XVI, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. Una rassegna gratuita che mostra i cambiamenti della famiglia italiana raccontati attraverso le immagini che hanno fatto la storia del cinema nostrano. Oltre sessanta fotografie, 49 foto di scena affiancate da 21 fotogrammi, per raccontare cambiamenti, evoluzione e sviluppo del nucleo e del ruolo famigliare.

La mostra si sviluppa dunque dagli anni Dieci fino ai giorni nostri, in un percorso cronologico capace di mostrare le trasformazioni che nell’ultimo secolo hanno scosso la società italiana e il concetto stesso di famiglia. “Il cinema tricolore – dice il presidente Fondazione Ente dello Spettacolo monsignor Dario E. Viganò – rende omaggio alla famiglia per quel che è: istituzione dinamica, attraverso cui riflettere in scala i cambiamenti sociali, le increspature del nostro tessuto antropologico, l’ordito esistenziale e la trama relazionale. La famiglia non è un concetto astratto”.

Una famiglia che ha attraversato tutte le fasi della storia, che ne è uscita stravolta, sconfitta, ma a volte anche vincente e rafforzata, unico punto di riferimento in epoca di guerre, conflitti – anche interpersonali – e punto di ancoraggio per i suoi membri all’interno di una contemporaneità che sembra travolgerci all’impazzata.

Se negli anni ’20 e ’30 la famiglia è modello e punto di riferimento fondamentale per regole e comportamenti, con gli anni ’50 e il neorealismo assurge a protagonista la famiglia di ceto medio-basso, un’umanità tormentata e “disgraziata”, che uscirà profondamente cambiata, ma forse anche rafforzata, dal dopo guerra. Si arriva dunque alla rivoluzione degli anni ’60 e ’70 e al concetto moderno di famiglia, con divorzi, sfaldamenti e famiglie più “libere” e allargate.

Ecco allora che attraverso i film di Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Pisolini, Rossellini, Verdone, Tornatore, Muccino, Moretti, Monicelli, Avati, Comencini e tanti altri, si avrà la possibilità di fare una carrellata anche sulla storia italiana, sul suo passato più tragico fino agli sguardi irriverenti tipici del cinema dei giorni nostri.

Famiglia all’italiana fino al 1 aprile Palazzo Reale. Ingresso gratuito. Orari: Lunedì 14.30/19.30; Martedì – Mercoledì –Venerdì- Domenica 9.30/19.30; Giovedì – Sabato 9.30/22.30.

 

 

DA BELLINI A TIZIANO. NASCITA ED EVOLUZIONE DEL PAESAGGIO

Si è aperta la nuova stagione delle mostre a Palazzo Reale, e a inaugurarla è niente meno che una mostra su Tiziano e il suo secolo. Il Cinquecento veneto è stato dominato in pittura proprio da Tiziano, un artista che a partire dalla lezione di Giovanni Bellini e di Giorgione ebbe il merito di aver portato la natura e il paesaggio sullo stesso piano dei soggetti allora ritenuti più importanti (scene storiche, nudi, racconti sacri), aggiungendo quindi un elemento di grande modernità all’interno dei suoi dipinti.

Suo fu infatti l’uso nell’accezione moderna, del termine “paesaggio”, parola che compare per la prima volta nel 1552, in una celebre lettera dello stesso Tiziano all’imperatore Filippo II. L'”invenzione” del paesaggio in pittura, come realtà a se stante, fu una vera a propria rivoluzione. Dallo sfondo quasi riempitivo dei dipinti degli artisti delle generazioni precedenti, visto a volte come secondo piano su cui relegare episodi secondari e piccoli dettagli, passò a essere un vero e proprio piano autonomo. Paesaggi fantasiosi, spesso inventati, ma che permisero agli artisti, Tiziano in primis, di sperimentare un nuovo rapporto tra i soggetti rappresentati e la natura, di farli interagire e di renderli complementari.

