24 ottobre 2017

QUASI VINCITORI E SICURI PERDENTI DEL REFERENDUM

Un futuro più incerto che mai


Alle ultime elezioni lombarde ha votato il 76% degli elettori pari a 5.938.044 elettori; al referendum costituzionale renziano dello scorso dicembre hanno votato 5.552.510 elettori, Maroni ottenne 2.456.921 voti e le sue liste 2.328.809. La partecipazione ai precedenti referendum ha visto numeri oscillanti: 2.838.957 elettori al referendum Modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione del 2001, 1.989.269 del 2005 sulla Procreazione assistita; 4.513.591 nel 2006 Approvazione legge di modifica alla parte seconda della Costituzione; 1.763.111 nel 2009 Referendum sulle leggi elettorali; 4.057.600 nel 2011 Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

02marossi_35A questo referendum hanno votato 3.022.101 lombardi. Considerando che vi è stata una indicazione politica per l’astensione da parte di diverse forze politiche e che in generale il mondo dell’informazione è stato molto tiepido rispetto al quesito considerato alla stregua di un maxisondaggio, tutto si può dire ma non che sia stato un flop.

Il tema dell’autonomia passato in secondo piano da anni, complice anche il declino della Lega e le sue modeste performance amministrativo/governative torna prepotentemente in auge, rivelandosi un elemento centrale dell’orientamento politico degli elettori, più evidente in Veneto che in Lombardia, più evidente nelle provincie che nelle metropoli, ma nessuno potrà domani prescinderne. Notizia pessima per il governo e lo schieramento politico elettorale che lo sostiene che in questi anni al di là degli schieramenti di facciata ha sempre dimostrato un attitudine centralistica. Vi è stata una indubbia sottovalutazione dell’importanza del referendum da parte del Pd e poiché in politica gli spazi vuoti non esistono questo spazio è stato occupato dal centrodestra, che ha fatto politica.

Tralascio tutti i ragionamenti sui flussi dei voti, analisi che ha un che di esoterico così come quelli sulle differenze tra il dato di Milano e quelli della regione perché è cosi dai tempi del sindaco Mussi e della sua giunta masson radical repubblican socialista.

Tuttavia definire chi ha vinto non è semplice perché mai come questa volta essere collocati tra i vincitori non dà buoni auspici per il futuro, mentre è chiaro chi ha perso. Potremmo quindi parlare di quasi vincitori e di sicuri perdenti.

Quasi vincitori:

1) Maroni che impone un tema quello dell’autonomia sul tavolo delle elezioni regionali e politiche del prossimo anno, smentendo parzialmente la linea politica del suo segretario tutta improntata al sovranismo e allo scimmiottamento delle destre europee più populiste. Bisogna vedere se questo non gli creerà problemi di relazioni con il suo partito e se la sua posizione di leghista a trazione democristiana non sarà messa all’angolo dal suo collega Zaia.

2) Gori che scegliendo di andare a votare delinea una strategia di attenzione alle tematiche care al centrodestra con l’obbiettivo di accreditarsi come candidato autonomo dal suo partito e capace di ottenere consensi anche al centro. Scegliendo di rompere con gli astensionisti Gori si accredita come leader di un futuro centrosinistra lombardo, figura che manca dagli anni ’80. Gori ha chiarissimo che le elezioni lombarde sono a turno unico e che quindi bisogna presentarsi come un candidato pigliatutto, nient’affatto schizzinoso in termini di schieramento, supporter e linea politica. In termini di marketing politico una scelta intelligente che però confligge con l’interesse dei suoi compagni di partito e di coalizione impegnati nelle elezioni politiche che hanno tutt’altra dinamica. Bisogna vedere se questa scelta di Gori non provoca una rottura con la sinistra del suo schieramento ma ancor più una silenziosa rivolta dei suoi compagni di partito.

3) Berlusconi che quasi senza uscire di casa si ritrova leader di uno schieramento nel quale il suo ruolo di mediatore tra moderati e radicali viene valorizzato. Bisogna vedere se questo sbilanciamento a favore di una visione “nordica” non gli creerà problemi con l’ala meridionalista del suo partito e se sopratutto non complicherà la già difficilissima identificazione dei candidati di collegio della sua coalizione.

