19 ottobre 2009

BRERA. UNA STORIA INFINITA


Brera come il Louvre. E’ questa la promessa del ministro Bondi che nella conferenza stampa del 12 ottobre faceva sua quell’idea di una “Grande Brera” lanciata, come molti milanesi ricorderanno, dal soprintendente Franco Russoli negli anni settanta.

Le celebrazioni del bicentenario hanno acceso i riflettori sulla Pinacoteca e hanno dato nuovo impulso alla volontà di rinnovamento che, finalmente, vede anche la partecipazione del Comune di Milano al rilancio del grande museo. E questa è davvero una svolta positiva perché Brera – unico museo statale insieme al Cenacolo – è sempre stata percepita come qualcosa di estraneo alla città: il Comune si è sempre interessato solo alla sua rete di musei civici, come se i problemi di Brera riguardassero unicamente il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Una questione romana, in sostanza.

Di Brera si è parlato qualche settimana fa in un incontro promosso dagli Amici di Brera nella gremita Sala della Passione, dove l’architetto Mario Bellini, vincitore della gara indetta dal ministero, era stato invitato a illustrare il suo progetto per la Pinacoteca. Pochi forse ricordavano che nel giugno del 2004, i ministri allora in carica – Giuliano Urbani per i Beni Culturali e Letizia Moratti per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca – avevano delineato in quella stessa sala il futuro di Brera, reso possibile dall’accordo firmato dai due ministeri: cessione di Palazzo Citterio all’Accademia e trasloco di quest’ultima in un’apposita costruzione alla Bovisa. Uno sponsor avrebbe finanziato il progetto della nuova Pinacoteca, affidato allo Studio BBPR.

Non se ne fece nulla. Non solo per il cambio del quadro politico, ma soprattutto per l’ostinato rifiuto dell’Accademia a lasciare il palazzo di Brera. Sarà cambiato qualcosa da allora? L’Accademia avrà smesso di pensare che gli studenti sono l’anima del quartiere? Si sarà accorta del fatto che il quartiere è ormai assediato dagli stilisti e dai commercianti di modernariato? O che le abitazioni della zona sono tra le più esclusive e costose della città? E che sarebbe doveroso offrire agli studenti una sede moderna, con spazi luminosi e strumentazioni adeguate? Dal dibattito seguito alla presentazione, in cui l’Accademia rivendicava aspramente il suo diritto di restare nella sede originaria, non si direbbe.

Con la verve che gli è propria, Mario Bellini illustrava le linee guida del suo progetto, che sono poi quelle già tratteggiate in passato: recupero della chiesa di Santa Maria di Brera e conseguente sviluppo su due piani del percorso del museo, nuovi servizi al pubblico, collegamento con Palazzo Citterio attraverso l’Orto Botanico, spazi per esposizioni temporanee. Ma soprattutto metteva sul tappeto un’idea forte, certamente destinata a far discutere: la copertura in vetro del severo cortile dei Gesuiti. Dunque da spazio aperto a spazio chiuso, con un’audace e radicale trasformazione che – se accolta – modificherebbe notevolmente la percezione di uno dei luoghi storici della Milano spagnola. Su quest’ aspetto sarà la Soprintendenza a pronunciarsi, ma già si avvertono le prime perplessità.

L’impressione, tuttavia, è che – a parte la proposta di copertura del cortile d’onore – il progetto sia ancora in una fase embrionale e che non sia ancora iniziato quel necessario dialogo con la committenza solo attraverso il quale il progetto stesso può assumere forma concreta. Ci si chiede, d’altronde, come questo possa avvenire se non sono chiare le intenzioni dell’Accademia. Negli accordi del 2004 si era stabilito che le funzioni didattiche avrebbero lasciato il palazzo, ma che al pianterreno l’Accademia avrebbe mantenuto gli spazi necessari per raccontare la propria storia lungo il corso dell’Ottocento e del Novecento, per esporre la collezione dei gessi, le opere presentate ai premi annuali: cioè una presenza “musealizzata”, complementare alla Pinacoteca, così come l’Osservatorio astronomico avrebbe trovato la propria espressione attraverso il museo. L’apertura dello studio di Hayez, di cui pure si è parlato, non può essere un fatto isolato ma dovrebbe rientrare in una più ampia visione di valorizzazione della storia dell’Accademia.

Altro elemento problematico, che non può non avere una ricaduta sul progetto, è il ruolo di Palazzo Citterio, non contemplato nel concorso eppure strategico per collocare funzioni vitali per la Pinacoteca, dagli uffici, alla biblioteca, agli archivi, alla fototeca, recuperando nuovi spazi all’interno del palazzo.

In tanta incertezza il lavoro dell’architetto appare davvero arduo. Basteranno la sua larga esperienza e il suo talento, insieme all’impegno della Soprintendenza e alla volontà di tutti – con l’eccezione dei docenti dell’Accademia – a risolvere un problema che si trascina da oltre trent’anni?

Maria Teresa Fiorio



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