15 aprile 2015

TRIBUNALE DI MILANO. LA STRAGE, IL RANCORE E LA ROBA


Su quale conto mettiamo i morti di Milano? E su quale l’assassinio del giudice Ciampi? Eravamo abituati a metterli sul conto della mafia, dello stato deviato e del terrorismo, rosso o nero. Ma erano tutti o quasi investigatori, morti sul campo di battaglia che avevano scelto, eroi anche borghesi, spesso borghesi: magistrati, docenti universitari, dirigenti d’impresa o anche commissari liquidatori, come Giorgio Ambrosoli. Questa volta, no. Un giudice della sezione fallimentare è assassinato da un uomo d’affari, che rivoleva la sua “roba”. La vicenda dell’uomo Giardiello ci squaderna così, nella tragica dimensione individuale, uno spaccato devastante della vita sociale, del nostro vivere a Milano.

 

02ucciero14FBAbbiamo letto della sua figura e degli affari opachi con cui si era prima arricchito, per poi esserne travolto. Un uomo rovinato, declassato, passato in pochi anni da “Conte Tacchia” ad anonimo “brasseur d’affaires”, mai rassegnato però. Mai consapevole di aver stretto il patto faustiano che l’avrebbe portato alla rovina, con i suoi comprimari, presto passati, da complici, ad avversari e poi nemici, infine persecutori. La sua Roba voleva Giardiello, gliela avevano sottratta, e la rivoleva indietro, frutto del suo lavoro, della sua abilità, del suo talento.

 

Che quei denari non gli spettassero, non tutti almeno, questo non gli andava, perché quei soldi, il “nero”, li sottraeva alla rapace mano dello Stato, alle sue inique leggi fiscali. Con quella Roba, immobiliarista da Benevento, per anni si era elevato socialmente, salendo a colpi di status symbol su per la scala dell’arrembante nuova borghesia milanese: il fuoristrada, la casa in centro, la bella famiglia, le amicizie eleganti, un mondo, il suo alimentato, dai “soldi che entrano in tasca da soli”. Tutto perduto, ma non per sua incapacità professionale, ne era convinto. Piuttosto per il concatenarsi di eventi, azioni, decisioni, liti, pubbliche e private, che via via si erano saldate, nella sua testa, in un oscuro complotto contro di lui, innocente. Il Mondo contro Giardiello.

 

Ma del mondo se ne infischiava, voleva La Roba, la sua Roba, e sempre più l’incapacità di riconoscersi vittima del patto faustiano, ne moltiplicava rancore e odio, indirizzandolo contro chi ostacolava la sua pretesa di giustizia, la rallentava, la impediva, la mortificava, negandogli così non tanto l’onore suo personale, quanto l’unico indicatore per lui socialmente riconoscibile: la Roba. Qui, il destino personale del Giardiello perde il carattere di vicenda personale, e s’intreccia a quelle della società, della comunità, della politica, del nostro vivere civile.

 

Se il presupposto del risarcimento era alimentato dal sentirsi vittima di inique pretese dello Stato che ti “mette le mani in tasca”, ora l’ossessione della restituzione del maltolto diveniva delirio paranoide contro chi, persone in carne ed ossa, gli negava Giustizia e Roba: la Macchina dello Stato. Una macchina giudiziaria lenta, e non al suo servizio, dettata nei ritmi e nelle forme dalla necessità essenziale di formare un giudizio processualmente il più possibile corretto, ha fissato nel vivo della sua vicenda privata la mala lingua sociale che tutti i giudici, e quindi anche il suo giudice, fossero al tempo stesso incapaci, lenti, iniqui per non dire di peggio. I giudici erano parte del complotto, non più terzi, ma anzi attori protagonisti. Già visto e sentito, vero?

 

L’ossessione della “Roba”, la convinzione della sua natura assolutamente privata, la complicità degli organi giudiziari nello spossessarlo definitivamente, sono divenuti così, nel suo caso personale, la prova provata di un pregiudizio sociale sempre più diffuso, anche perché sempre più dilagante oltre lo steccato tradizionale che finora separava destra da sinistra.

 

L’homo oeconomicus della deriva liberista, pretende assoluta mano libera, nemmeno il mercato ma anzi la sua stessa negazione come costrutto sociale e quindi giuridico. Semplicemente, si vorrebbe la riduzione delle transazioni commerciali a una sequenza di atti privati senza regole, limiti, etici e legislativi. Ma che lo Stato sia essenziale per impedire il trionfo dell’homo homini lupus, costringendolo a trasformarsi, con le regole, proprio in homo oeconomicus moderno, lo stabilì Hobbes, campione conservatore, e non Rousseau o per dire Lenin.

 

In questa visione disperatamente asociale, il giudice Ciampi, e con lui tutti gli attori del sistema delle regole, diviene, per l’attenzione alle forme, per il rispetto delle procedure, per la tutela di tutti gli interessi in gioco, per essere insomma autentico custode del mercato, e non spettatore distratto, un ostacolo, un nemico, anzi il Nemico. Quanto può avere influito sul delirio paranoide del Giardiello, il premere sempre più arrogante e spregiudicato di un liberismo che ha fatto presa anche a sinistra? Quanto il singolo informa giudizio e azione personali al tambureggiante cinguettio o ruggito dei media e quanto dall’odio allucinatorio che pervade i social network? E quanto ne tengono conto la classe politica, specie chi ha visibilità e responsabilità di governo?

 

L’aver dipinto l’ordine dei magistrati come organo intento a tutelare i vizi parassitari dei giudici, l’averli messi alla berlina come “fannulloni”, l’averli caratterizzati come i principali frenatori di un percorso di riforme dell’apparato giudiziario, quanto è diventato materia psichica dell’ossessione omicida? I tartufi qui si rivoltano: se così davvero fosse, avremmo mille e non un solo Giardiello. Fingono di non vedere e non sapere che il fatto eclatante è appunto tale, un fatto eccezionale, e che per un Giardiello che uccide, ce ne sono mille e più che tutti i giorni ne legittimano i presupposti, non condividendo l’azione certo, ma il rancore proprietario e l’avversione al Pubblico, quello sì.

 

Mattarella ha preso posizione, finalmente, contro la “solitudine” dei magistrati e Renzi se ne sta zitto, che capisce che non è aria. Per quanto ci riguarda, la morte del giudice Ciampi, integro giudice della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, la mettiamo anche, non solo ma anche, sul conto del clima politico, politico – mediatico che ogni giorno delegittima, espressamente e surrettiziamente, la figura complessiva della magistratura, come presidio della società dialogante e rispettosa delle regole.

 

Giuseppe Ucciero
 



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