15 febbraio 2010

PIANO CASA. FALLIMENTO. MEGLIO COSÌ


Il piano casa del governo doveva dare impulso all’economia. Berlusconi stimava che avrebbe messo in moto risorse per 50 miliardi di euro. Era pensato come misura urgente e quindi si capisce il rammarico del governo per quello che fin qui è un manifesto insuccesso del provvedimento.

Tra le cause del fallimento è probabile che ci sia il fatto che alcune delle agevolazioni previste dal piano stesso non sono poi novità di grande impatto per alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, dove diversi provvedimenti, deroghe, intrepretazioni e consuetudini consentono da tempo ciò che il piano casa vorrebbe agevolare. Inoltre c’è il fatto, quasi ovvio, che stimolare la domanda senza spendere può essere forse possibile in periodi di crescita, ma è quasi impossibile in periodi di crisi.

Non è la burocrazia che frena il piano, ma sono la mancanza di denaro, liquido e a credito, e una rinnovata propensione al risparmio dovuta ai timori causati dalla crisi. La ratio dei provvedimenti governativi è sempre la stessa: non spendere un euro, non fare nulla per una più equa redistribuzione del reddito, deregolamentare. È probabile che questo metodo abbia del tutto esaurito la sua efficacia, tanto che lo stesso presidente di Assoedilizia fa notare che l’unica misura in grado di dare impulso al piano sarebbe l’imposizione di un obbligo per le banche di concedere per sei mesi finanziamenti senza interessi a chi vuole investire nella propria casa. Ci sarebbe cioè bisogno di nuova liquidità.

Ma con questo torniamo esattamente al punto di partenza: la crisi ha causato una forte contrazione del credito che aggrava e prolunga la crisi nel tempo. Per uscirne occorrerebbe rimuovere, in un certo senso, le cause stesse della crisi. Non è facile, proprio perché le banche si stanno ricapitalizzando dopo anni di credito facile.

E quel fiume di denaro è finito in buona parte proprio nel settore immobiliare. Il che è stato una delle cause principali della crisi. Quindi il piano casa è fallito, ma forse in questo caso, il mercato sta lanciando un segnale che non è da sottovalutare. E di questo dovrebbero tener conto Berlusconi e i sostenitori a oltranza del mercato, perché è proprio al mercato che dovrebbero rivolgere le loro lagnanze, non ai burocrati delle regioni e dei comuni. Sarebbe come imputare il calo delle vendite degli alimentari alle code che i consumatori sono costretti a fare alle casse dei supermercati.

I segnali che provengono dal mercato hanno spesso, però, una loro euristica verità e in questo caso la lezione è di tutto rispetto e andrebbe presa in seria considerazione. C’è un sostanziale e generale accordo che occorra stimolare la crescita e la ripresa, ma, anche senza scomodare la green Economy, poco si discute del fatto che sarebbe più importante governare la ricomposizione del PIL (anche qui senza scomodare indici di benessere e felicità) piuttosto che favorirne una crescita comunque sia. Che la politica governativa sia pericolosa è confermato dalle recenti avventurose dichiarazioni sul settore del turismo, che ci si augura di portare al 20% del PIL. Turismo e immobiliare vanno abbastanza di pari passo e, in parte, sono la stessa cosa. È quello che in questi mesi sta amaramente scoprendo la Spagna, che ha vissuto anni di splendore proprio grazie alla bolla del settore immobiliare e del turismo, in mancanza di aumento di reddito.

Ed è proprio per il fatto che l’Italia non ha percorso fino in fondo quella strada che la crisi ci ha un po’ risparmiato rispetto ad altri paesi. Ma, come si vede, il governo sta cercando in tutti i modi di correre ai ripari. Cioè di procurarci oggi i danni che non abbiamo avuto ieri. Ed è perfino possibile che ci riesca se l’opposizione non riuscirà a esprimere una politica in grado di tenere insieme economia e territorio.

 

Mario De Gaspari



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