“Fino alla prima metà del Quattrocento, nel Veneto, quasi non esistono aperture paesistiche nei dipinti, che non siano generici fondali di verzura, o stilizzate convenzioni, come le onde a ricciolo dei mari in burrasca. Prima del nuovo termine tizianesco, l’ambiente naturale era “paese” e gli artisti dipingevano “quadri di paesi”, cioè degli spazi, dei luoghi, considerati sotto il profilo delle loro caratteristiche fisiche e ambientali”, spiega il curatore della mostra Mauro Lucco. Ecco perché il cammino iniziato da Bellini e concluso da Tiziano e seguaci è così importante, tanto da aver fatto arrivare a Milano una cinquantina di dipinti e disegni provenienti da alcuni dei maggiori musei americani – il Museum of Fine Arts di Houston, l’Institute of Arts di Minneapolis – ed europei – la National Gallery di Londra, la Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, gli Uffizi di Firenze.

La mostra è aperta da due capolavori, la Crocifissione nel paesaggio di Giovanni Bellini e La prova del fuoco di Giorgione, che accompagnano un celebre dipinto giovanile di Tiziano, La sacra conversazione. Fu proprio Bellini il primo a inserire nei suoi dipinti sacri il paesaggio sullo sfondo, distinto però dal soggetto principale, e ben delimitato da drappi, cortine o invisibili valli spaziali. Seguendo il modificarsi della funzione del paesaggio, il percorso si sviluppa poi attraverso le sale, in cui le opere di Palma il Vecchio, Cima da Conegliano, Veronese e Jacopo da Bassano, arrivando alla chiusura con il Narciso di Tintoretto, sono accostate ad altri dipinti di Tiziano, interpreti di questa novità: L’Orfeo e Euridice, La Nascita di Adone, Tobiolo e l’angelo, L’adorazione dei pastori.

Un paesaggio che ha avuto anche una sua declinazione letteraria, grazie a Jacopo Sannazzaro, che in quegli anni compose e pubblicò l’Arcadia (la cui prima edizione del 1504 è esposta in a Palazzo Reale), in cui la natura e la campagna sono descritte come luoghi ameni di delizia e gioia, popolate da pastori e contadini lieti. Italiani ma non solo. Importante dal punto di vista artistico fu anche l’arrivo a Venezia di artisti e opere del Nord Europa, con una diversa sensibilità per il paesaggio: una natura più selvaggia e dura, a volte addirittura malinconica o iperdettagliata, come nel caso del disegno di Brüegel dell’Ambrosiana. E allora ecco concludere con l’ultimo Tiziano, in cui la materia e il mondo stesso sono fervore e movimento. L’invenzione del paesaggio, inaugurata da Giovanni Bellini e Giorgione e sviluppato in modo particolare da Tiziano può dirsi completamente conclusa, lasciando alle generazioni a venire questa straordinaria e rivoluzionaria eredità.

Tiziano e la nascita del paesaggio moderno – Palazzo Reale fino al 20 maggio – orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. e sab. 9.30-22.30 – costi: Intero € 9,00. Ridotto € 7,50

 

KLIMT. DISEGNI PER IL FREGIO DI BEETHOVEN TRA MUSICA E ARTE

Il 2012 sarà un anno interamente dedicato all’artista austriaco Gustav Klimt, in vista del suo 150 anniversario di nascita. Klimt (1862-1918), pittore sopraffino ed elegante, inventore dello stile liberty e padre di quella grande rivoluzione artistica che fu la Secessione viennese, verrà celebrato in tutta l’Austria con una serie di mostre ed eventi a lui dedicati, ma anche nel resto d’Europa, da Parigi a Barcellona, da Londra a Milano.

Ed è infatti Milano che apre le danze klimtiane con una mostra incentrata sul grande fregio di Beethoven, eseguito da Klimt nel Palazzo della Secessione costruito da Olbrich. Il Fregio di Beethoven, lungo 34 metri, è stato infatti qui ricostruito nelle sue parti fondamentali, e accompagnato da 18 disegni originali correlati a questo misterioso e affascinante affresco.

L’originale, custodito a Vienna, fu dipinto da Klimt nel 1902 in occasione della XIV mostra del movimento viennese. L’esposizione, nata in seguito alla creazione della grande scultura policroma di Max Klinger dedicata a Beethoven, fu tutta dedicata alla celebrazione del compositore tedesco, così amato e ammirato dagli artisti secessionisti. Beethoven era considerato l’incarnazione del genio, colui che aveva creato la Nona Sinfonia, incarnazione dell’amore e dell’abnegazione artistica e spirituale.

