18 ottobre 2011

ROMA BLACK BLOC E TRAPPOLE IDEOLOGICHE


A prima vista la giornata del 15 ottobre a Roma è apparsa come un inquietante (ma non del tutto sorprendente) deja vu: a Genova, Atene, Pittsburgh, Roma e così via. Un corteo con centinaia di migliaia di persone pacifiche offre l’occasione a un gruppo di teppisti con un vago nome, ma senza faccia, di mettere a ferro e fuoco intere porzioni della città, sotto gli occhi della polizia che finisce poi per attaccare il corteo principale. Conclusione contusi, feriti e arrestati a centinaia. I cani da guardia dell’ordine costituito che si mettono a ululare, attaccando tutta la sinistra e facendo, con una tecnica ormai collaudata, di fare di ogni erba un fascio. Mentre i responsabili dei partiti di sinistra vengono chiamati a rispondere dei danni e “a dissociarsi”. Intanto il riflettore dell’attenzione riesce a lasciare in ombra le magagne del governo. Missione compiuta, operazione perfetta che viene ripetuta più e più volte. La piazza viene battuta e il movimento che negli ultimi tempi tanto imbarazzo aveva creato sia alla politica che all’establishment dei partiti viene tacitato. Tutto a posto dunque?

No, questa volta qualcosa è andato storto. La prima differenza è che l’opinione pubblica generale non ci sta. I soliti terzini della squadra della Real Casa, sono scattati in massa a lanciare le usuali intimazioni. “Dovete dissociarvi, dire che siete contro la violenza senza se e senza ma” e via geremiando. Già visto, già sentito, ma questa volta la gran parte dell’opinione pubblica ha risposto: “dissociarsi da chi?”. Per la prima volta è emersa in modo molto chiaro la netta distinzione tra un movimento pacifico di massa e un gruppo di teppisti mascherati.

C’è stato un momento topico nella rappresentazione mediatica quando una ragazza di un gruppo di manifestanti, chiaramente provati e sgomenti dopo i fatti, intervistati, credo da La 7, si è fatta avanti con un viso sinceramente dolente, e rivolta alla telecamera ha gridato con totale esasperazione: “mi vedete? Vedete la mia faccia? Noi abbiamo fatto decine di manifestazioni, siamo scesi in decine di piazze, tutti e sempre a faccia scoperta. Loro invece hanno la maschera, la faccia coperta, sono diversi, non siamo noi. Basta chiederci di sconfessare la violenza, l’abbiamo fatto già più volte, siamo noi le vittime”. E questa differenza è apparsa subito chiara a tutti. Meno sembra che alle forze dell’ordine, non quelle sul campo che si sono trovate anche a difendere persino i COBAS, ma ai loro strateghi. Ma soprattutto ai manifestanti: il gioco ambiguo dei “compagni che sbagliano”, non funziona più tagliando un bel po’ di unghie alle teorie della contiguità. Abbiamo visto i manifestanti fermare e consegnare i teppisti alla polizia.

Ma c’è di più, i commenti dei microfoni aperti, della maggioranza silenziosa, non dei giornalisti di sinistra, hanno dimostrato una certa indulgenza persino per le violenze, come se fosse qualcosa di inevitabile, data la situazione. E del resto tutti hanno l’esperienza di sentire anche persone posate dire così, senza enfasi, “andrà a finire a monetine, o con i forconi oppure ancora “non ci resta che andare in montagna”. Questa sensazione diffusa, che io ho sentito ripetere in conversazioni normali da Nord a Sud della penisola, non avrà un rapporto diretto di causa ed effetto, ma è segno di un clima. Che non è però originata nei centri sociali, ma da anni, sui prati di Pontida o nelle assemblee veneziane della Lega. Non nascondiamoci dietro un dito, per favore; va bene dire che non bisogna giustificare le nequizie di Tizio con quelle di Caio, ma qui stiamo parlando di eversione violenta predicata da ministri e persino dal Premier, che nelle sue telefonate private, prospetta, ed evidentemente sogna nei suoi recessi cerebrali l’assalto ai Palazzi di Giustizia (La Repubblica, 17 ottobre 2011). Altro che quattro ragazzetti con i bastoni, qui siamo a Nanni Moretti!

