12 ottobre 2010

LOMBARDI E LIGRESTI


 

La notizia è passata quasi inosservata. Nessun commento, forse perché ormai abbiamo visto di tutto. O forse semplicemente perché abbiamo rinunciato a pretendere un governo per la città. Dovrebbe essere compito della politica affrontare e trovare soluzione ai problemi. Non ci piace una magistratura “regolatore di ultima istanza”, ma purtroppo se la politica si ritira o diventa troppo affarista è inevitabile che prima o poi intervenga qualche magistrato.

È successo un sacco di volte e succederà ancora, anche a Milano, forse già con la vicenda Expò, dove Formigoni, dopo aver trafficato per anni con le bonifiche, prendendo per buone tutte le pezze giustificative di Grossi e contraccambiando bonifiche fasulle con volumetrie reali, si è fatto finalmente paladino dell’interesse pubblico. E si è tutelato per bene mettendo sul tavolo della trattativa per le aree espositive l’assicurazione di un parere legale. Mica scemo!

Il prefetto, invece, visto che a Milano l’amministrazione comunale si è rimangiata la parola e non ha nessuna intenzione di giocarsi quel po’ di consenso che gli resta dando le case ai rom, rispondendo picche persino all’arcivescovo, chiede aiuto direttamente a Ligresti. La notizia è comparsa su Repubblica del 4 ottobre e avrebbe richiesto qualche verifica. Tanto, deve aver pensato il dottor Lombardi, il sistema lo conosciamo: gli daranno volumetrie aggiuntive, oppure cambieranno destinazione a qualche suo rudere, e in cambio, tra le altre cose, gli chiederanno di sistemare quattro zingari. Allora perché andare dal sindaco, aspettare l’approvazione del solito PII? Parliamoci direttamente. O con più probabilità è stato proprio il sindaco a chiedere al prefetto di darsi da fare. Meglio che sia lui a rivolgersi col cappello in mano all’uomo di Paternò. Un po’ di metri cubi ormai non si rifiutano a nessuno, tanto meno a Lui e tanto più se ci sono di mezzo una buona causa e l’ordine pubblico.

Non è così raro che un’immobiliare acceleri lo sviluppo di un’area sfruttando le preoccupazioni per il degrado cui questa è soggetta. Capita persino che i baraccati traslochino da un’area all’altra della stessa proprietà non appena un obbiettivo sia stato raggiunto. Lo abbiamo visto recentemente a Pioltello, per esempio, al parco delle cascine, dove servono volumetrie fresche perché ci sono 140 milioni di debiti da onorare. Una volta valorizzata un’area sotto con un’altra. Lì basta lasciare un gruppo di accampati a “dar fastidio” e presidiare, caso mai l’amministrazione dovesse rimangiarsi la parola.

È così che anche gli zingari entrano loro malgrado nel ciclo lungo della valorizzazione immobiliare. L’uso politico dell’allarme sociale fa egregiamente il suo corso: un tempo si pensava che l’allarme sociale servisse per le svolte autoritarie, per “spostare a destra l’asse politico”. Oggi se ne fa un uso finanziario, non certo più raffinato, e la paura non serve più per fare leggi di destra ma per giustificare la speculazione.

Ce ne vorrebbero di più di zingari! Pensano probabilmente Ligresti e compagnia.

 

Mario De Gaspari



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