Ecco allora l’origine del fregio: ispirato dalla Nona, nella declinazione data da Wagner durante la sua esecuzione del 1846, quando Wagner stesso aveva anche descritto nel libretto le immagini che la composizione gli suggeriva. Secondo Wagner solo l’arte e la poesia avrebbero potuto riscattare l’umanità verso una vita migliore. Il fregio ha dunque la stessa funzione liberatrice della musica, in contrasto alla morte e alla decadenza del mondo terreno. Ecco perché il giorno dell’inaugurazione Gustav Mahler venne chiamato a dirigere proprio la Nona Sinfonia all’interno di quella sala.

L’opera si compone di tre parti: L’anelito alla felicità, le Forze ostili e l’Inno alla gioia, la stessa sinfonia che pervade gli ambienti della mostra. Il fregio si pone quindi come la rappresentazione del percorso che il Cavaliere, l’uomo, dovrà affrontare per raggiungere la Poesia, fanciulla affascinante e sensuale, meta del suo cammino. Ma la strada è tortuosa: il Cavaliere dovrà affrontare le Erinni, la Lussuria, la Malattia, il Dolore, il gigante Tifeo ecc. Il Cavaliere arriverà finalmente nelle braccia della Poesia, circondato da un coro gioioso, traduzione visiva dell’Inno alla gioia di Schiller e musicato proprio da Beethoven.

Un tripudio di oro e decorativismo, figure dalle linee eleganti e sinuose, capelli sollevati dal vento, visi taglienti e occhi espressivi, arabeschi e pietre preziose, per arrivare all’opera d’arte totale, che prevedeva l’integrazione delle diverse discipline artistiche (pittura, scultura, grafica, design, arte decorativa e architettura). Qui sembra esserci tutto.

Fondamentali diventano allora i disegni, schizzi e studi preparatori fatti per i personaggi del fregio e per le figure femminili così amate e a volte sfuggenti, che popolano i dipinti di Klimt. Ragazze esili e sensuali, colte in pose naturali, quasi distratte, un esercito di modelle che si aggirava per l’atelier del maestro viennese.

Completano l’esposizione i manifesti originali della Secessione, realizzati dai compagni di Klimt: Koloman Moser, Alfred Roller, Ferdinand Hodler e Leopold Stolba; con anche alcuni numeri di “Ver Sacrum”, lo strumento di divulgazione realizzato dagli artisti secessionisti, rivista/catalogo/opera d’arte totale della loro estetica.

Gustav Klimt – Disegni intorno al fregio di Beethoven fino al 6 maggio, Spazio Oberdan Orari: Martedì e giovedì: dalle 10.00 alle 22.00. Mercoledì, venerdì, sabato, domenica: dalle 10.00 alle 19.30 – Lunedì chiuso Ingressi: intero 8,00 €, ridotto 6,00 / 7,00 €

 

 

LE “GALLERIE D’ITALIA” NEL CUORE DI MILANO

Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che più centro non si può, un altro museo destinato a diventare una realtà importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le “Gallerie d’Italia”, museo-polo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola e Brentani, restaurati per l’occasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto un’intera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate.

Si è iniziato con “Risveglio”, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate all’omonimo dipinto Risveglio (1908-23) di Giulio Aristide Sartorio (di proprietà della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto all’interno del museo. C’è stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala.

Una serata fitta d’impegni, che si è protratta fino all’una di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento.

Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente all’arte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dell’Ottocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dell’industrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti.

Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che già di per sé varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro “I due Foscari“; largo spazio è stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, l’ambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare all’inizio del ‘900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma più neutro e museale.

Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non è finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e all’adiacente Palazzo Brentani, si affiancherà nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiterà la nuova sezione delle Gallerie e vedrà esposta una selezione di opere del Novecento.

Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro città, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un “salotto cittadino” adatto ai turisti, ma, si spera, non solo.

Gallerie d’Italia – piazza della Scala – entrata libera fino all’apertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 – Orari: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Giovedì dalle 9.30 alle 22.30. Lunedì chiuso

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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