19 luglio 2011

Scrivono vari – 20.07.2011


 

Scrive Fiorello Cortina a Guido Martinotti -Trovo molto lucida l’analisi di Martinotti, a partire dal saggio di Michels, che ripropone per intero la questione delle antropologie e delle dinamiche relazionali da “branco” che, se non risolte, impediscono di pensare alla costruzione di un soggetto politico popolare e riformista. Capace cioè di assumersi responsabilità di governo e di proposta guardando agli interessi generali e non in funzione di se stesso o degli interessi particolari che lo sostengono/esprimono. E’ altresì saggio il suggerimento che fa ai dirigenti dei partiti affinché si propongano “ma con molta umiltà, come attore importante, ma non egemonico, in una situazione in flusso, in cui i partiti e i movimenti e i nuovi raggruppamenti devono convivere: i vecchi partiti devono imparare a navigare in questo mare i nuovi movimenti devono, se vogliono consolidarsi, evitare i modelli del passato.”

Questo è il nodo politico, la questione, che propone Martinotti e riguarda le forme della partecipazione alla azione politica, la definizione della sua proposta e l’espressione del gruppo dirigente che deve attuarla. Sul piano locale l’esperienza milanese ha fatto saltare ogni calcolo omeostatico, nonostante le fondate denuncie di Onida sulle primarie “chiuse”, così una rete di partecipazione civica informata ha avuto una funzione decisiva, solo parzialmente evidenziata dal positivo successo della lista civica. La natura della legge elettorale per i sindaci e i consigli comunali ha consentito questo protagonismo, questo “flusso”.

Credo che anche a livello nazionale il cambiamento della legge elettorale sia la pre-condizione perché questo flusso possa divenire un processo fondativo, cosa che con l’Ulivo ’96 non è stato. Per queste ragioni la questione referendaria per l’abrogazione e il cambiamento della legge elettorale “porcellum”, non può essere lasciata alla competizione tra le cordate che si contendono le rendite di posizione consociative del PD, ma riguarda tutti coloro che hanno a cuore la democrazia repubblicana come democrazia partecipata e non solo delegata.

Berlusconi ed il berlusconismo sono stati l’esito più probabile del disastro nel quale ci troviamo, la causa sta nei partiti popolari, DC, PSI, PCI, PRI, e nei loro gruppi dirigenti. Non solo, a parte il PSI con la convention di Rimini, non avevano capito la crisi/passaggio della società industriale e del modello sociale a essa legato, così come non avevano colto le implicazioni di globalizzazione dei mercati accelerate dalla caduta del muro e dell’URSS, ma non avevano capito il ’68, a parte Moro, il ’77 e i movimenti organizzati come i Radicali, i Verdi, la Rete, che giudicavano solo per il peso elettorale e li consideravano ancellari e non indicatori di una crisi di forma e di contenuto della proposta politica che essi esprimevano. La sfrontata arroganza intellettuale e politica di D’Alema ben richiamata da Martinotti “Io non conosco questa cosa, questa politica che viene fatta dai cittadini e non dalla politica” ha il pregio di essere esplicita ma nella pratica conseguente non è dissimile da quella dei suoi competitor interni. Questo è il nodo da aggredire dentro il crepuscolo berlusconiano, altrimenti il processo nuovo che tanti auspicano sarà di nuovo pregiudicato.

 

Scrive Domenico Capussela a Giuseppe Ucciero – Della tua lunga argomentazione di oggi prendo solo due parole: ” il buon Bersani “. Non ho mai sentito definire “buon” De Gaspari, Andreotti, Craxi ed anche il berlusca. Noi dovremmo affidare il nostro futuro di sinistra ad un individuo GIUSTAMENTE definito ” buon “. Ma per carità!!! Ps: d’accordo che questo che passa il convento, ma vi è un limite a tutto

 

Scriva Marco Proverbio a Jacopo Gardella – Complimenti a Jacopo Gardella, che ha fatto un’analisi puntuale dello scenario connesso al progetto di riapertura dei Navigli. Come Associazione Culturale il Multiverso, che promuove il progetto “Cuore di Milano”, tramite una mostra fotografica, partecipiamo alla discussione con un articolo pubblicato sul nostro blog, che aggiunge alcune considerazioni alle tematiche da lui esposte. L’indirizzo é: http://cuoredimilano.wordpress.com/2011/07/17/riapertura-dei-navigli-dopo-il-voto-linee-guida-su-cosa-fare-adesso/

 