4) l’ex sindaco di Milano e la sinistra radicale. Schierata senza tentennamenti per l’astensione vede confermata la sua presa su una parte consistente dell’elettorato a prescindere dal peso delle singole sigle partitiche. In pratica vi è un idem sentire del variegato mondo del sinistra-centro a trazione antirenziana che è fortemente radicato nell’opinione pubblica in particolare milanese. Bisogna vedere se riusciranno nella difficile impresa di superare gli ostacoli frapposti dal “rosatellum” ovvero se non favoriranno oggettivamente il centrodestra regionale e nazionale.

5) Movimento 5 Stelle. Schierandosi moderatamente per il si con posizioni ancorpiù moderate circa il residuo fiscale hanno dimostrato di essere molto meno barricadieri e più politici di quanto finora accreditati. Bisognerà vedere se questa moderatezza lombarda incontrerà i favori dell’elettorato di protesta che finora li ha premiati nelle elezioni politiche ma non in quelle locali. Ricordo che alle comunali milanesi hanno preso 52.000 voti contro i 112.000 di quelli presi alla Camera.

6) Maurizio “sughero” Martina. Scegliendo di parlare di deriva catalana ed esprimendosi subito come uomo di governo contro le richieste dei veneti, ribadisce in primis a Gori e poi a tutta la nomenclatura che lui è l’unico leader nazionale PD in regione e più in generale al nord, primo bergamasco ad “egemonizzare” il milanese dai tempi di Bartolomeo Colleoni, l’unico parlamentare che conta su piazza, l’unico dotato di autonomia anche rispetto a Renzi di cui è potenziale erede e con il quale è d’uopo mantenere buoni rapporti anche per l’incerto dopo elezioni nazionali. Vero erede delle tradizioni politiche della prima repubblica; bisognerà vedere se il confronto/scontro con Gori non si trasformerà in un boomerang magari per entrambi.

7) Movimenti civici o dei sindaci e delle loro liste. Questo variegato mondo conferma di essere flessibile e capace di cogliere gli orientamenti dell’elettorato moderato che guarda al centrosinistra. La scelta di schierarsi con Gori sia sul referendum sia sulle primarie ritenute inutili, da spessore politico al civismo. Bisogna vedere se questa scelta che in parte smentisce un certo radicalismo ambrosoliano non aprirà crepe nel raggruppamento al momento fondamentale per qualsiasi ipotesi di vittoria elettorale del centro sinistra in Lombardia.

Sicuri perdenti:

1) il Pd lombardo e milanese. In una consultazione che prevede un o un no, il Pd opta per il ma, riuscendo a schierarsi su tre posizioni il si, il no, l’astensione. Non proprio un esempio di chiarezza d’idee. Abbastanza clamorosa la totale assenza nella campagna elettorale, scientemente decisa per evitare rogne, ma certo sintomo di debolezza. Limitarsi a parlare dei costi e dell’inutilità del referendum è stato un errore clamoroso sia in Veneto che in Lombardia. Certo si potrebbe dire che la pluralità di posizioni è consustanziale a un partito a vocazione maggioritaria.

2) il sindaco di Milano. Schierarsi per il e poi non votare perché si è impegnati altrove è già una figura un po’ da “pirla”. Scoprire poi che nessun milanese ha seguito la sua indicazione e che la partecipazione è stata inferiore a quella per il referendum sulle trivellazioni in mare, è anche peggio. Le performance politiche di Sala peggiorano con il passare dei mesi, è auspicabile per il centro sinistra che nel prossimo futuro elettorale si taccia.

3) Fratelli d’Italia. Nessuno si è accorto della loro esistenza.

4) i radicali. La loro proposta di contestazione del sistema di voto è sembrata francamente patetica quasi una scusa per la mancanza di una posizione sul contenuto del referendum e una richiesta di collegi per le prossime politiche

In sostanza per capire gli effetti duraturi di questo risultato elettorale occorrerà tempo una cosa è certa dopo questo referendum nulla sarà come prima.

Walter Marossi



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