14 dicembre 2009

PIAZZA FONTANA: A GIULIO CHE HA 12 ANNI NEL 2009


Caro Giulio,

la vita è quella vicenda misteriosa per la quale, improvvisamente, ci si trova come sorpresi in un certo luogo ed in certo momento, e, non ricordando bene come ci si è arrivati, si è costretti a fare uno sforzo di memoria, ricollegando i mille, ingarbugliati, fili che si sono snodati nel tempo che trascorrendo ci ha portati proprio qui, in questo tempo ed in questo luogo.

Così, e si fa fatica a crederci, anche per me, come per tanti altri, è arrivato il momento di ammettere che sì, tanto tempo è ormai passato da quando avevo i tuoi anni, e che ora la memoria assume, deve assumere, un peso assai particolare, tanto più gravoso a causa degli esiti su cui gli avvenimenti si sono alla fine fissati, quanto meno energie disponiamo per porvi rimedio. Un peso che è anche una responsabilità, verso noi stessi che abbiamo vissuto le nostre limitate vicende particolari come percorsi, ora è sempre più chiaro, tutti affluenti verso l’unico fiume della vicenda collettiva, ma soprattutto per voi adolescenti che, affacciandovi alla soglia di un’esistenza più conscia e matura, siete ormai prossimi a chiedere conto del mondo in cui vivete, e tu a chiedere conto a me, tuo padre. O almeno spero che così sia, spero che la tua generazione abbia la forza di chiedere conto, e poi l’immaginazione e la forza per andare oltre.

Ed allora sono qui a ricordare e a darti conto di un pezzo importante della mia vicenda personale e di quella collettiva del nostro Paese.

A me è capitato, come a tanti della mia generazione, di vivere tempi di furori ideologici e di orizzonti ideali senza limiti, e non importa che questi ultimi fossero veri o immaginari: li abbiamo vissuti come tali. Il tempo in cui ho vissuto si è proiettato in pochi anni, senza che vi fosse modo di interporre qualche istante più pacato nella sua corsa senza respiro, dalla stagnante società italiana del dopoguerra fino alle soglie della sperduta condizione di oggi, sperduta perché così lontana dai nostri ideali e perché così disanimata. Eppure sembrava tutto così facile, così evidente, così naturale: il bene da una parte, il male dall’altra, e soprattutto l’illusione che il bene sarebbe trionfato quasi senza sforzo, per effetto della sua autoevidenza, insostenibile per chiunque l’avesse contrastato.

Non fu così, non è stato così, non è così.

Ormai sono quarant’anni da quando l’unico telegiornale allora vigente annunciò alla famiglia televisiva italiana che era finita la stagione dell’Innocenza ed era cominciata quella dell’Orrore: la Strage di Piazza Fontana ci introdusse nella “Notte della Repubblica”. Ci raccontarono che erano stati gli anarchici e dovemmo capire in fretta da soli, e contro quelle bugie, che le nostre illusioni erano finite, che ogni miglioramento, ogni cambiamento democratico, ogni accrescimento della libertà e della giustizia, sarebbe stato, come era sempre stato fino ad allora, il frutto faticoso ed anche avvelenato di fatica, sudore e sangue, nel succedersi opaco degli avvenimenti. Ci schierammo senza riserve, non era tempo, non ci fu il tempo, per distinguere. Pasolini rimase solo.

Da quel 12 dicembre del 69 e per molti anni dopo, fino ai primi anni ’80, il sangue ed il furore hanno macchiato la nostra vita, e non vi è stato quasi giorno o mese senza il loro tributo alla follia di una classe dirigente volta a volta stupida ed astuta, feroce e pavida, inerme e sanguinaria, ed all’incubo elitario di autonominati esecutori testamentari di una società creduta morta ma in realtà ben salda sulle sue gambe.

Caro Giulio,

oggi si fatica persino ad immaginare l’ossessione ideologica di quegli anni, direi quasi l’odio inteso in senso propriamente fisico, ed a comprendere come tuo padre, come tanti altri, potesse dedicare i migliori anni della propria vita ad una lotta politica senza respiro, totalizzante, non potendo neppure pensare a qualcos’altro che non fosse un cambiamento generale della società per la quale sola valeva la pena di vivere. Piazza Fontana, la “strage degli innocenti” di Piazza Fontana, la vicenda tragica di Pinelli, e poi le bombe, gli assassinii degli studenti, dei lavoratori, dei giudici e degli operai, con la loro cadenza inesorabile ed orrenda erano per noi, proprio nel loro incalzare, conferma che eravamo nel “giusto” e nuovo impulso a tenere fermo.

