19 ottobre 2009

LA MALEDUCAZIONE MILANESE


Scena consueta nella zona Ecopass (l’isola ambientale, secondo i nostri Croci e Moratti). In una via laterale, traffico bloccato per diversi minuti; quando finalmente s’intravede la luce, intesa come l’agognato sbocco in via Torino, il furgoncino che precede accende le doppie frecce e l’autista con tutta tranquillità scende per suonare a un citofono con un pacchetto in mano. Superato il primo momento di stupore, a sollecitazione ferma ma educata tendente a richiedere il diritto alla mobilità personale, parte immediato il “Vaffa… non vedi che sto lavorando? “. Della reazione proveniente dai veicoli in coda dietro il lavoratore possiamo riferire solo di un amaro e divertente ” Io invece devo andare a rubare ed ho più fretta di te”, tralasciando la scena da malavita successiva.

Altra scena consueta in zona mercato Papiniano, sabato mattina: in mezzo ad un traffico delirante, un povero residente blocca l’intera circolazione perché il passo carraio di casa propria è ostruito da probabile playboy sessantenne con sciarpina e fazzolettino di tweed in Mini Cooper (ma dove l’avrà trovata?) che aspetta appoggiato alla portiera aperta l’uscita della shampista del negozio accanto per probabile “gita in villa” per il week end. Al posto delle normali (?) scuse e di una sollecita rimozione dell’ingombro risuona l’immancabile “Uhi, pirla, cihaifrettaa?? Vieni giù che ne parliamo, eh?!?” Nel caso in esame, il pirla in questione è effettivamente sceso dando inizio a una rissa verbale terminata solo con l’arrivo della pattuglia di vigili urbani, reduci dal controllo degli abusivi al mercato e, forse a causa dello stress accumulato, a loro volta poco disposti a mantenere toni e profilo bassi.

Terza scena, che si consuma di fronte ad una qualsiasi delle scuole milanesi entro la Cerchia dei Navigli (buona borghesia milanese, si suppone): un gruppo di ragazzotti all’apparenza non troppo amici del sapone esce vociando dal portone, incoccia in una signora settantenne di passaggio che resta in piedi per miracolo. Al posto delle utopistiche scuse, un bell’urlo ” ma guarda dove metti i piedi, str…” e via di buon passo continuando a “parlare” a squarciagola con il proprio sodale distante cinquanta centimetri con il tipico turpiloquio “giovanile”.

Quarta scena, tram 29, sempre nella Cerchia: ragazzina con telefonino a protesi sull’orecchio sale gridando invettive contro un probabile fidanzato fedifrago, passa davanti a un passeggero con cravatta e valigetta pestando un piede a un pensionato classicamente attaccato al tram e si scaraventa nei pochi centimetri di sedile disponibile verso i quali i due personaggi rullati si stavano dirigendo. Alle diciamo così, sollecitazioni di manager e pensionato a rispettare la fila, lo scricciolo sputacchia un ” Che c..o vuoi, non vedi che sto parlando? “. Pietoso velo sul seguito.

Quinta e ultima scena, vissuta di persona: la mia colf filippina, molto impegnata nell’imparare l’italiano dalla vita quotidiana, mi apostrofa con un ” Segnor, a Milano buongiorno si dice vadavialcú ?”. La poverina, attraverso un suo sensato e personale processo di apprendimento, riteneva congruo il significato della parola che tutti le dedicano dopo pochi istanti, dal panettiere al portinaio, dopo aver incontrato qualche difficoltà di comprensione dovuta alla neolingua che lei ritiene essere italiano (parla invece un più che discreto inglese, che però, vadavialcú, capiscono in pochi milanesi.).

Il ricordo è selettivo, il vostro Giano Bifronte predilige il suo profilo che guarda verso il passato, tutto vero, ma dove è finita la Milano “coer in man” ma anche “mani e parole a posto” ?

Il lavoratore, il bauscia, lo studente, la ragazzina, il vigile urbano, il commerciante, parlano e si comportano tutti come nella Milano di non molto tempo fa parlavano e si comportavano solo i “randa”, quei personaggi di periferia che prima o poi finivano per passare per San Vittore.

Qualcuno dirà che è colpa della Tv e di Berlusconi, come un tempo si diceva la colpa fosse del cinema, dove però i film con parolacce venivano vietati ai minori, altri daranno la colpa alla scuola, al sindacato, alla sinistra.

Qualcuno, prima o poi, dovrà dire che la “colpa” va cercata un po’ meglio dentro di noi, abitanti dell’ex “capitale morale” d’Italia.

Franco D’Alfonso

 



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