Scrive Roberto Gambini a Jacopo Gardella – Io sono un Milanese che da molti anni vive a Zurigo ma che si ricorda benissimo (ho settantaquattro anni) di quando una parte dei Navigli era ancora visibile in città e la deliziava. Li hanno coperti: che perdita! A Zurigo hanno pensato di fare qualcosa di meglio: l’unico che avevano e che ancora hanno, l’hanno tenuto aperto e l’hanno trasformato in una deliziosa passeggiata nel vero centro cittadino. Vorrei anche aggiungere che Zurigo ha un bel lago e due fiumi… ma il naviglio, o canale che dir si voglia, l’hanno comunque tenuto aperto e, con gli anni, notevolmente migliorato. Già nel 1650 nasceva come fossato che accompagna le fortificazioni: il suo percorso deve essere stato modificato perché ora, dopo un percorso di circa mille metri, sfocia nel fiume Sihl. Il canale esce dal lago e si inoltra nel ‘centro’ della città. La passeggiata, un metro sopra il pelo dell’acqua, si sposta da un lato all’altro del canale, secondo gli edifici già esistenti. Sarebbe stupendo se qualcuno al Comune dedicasse anima e corpo alla restaurazione di qualche chilometro di Navigli, sulla falsariga di quello di Zurigo.

 

Risponde Flora Vallone a Francesco Borella e a Flavia Cavaler, – Oltre le parole di Borella, leggo altri contributi sui temi del Verde e della Qualità urbana a Milano che mi chiamano in causa e che volentieri riscontro. Due le ricorrenti considerazioni: da una parte la certezza che si possa e debba costruire una città più bella, attrattiva, efficiente, dall’altra il fatto che “gli uni sanno/fanno meglio degli altri”. Siamo ancora all’atavico campanile? o manchiamo delle necessarie informazioni che ci consentano di capire, dire, fare, super partes e con serietà e intelligenza?

Milano ha capacità e voglia di essere migliore e non può permettersi di perdere tempo tra pregiudizi, mistificazioni, disinformazione. Ha necessità di abbandonare gli antagonismi sterili, le logiche di parte, le rendite di posizione, tutto ciò insomma che è interesse privatistico e abbracciare invece l’Interesse Generale (virtù perduta? scrive Galli della Loggia sul Corriere della Sera) Occorre uscire dal gioco delle parti (cittadino – amministratore, professionista – ufficio tecnico, immobiliarista – ambientalista, esperto interno – esterno, …e tutte le altre possibili combinazioni) e ragionare insieme sulla base di fatti, competenza, interesse reale per il Bene comune, per riconoscere e distruggere i moloch che ormai da troppo tempo impediscono a Milano -città ricca di idee, risorse anche economiche, capacità di impresa, capitale del ben fatto, tra moda e design – di progredire e vivere bene.

Cara Cavaler sono vent’anni che giro il mondo per scoprire il “segreto” delle altre città. Ho portato studenti all’estero e paesaggisti internazionali a Milano per vedere e capire come si progetta lo Spazio Pubblico, e a forza di parlarne e scriverne da anni e in più sedi, siamo riusciti almeno ad affermare il tema, a far comprendere all’Amministrazione comunale che oltre la casa, il giardino, la strada, il parcheggio (tutti presidiati da appositi uffici) esiste lo Spazio Pubblico che è ovunque, pervasivo ed esteso, ma totalmente ignorato, quantunque -e spesso- ben più significativo, ai fini della qualità urbana, che non i singoli ambiti.

E ciò è condiviso, dalla precedente e attuale Amministrazione che hanno riconosciuto il valore di un nuovo Settore appositamente costituito per attivare la Pianificazione integrata degli spazi aperti e il Partnerariato Pubblico Privato; un Settore quindi che non progetta, non realizza, non fa manutenzione (e quindi non pianta alberi, non costruisce piazze, non posa arredo urbano, tutte attività che sono gestite dai colleghi degli uffici tecnici), ma ascolta la città, definisce strategie / piani, redige documenti ordinatori per la gestione dello Spazio Pubblico, in coordinamento con tutti i soggetti attuatori che, a vario titolo, quotidianamente lo costruiscono, lo trasformano. Obiettivo: rendere coerenti progetti / opere / manutenzioni gestite da privati e uffici comunali per ottimizzare tempi / costi / risultati.

