4 aprile 2017

PROVINCE POST REFERENDUM: IL DOPOLAVORO PER AMMINISTRATORI COMUNALI

Congressi, primarie, elezioni: promesse tante, cose da fare, ma chi le deve fare?


 

A distanza di quattro mesi dal sorprendente esito del referendum costituzionale si presume che lo shock subìto sia dai vincitori sia dai vinti sia stato riassorbito e che entrambi siano nelle condizioni di trarne conclusioni conseguenti per il destino di pubbliche istituzioni messe a così dura prova. La Costituzione esplicitamente confermata dal popolo sovrano non merita, infatti, né la soddisfatta contemplazione dei primi né la malcelata rivalsa dei secondi, bensì una rinnovata volontà di attuazione tanto nei principi fondamentali quanto nelle forme istituzionali ed organizzative della “seconda parte”.

07ballabio13FBGiova allora rintracciare eventuali idee e proposte al riguardo espresse dalle formazioni politiche in campo, a cominciare dal Partito Democratico attualmente alle prese con un’impegnativa campagna congressuale. Tra le mozioni presentate agli iscritti e agli elettori delle “primarie”, il tema in esame compare, tuttavia, soltanto in quella intitolata a Orlando (nelle altre due invece non risulta pervenuto): «La legge Delrio, fallita la riforma costituzionale, necessita di una rivisitazione, per definire in modo più omogeneo le funzioni di area vasta in rapporto alle regioni e garantire il finanziamento integrale a costi standard dei servizi che le nuove province e le città metropolitane sono chiamate a gestire».

Al netto della cautela diplomatica della “rivisitazione” appare dunque l’esigenza di rifondare l’impianto di una legge nata nella stessa logica della riforma costituzionale fallita, che tutt’ora sopravvive in dubbio di legittimità e sopratutto con l’effetto di sacrificare l’immagine e la sostanza di Province e Città metropolitane, ridotte a gusci vuoti di credibilità e risorse. Con organi politici ridotti a dopolavoro per amministratori comunali, volonterosi ma privi di visibilità e prestigio, deprivati di funzioni, personale e risorse.

Tuttavia, l’art. 114 della Costituzione rimasta viva e vigente assegna loro un rilievo intermedio per ruolo e funzioni, ma paritario per dignità e autorevolezza con i Comuni da un lato e le Regioni e lo Stato dall’altro. Purtroppo, nella “costituzione materiale” della cultura politica corrente e delle pratiche amministrative ordinarie esse soffrono di cattiva fama e prolungata sottovalutazione: le Province vittime di un’ostinata campagna abolizionista multi-partisan; le Città metropolitane oggetto di ventennale ironia e dileggio da parte dei politici “realisti”, a partire dalla sua comparsa in Gazzetta ufficiale (legge 142/1990) e di emarginazione dei pochissimi fautori “utopisti”.

Tale deficit di cultura ed elaborazione politica ha infine prodotto una legge 56/2014 abborracciata, affrettata dalla necessità di evitare l’imminente scadenza elettorale, preliminare ad una “riforma” costituzionale che avrebbe dovuto, in una logica accentratrice e restrittiva verso le assemblee elettive, cancellare le province e salvare le città metropolitane solo di facciata, per non sfigurare nel resto dell’Europa dove quelle vere sono costituite e consolidate da decenni.

Allo Stato dunque il disagio con il quale pseudo-amministratori di enti così ridotti vivono la situazione attuale, per altro priva di garanzie sotto il profilo finanziario e incerta anche per la prosecuzione di attività ordinarie, è palpabile e innegabile anche da parte degli zelanti laudatores temporis acti [lodatori del tempi antichi].

Cercare una via d’uscita è urgente e indispensabile, per quanto il dibattito politico-mediatico attuale risulta rivolto a tutt’altre sponde, e l’attenzione ad una razionale e funzionale revisione dell’ordinamento locale e intermedio risulti pressoché assente (o del tutto embrionale, come nel passo citato all’inizio, comunque da segnalare).

Una proposta al riguardo (coerente e organica? non lo sappiamo in attesa di argomentato contraddittorio) il sottoscritto ha provato a sintetizzare su ArcipelagoMilano del 24 gennaio 2017; cercando di prendere sul serio gli accorati e reiterati appelli di partiti e formazioni politiche a partecipare e a fornire indicazioni ed idee, tuttavia sinora ascoltate con “l’orecchio del mercante”.

Valentino Ballabio



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