19 luglio 2011

PROVINCIA, RISPARMIARE TAGLIANDO


Taglio dei fondi agli enti locali e blocco del turn-over dei dipendenti pubblici ricorrono quali ingredienti fissi in ogni ricetta di mano-vra economica ripetutasi ciclicamente a partire almeno dai “decreti Stammati” del 1977. Con la stessa periodica cadenza ANCI, UPI nonché autorevoli Sindaci non hanno mancato di elevare vibrate proteste e minacce di “restituire le chiavi delle città”: pur tuttavia agli agitati allarmi (“al lupo, al lupo”) è sinora seguito che comuni e province hanno potuto sopravvivere per un buon terzo di secolo ed in qualche caso pure proliferare.

Se non ché la crisi attuale presenta caratteri inediti, persistenti e strutturali. Questa volta il lupo si sta aggirando effettivamente nei dintorni; per altro ha già aggredito le estremità del continente e l’Italia si presenta, oggi come non mai, come il ventre molle di un’Europa preoccupata e guardinga. La situazione richiede pertanto una svolta, che però non può che cominciare dal basso – dal sistema istituzionale locale – posto che al vertice si stenta ad andare oltre proclami che lasciano il tempo che trovano (vedi riduzione dei parlamentari, costi della politica, ecc.).

Partiamo allora da comuni e province laddove, di fronte al rischio di taglio dei servizi e aumento delle tariffe nonché alle avvisaglie del famigerato “federalismo fiscale”, il cittadino manifesta di tollerare sempre meno sprechi, inefficienze, privilegi e distorsioni. Prendiamo la questione delle province. Quasi tutti i leader politici si sono incaricati (a turno, guardandosi bene dal pronunciarsi contemporaneamente) di decretarne l’abolizione. Cosicché loro l’avevano detto. Dopo di che nei fatti se ne sono istituite di nuove senza obiezioni né opposizioni! In realtà l’abolizione delle province è un obiettivo demagogico, irrealistico e non costituzionale: eppure tra abolizione velleitaria, mantenimento acritico e proliferazione irresponsabile sarebbe possibile trovare una sensata via di mezzo, ovvero riduzione quantitativa e riqualificazione dell’attuale evanescente ruolo.

Mancato il tentato omicidio (mozione IdV fallita, in partenza, alla Camera) si proceda invece a un’energica cura dimagrante, sia nel numero (in Lombardia potrebbero essere ridotte da 12 a 5/6 più la Città metropolitana) sia nelle competenze, trasferendo ai comuni le funzioni correnti e gestionali, riservando invece poteri cogenti di programmazione e strategie d’insieme (per i quali occorrono organi snelli, giunte di 3 o 4 assessori al massimo: territorio, mobilità, risorse ambientali). Altra cosa riguarda l’Amministrazione periferica dello Stato che va resa flessibile, adattata al territorio e non ingessata sulle province.

Se non ora quando? Se la crisi costringe a scegliere tra l’erogazione di servizi indispensabili e il mantenimento di organi politici e burocratici pletorici, accavallati e talvolta espressamente inutili, diventa irresponsabile tergiversare e prorogare scelte per altro già ratificate da tempo immemorabile. Si è già perso più di un ventennio! La legge 142 del 1990, vera pietra miliare della modernizzazione del sistema istituzionale locale, non può più essere elusa nel suo impianto fondamentale per l’ignavia di una classe politica “da seconda repubblica”, abile per lo più a tirare a campare. La penuria di risorse (“poscia più che ‘l dolor poté ‘l digiuno”) costringe a ridefinire compiti e funzioni, eliminare doppioni e giri a vuoto, rivedere confini e ambiti territoriali.

Analogamente riguardo i comuni. Non ha senso che la stessa qualifica attenga a grandi città con oltre un milione di abitanti e villaggi di poche centinaia di persone, i quali ultimi risultano tuttavia immediatamente responsabili di porzioni di territorio talvolta pregiate o strategiche. Unire i piccoli e medi comuni da un lato, realizzando opportune sinergie e risparmi, e decentrare in vere municipalità le metropoli, facilitando partecipazione e controllo, porterebbero a “misura d’uomo” e nello stesso tempo a maggior razionalità ed efficienza il governo della comunità locale.

Per altro a Milano non si tratterebbe di aggiungere alcunché al corpo politico bensì di affidare poteri effettivi e compiti esecutivi ai già esistenti Consigli di Circoscrizione, decentrando nel contempo le relative risorse e il personale; pertanto con costi “a somma zero” rispetto a una “macchina” che con circa 16.000 dipendenti risulta l’ultima azienda “fordista” rimasta sulla scena! Pensare ancora di affrontare i problemi minuti dei quartieri e delle periferie dal centro di comando di Palazzo Marino è un ossimoro non più credibile. Inoltre Milano ha la responsabilità di guidare la transizione alla città metropolitana, se non vuole restare, come le miopi amministrazioni precedenti, vittima impotente riguardo inquinamento atmosferico, regime delle acque, congestione del traffico, sistema dei trasporti e altro. La scelta del Sindaco Pisapia di delegare un’Assessore della sua Giunta ad “area metropolitana, decentramento e municipalità” lascia ben sperare. Auguri!

 

Valentino Ballabio




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