Sono così stati predisposti alcuni piani ordinatori mai prima realizzati (Piano del verde, Piano della Qualità urbana, Piano del Colore, Manuale Raggi Verdi), definiti nuovi tipi di arredo di concerto con gli Enti e i privati interessati (e che li hanno realizzati a loro spese); in coordinamento con gli uffici competenti, sono stati portati in revisione molti progetti inadeguati (piazze, sistemazioni superficiali di parcheggi, aree mercatali, …) che sono stati implementati (senza ulteriori costi) di nuovi alberi, aiuole, panchine, e altri equipaggiamenti urbani funzionali alla attrattività e fruibilità dello spazio pubblico. E sul verde, in collaborazioni con i colleghi e la città, si è realizzato quello che Borella non sapeva -o non ha gradito sentire- e che Kipar e molti altri in città, informati e privi di lenti deformanti, invece riconoscono. (Perché liquidare con “piccole clientele locali” l’innovativo modello di Governance costruito tra Comune di Milano e realtà locali nel Parco delle Cave? Come non apprezzare gli agricoltori tornati a coltivare fieno e campi fioriti, ad allevare cavalli e altri animali tra l’interesse di famiglie, scolaresche, finanche professori universitari che de visu controllano l’esito delle loro proposte scientifiche? Perché ignorare il valore della presenza di più associazioni in parchi contigui e la ricchezza dei loro diversi apporti? Forse che biodiversità è bene solo quando si parla di animali e piante? mentre per gli uomini prevale gli “uni contro gli altri”?)

Tornando alla qualità urbana, certo moltissimo è ancora da fare; cinque anni sono pochi per rinnovare obiettivi e prassi operative e la città è grande e dà / richiede molte possibilità di intervento. Oltre quelle puntuali che segnalano Kipar, Gardella, Repellini, Vallara (e che ben conosco, essendo in buona parte già oggetto di appositi piani / progetti) insisto nella necessità di attivare un processo di ottimizzazione che consenta di gestire lo Spazio Pubblico, senza disperdere risorse. L’Assessore Castellano dice: visto il bilancio faremo il minimo indispensabile. Comprendo, e a maggior ragione suggerirei di ottimizzare, non solo ridurre. Con lo stesso buon senso del padre di famiglia bisogna mantenere alta l’attenzione sulle spese, non solo riducendole ma evitando quelle mal effettuate, che non sono solo le superflue ma quelle che si potevano fare diversamente ottimizzandone modi / tempi / risultati.

E quindi, fare qualità urbana anche ricorrendo a: Fare bene. Perché posare file di nuovi dissuasori e pali, orrendamente ancorati al suolo? Perché utilizzare materiali e colori i più disparati, invece che normarne tipi / codici RAL? Fare sistema. Perché non piantare alberi in coordinamento con gli scavi per sottoservizi? Perché non sistematizzare (a costo zero) la messa in sicurezza con la riqualificazione anche pittorica (Piano del Colore) di sottopassi e muri degradati? Fare in PPP (Partnerariato Pubblico Privato). Perché non predisporre le aiuole che hanno già sponsor in attesa di prendersene cura? Perché non sistematizzare la collaborazione di condomini e associazioni di via per la cura dello spazio pubblico loro antistante? Perché non predisporre meccanismi do ut des di occupazione del suolo pubblico (i tanti bar e dehors su strada) con la cura del verde circostante, anche nei parchi cittadini? Tutte attività, tra le tante che abbiamo attivate, sempre trovando la città più disponibile che non gli uffici comunali. (e che, se interessano, vanno codificate approvando – con tutte le integrazioni che si riterranno utili – il Piano della Qualità Urbana, già predisposto anche per l’integrazione al nuovo Regolamento Edilizio). Già approvati invece, sempre in PPP, la Colletta civica per nuovi alberi, i nuovi Orti-giardino, collaborazioni anche con Istituti carcerari, che hanno già avuto l’ok dell’Assessore Maran e partiranno a breve.

In sintesi, Milano necessita di Informazione (vera e tempestiva, e ben vengano i siti come questo!), Partecipazione (allargata e ben governata), Competenza (specialistica e super partes), Regia (che non può che spettare all’Amministrazione), quali integrazioni indispensabili e urgenti al processo di Governance delle trasformazioni urbane. Alla scala attuativa, non certo decisionale che rimane sempre subordinata all’Idea di Città che: deve esistere, essere chiaramente esplicitata, essere condivisa e verificata attuabile, anche superando bruschi cambiamenti di rotta, o, peggio, inane indecisioni che lasciano la città in balia degli interessi particolari.

Ormai perdute le Città ideali calate dall’alto di progetti ad hoc e i borghi spontanei alimentati dalla vita materiale di chi ci vive, e che tanto bel paesaggio italiano hanno costruito, non possiamo che fondarci sull’ Interesse generale e su quello costruire obiettivi forti quanto flessibili per la Città che occorre, ricostruendone, nel rispetto della sua storia e identità, un nuovo bel paesaggio. NB. Titolo e firma del mio precedente contributo erano diversi da quelli pubblicati: “Verde e nuove prospettive dopo il referendum” firmato come Direttore del Comune di Milano. (Non già quindi i fuorvianti: “Bilancio di fine mandato” firmato da un “già Direttore”).



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