Ed eravamo nel giusto, solo che quel “giusto” non lo avevamo saputo comprendere in tutta la sua reale natura.

Non capimmo, o meglio capimmo tutto e non capimmo niente.

Capimmo tutto, quando avvertivamo, sentivamo che non solo quell’Italia stantìa era da mettere sottosopra, ma anche che quel mondo ottuso, burocratico, ferocemente liberticida, che veniva dai paesi dell’Est europeo non poteva essere il sogno socialista e comunista.

Non capimmo niente, quando pretendevano di rifondare quel sogno sulla base della pretesa di restaurare un mitico marxismo originario nella sua purezza, un’ipostasi immaginaria della quale tutto si poteva pensare tranne che fosse marxismo. Non capimmo, poi l’abbiamo inteso nel vivo della nostra esperienza, il significato fondante della persona e dei diritti individuali, anzi l’annegammo nel sacrificio del singolo di fronte ai “superiori interessi di una classe”.

Eravamo idealisti, non solo perché avevamo ideali, ma anche perché eravamo tanto, tanto, distanti dalla realtà.

Nonostante questo, avevamo ragione, non foss’altro perché, per una delle tante astuzie della Storia, più che agire, fummo “agiti”, e positivamente. Se non l’avessimo avuta, la Ragione, l’Italia non sarebbe cambiata così tanto nel giro di pochi anni, passando dalla sonnolenta, autoritaria, chiusa società post fascista del dopoguerra, ad una società mille volte più libera ed aperta, nelle scuole, sui posti di lavoro, nelle famiglie, tra uomo e donna. La strage di Piazza Fontana cercò di fermare quel fiume in piena e fallì nel suo intento principale, ma ebbe successo perchè lo deviò verso un percorso tortuoso ed aspro. Piazza Fontana fu il tentativo di fermare con il terrore un movimento di cambiamento così ampio, generalizzato, solare ed entusiasta, che il solo ricordo ancora adesso riempie il cuore. Per questo, capire oggi la società italiana senza risalire a quella corrente di libertà, è davvero impossibile e per questo è importante che io ricordi e che tu sappia.

Oggi, a quarant’anni di distanza, il ricordo di quell’evento è quindi essenziale anche per chi come te, chiede conto ed è confuso, poco o nulla informato, persino sui suoi autori, indistinguibili quasi in una nebbia in cui tutto si perde. Nel momento stesso in cui ti dò conto e ricordo, mi assumo infine, come parte della generazione precedente, la responsabilità di quanto avvenne e del mondo al quale oggi ti affacci, come parte della nuova generazione.

Caro Giulio,

questa è una responsabilità difficile ed al tempo stesso cara.

Mi è cara proprio ora che, nutrita e temperata dalla maggior maturità e dall’accresciuta capacità di distinguere torti e ragioni, mi fa consapevole avere preso posizione, di fronte al crinale di una vicenda storica così drammatica, dalla parte comunque più feconda, liberatrice ed alla fine, perchè no, giusta. E questa consapevolezza ha la sua parte di dolcezza.

Mi è difficile, perché la coscienza degli errori e delle incapacità passate pesa, ed ancor più pesa la consapevolezza di quanto il mondo odierno sia lontano dall’essere un mondo pienamente vivibile, ed anzi sia gravato da vizi ed orrori nuovi ed antichi assieme. E questo è l’agro.

A te che hai 12 anni nel 2009, auguro di saper ricordare e di avere un giorno, verso il tuo passato personale e generazionale, uno sguardo ugualmente ed orgogliosamente consapevole di quanto di bello e buono, nonostante tutto, avrai saputo fare, con quel tanto o poco di dolce ed agro che te ne darà il sapore.

 

Ps: rileggendo questa lettera mi accorgo che è scritta più per me che per te, e non me ne stupisco affatto, chè il mio desiderio di dare risposte è ancora superiore al tuo desiderio di porre domande.

Giuseppe Ucciero



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