16 marzo 2016

LA BOSCHI, LE RIFORME E LE RADICI NEL PASSATO


L’articolo di Luca Beltrami Gadola dedicato alla Ministra Boschi a Milano ha un’ispirazione e un approdo grillino. Muove da un fatto cronico e sistemico: quello della corruzione della politica e dell’Amministrazione, quella degli Enti pubblici. Quando Enrico Berlinguer la denunciò nella famosa intervista a Scalfari del 28 luglio 1981, era già sistemica ed endemica, era già profonda, veniva da lontano. La campagna ideologica di Berlinguer, il leghismo, Mani Pulite, il dipietrismo, la Rete, il grillismo non hanno modificato di molto la situazione. L’azione incessante delle forze dell’ordine e della magistratura assomiglia al tentativo di svuotare il mare con un cucchiaio. Si è costretti ad ammettere con Beltrami Gadola: “Sì, la questione morale resta lì, anzi è ancora di più una drammatica realtà”.

12cominelli10FBLa corruzione endemica e sistemica sarebbe la causa della disaffezione rispetto alla politica e alle istituzioni che la incarnano. Pertanto, se si vogliano rimotivare i cittadini rispetto alla politica, occorre affrontare la questione morale alla radice. Appunto: qual è la radice? Secondo una vulgata secolare, l’antropologia degli Italiani è predisposta alla corruzione, al familismo amorale. Fatta l’Italia liberale, nessuno è più riuscito a “fare gli Italiani”. Che non sentono lo Stato e la Patria come un’impresa comune, ma solo come occasione per perseguire interessi privati.

C’è una via d’uscita? Sì, quella di uomini nuovi, di una nuova classe dirigente, di un’élite generosa ed eticamente incorruttibile. Dal Pci, con la sua proposta del “governo degli onesti” al leghismo, che fece le chiassate dei cappi e delle scope, a Mani Pulite, che mise in carcere un bel po’ della vecchia classe dirigente, a Di Pietro, che fondò l’Italia dei valori, a Beppe Grillo, la proposta è sempre stata una sola: date il potere a noi! Nel frattempo si era scoperto che neppure questi movimenti erano così estranei al fenomeno che volevano estirpare. Alla fine sembra uscire confermata la tesi che alla maggioranza degli Italiani sta bene così. Una disperazione! Di qui la caduta di fiducia nella politica.

C’è però un’altra spiegazione del fenomeno corruttivo, che non rinvia a una sorte di costante antropologica, ma più concretamente al modo con cui storicamente si è organizzata la politica e si sono costruite le istituzioni in Italia. Lasciamo perde l’Italia liberale e fascista. Incominciamo pure da quando il CLN, formato dai partiti il 9 settembre del 1943, lanciò il movimento di liberazione nazionale e si pose come perno attorno a cui ricostruire l’unità del Paese e aprire una nuova storia. Il sistema dei partiti ci ha dato la Resistenza e la Liberazione, la Costituente e la Repubblica, la Costituzione. Sono stati l’incubatore della nuova Italia. I partiti sono l’architrave del sistema politico e istituzionale. Come scrisse Togliatti: sono “la democrazia che si organizza”. Nel corso dei decenni hanno pervaso lo Stato politico, lo Stato amministrativo, le Partecipazioni statali, il sistema bancario, la rete degli Enti locali e delle Regioni, le società pubbliche.

Si dà il caso che i partiti siano, a tutt’oggi, associazioni private, che, per le ragioni storiche dette, hanno il potere di produrre enormi effetti pubblici sulla vita dei cittadini: propongono e scelgono il Parlamento, scelgono il governo, scelgono il Presidente della repubblica. I cittadini si limitano a dare loro la delega. Di lì in avanti restano fuori dal circuito politico. Il tentativo di mettere i partiti sotto legislazione pubblica, in attuazione dell’art. 49 della Costituzione, sono sempre stati respinti dai partiti stessi. A incominciare da Togliatti fino a Grillo oggi. Fanno coincidere il potere assoluto all’interno, gestito da regole che loro stessi hanno confezionato, con la democrazia tout court.

Gli Italiani hanno accettato tutto ciò, finché i partiti sono stati motore dello sviluppo del Paese e l’hanno governato, sia pure cambiando un governo l’anno. Ed hanno accettato anche la corruzione come prezzo inevitabile. Il guaio è che già a partire dal ’68 il sistema politico si è progressivamente inceppato. I partiti hanno governato sempre di meno, al loro posto si è fatto avanti l’autogoverno delle corporazioni, la corruzione ha fatto un salto in avanti, è diventata sempre più invasiva. L’Amministrazione si è fatta più autonoma e insieme complice dell’impotenza e della corruzione. Insomma: i cittadini si sono allontanati dalla politica, non principalmente perché corrotta, ma perché ha cessato di risolvere i loro problemi.

Se questa è l’analisi, allora non basta cambiare la classe dirigente: occorre cambiare le istituzioni, dall’istituzione-governo. Se è così, le riforme istituzionali c’entrano moltissimo con la possibilità di ridimensionare la corruzione e, soprattutto, di riconsegnare la fiducia ai cittadini nella politica. Insomma, la Boschi non ha tutti i torti; anzi, ha moltissime ragioni. Ovviamente occorrerebbe, a questo punto, parlare di riforme istituzionali … .

 

Giovanni Cominelli

 

 



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