E l’altra diversità è che la legittimità della manifestazione era riconosciuta da molte parti. Ma questo è ciò che ha fatto inferocire la destra di regime, come sempre avviene quando a favore delle proteste si esprimono anche esponenti di spicco della borghesia, pensiamo al massacro cui furono sottoposte Camilla Cederna e la Crespi. Oggi gli oggetti del metodo Boffo sono Draghi, Passera, Guido Rossi, Montezemolo e così via. Che hanno detto di così politically uncorrect costoro? Nulla di più che una osservazione banale come quella che i giovani che si accingevano a protestare hanno le loro buone ragioni. Apriti cielo! Nicola Porro nella trasmissione In Onda pretendeva che fossero i giovani in piazza a sconfessare Draghi.

Il sospetto di un “cordobazo”, da parte degli alti responsabili delle forze dell’ordine, non può essere del tutto accantonato: la testa di chi dirige dal centro del centro le forze italiane dell’ordine e di chi ha la dirigenza politica del paese, ha dimostrato negli anni e sempre più anche di recente, un livello di cinismo spudorato senza limiti, che non può essere ritenuto al di sopra di alcun sospetto. Non si tratta di “dietrologia” (anche se l’indagine dei fini reconditi del potere non può che muoversi in una zona grigia che sta dietro il “front office” delle dichiarazioni ufficiali) ma di sensibilità a esperienze comprovate, a partire da quel che è emerso incontrovertibilmente dai processi per gli eventi del G8 a Genova; che dimostrano che in quell’occasione che chi stava al governo (e ci sta ancora) e chi manovrava le forze in campo aveva tentato una svolta autoritarista per dare una lezione alla temuta piazza.

Oggi però non vale la pena di spendere troppo tempo su questo aspetto, perché è emerso un interrogativo più grande sulla funzione, le capacità e le strategie della polizia, che viene posto da più parti, persino, al di là delle dichiarazioni di maniera da membri della maggioranza e dallo stesso ministro Maroni. Ma anche dall’interno delle forze dell’ordine in campo, che sulla piazza hanno visto cose diverse dal solito e che hanno reagito senza gli eccessi del passato.

Giusto una settimana fa nel mio articolo su ArcipelagoMilano e poi in un testo ampliato su Critica Sociale avevo denunciato le carenze gravi della politica di una maggioranza eversiva, che con tante altre parti dello stato aveva anche indebolito la polizia. Tra i rimedi possibili alla crescente violenza urbana e citavo proprio Roma, indicavo “In primis l’importanza della presenza della polizia, diretta però a scoraggiare i reati, non a riempire le carceri di futuri delinquenti recidivi. Sembra una banalità, ma va ribadita a fronte delle sciocchezze, come le famose ronde, che hanno inzeppato le pagine dei quotidiani lasciando a secco le pattuglie di polizia”. Mi spiace citarmi, ma i fatti mi hanno dato ragione, e oggi anche la polizia si lamenta dei tagli, ma questo sarebbe normale, se non venisse alla fine di una lunga serie di episodi di “serbatoi vuoti”.

Non vorrei mettermi a dare lezioni alla polizia che sa il fatto suo, ma qualche domanda viene. Non occorre essere Zhuge Liang per capire che ci vogliono altri mezzi, che la polizia ha, come lei fa correttamente notare. Alessandro Plateroti vicedirettore del Sole24ore ha sottolineato che le manifestazioni a New York sono state molto meno violente. Io penso che lì la polizia, che non è certo dolce, posso assicurare, è molto più preparata a gestire questi problemi. Oltre al mazzuolo la polizia ha informatori, infiltrati, intercettazioni eccetera, qui come a New York. Possibile che non riescano a isolare e rendere innocui (da prima!) gruppi che per il solo fatto di essere organizzati sono vulnerabili. Sempre Plateroti ha fatto vedere le istruzioni per la manifestazione sul sito dei Black Bloc. La polizia non li aveva visti? Mah!

Non è facile dare una interpretazione salda di quando avvenuto né una ricetta convincente. Voglio solo invitare a non impigrirsi nella ripetizione dei topoi ormai quasi cinquantennali che ci ammanniscono i vari Ostellino, Battista, Porro eccetera e a fare uno sforzo per capire che oltre a elementi costanti, che sono stati ben codificati dagli studiosi che per molti anni hanno studiati i movimenti politici, le naïvetés dello spontaneismo, i rischi delle deviazioni e infiltrazioni violente e via dicendo, gli eventi in corso offrono elementi di assoluta novità che vanno osservati con attenzione. Ma grande attenzione deve essere dedicata alle risposte del mondo politico: se la risposta sarà solo di vecchie pratiche di polizia e se i partiti progressisti si faranno intrappolare nelle vecchie logiche delle chiamate di correo, la tensione sarà destinata a salire e forse supererà i limiti del confronto civile, lasciando aperte le porte alla violenza, che questo movimento non vuole.

 

Guido Martinotti

 



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