15 aprile 2015

IL SASSO NELLA SCARPA DI GIULIANO PISAPIA


Sabato scorso, alla chiusura della manifestazione indetta da Sinistra ecologia e libertà – dal titolo 2011- 2021 La Milano che possiamo – allo spazio Soderini, a proposito della politica milanese Giuliano Pisapia ha dichiarato: «Più che un dubbio è una certezza, qualcuno a Roma crede che la realtà milanese sia un percorso da sconfiggere e non da replicare. Dico qualcuno, non tutti, dentro il Pd». Si è tolto un sasso dalla scarpa e ha fatto bene: mai come oggi è importante dire quello che si pensa, senza tatticismi e senza opportunismi.

 

01editoriale14FBSe poi parliamo di elezioni, Milano non è terra di “cacicchi” e, come ho già scritto, Milano ha il diritto di avere un “suo” sindaco che sia espressione reale della volontà politica dei milanesi e non un personaggio frutto di quel “kamasutra delle alleanze” efficacemente descritto da Francesco Merlo su la Repubblica di domenica scorsa. Anche per questo la campagna elettorale comunale del 2016 desta forti preoccupazioni perché la baldanza renziana non deve dare per scontato nulla a Milano e forse Giuliano Pisapia, nel suo discorso di sabato, nel negare il ruolo di competitore a Salvini avrebbe dovuto forse accennare all’incognita del Movimento 5 Stelle, curiosamente taciturno qui negli ultimi tempi.

 

Non darei per scontato che la parte dell’elettorato di centro destra non vedendo di buon occhio l’alleanza con Salvini e nemmeno con l’estrema destra non riversi i suoi voti sul Movimento 5 Stelle che nella sua costante critica all’operato del Governo talvolta coglie nel segno. Se poi il Pd di Renzi pensa che questi voti possano invece andare al Nuovo Centro Destra di Alfano e che questo valga anche per Milano e che dunque con loro ci si debba alleare, temo sbagli i suoi conti: un’alleanza con Alfano provocherebbe probabilmente un forte astensionismo di sinistra aprendo una prospettiva di ballottaggio al ribasso dagli esiti quantomeno incerti.

 

Non vorrei d’altra parte che l’antirenzismo di Nichi Vendola, anche lui a Milano domenica scorsa, giocasse qualche brutto tiro ai milanesi di Sel. Il titolo della loro manifestazione mi è molto piaciuto anche se forse la mia interpretazione semantica non corrisponde a quella di chi l’ha pensato; per me La Milano che possiamo non è assertivo ma programmatico ossia rispondere alla domanda di cosa possiamo fare: shakespearianamente, questo è il problema.

 

Vanno riproposte le alleanze che hanno dato vita all’attuale Giunta, alleanze che sono nate nel giugno del 2011, due anni e mezzo prima che Renzi diventasse segretario del Pd e quasi tre da quando è presidente del Consiglio. Va riproposta quella alleanza avendo presente che non tutti gli elettori di allora possono dirsi soddisfatti del lavoro della Giunta e del sindaco e proprio per questo la campagna elettorale non sarà facile, dovendo da un lato riconoscere realisticamente gli insuccessi e dall’altra rivendicando i molti risultati positivi raggiunti, malgrado una navigazione costretta tra gli angusti argini di un bilancio saccheggiato dal Governo.

 

Il futuro di Milano si gioca in particolare sul tavolo delle riforme senza spese – la riorganizzazione della macchina comunale -, il varo della città metropolitana, la gestione delle società partecipate, un’allocazione delle risorse più mirata e concentrata su pochi obiettivi raggiungibili, sulla partecipazione a progetti di sviluppo della UE, e, per finire ma non ultima, una miglior gestione della partecipazione e della comunicazione. Per chi ama parlare di continuità si può proseguire nelle operazioni di successo, per chi ama la discontinuità si possono lanciare progetti innovativi ma realizzabili, senza più inciampare negli scogli del dissenso.

 

A futura memoria una piccola chiosa. Chi amministra qualche volta sente con fastidio le critiche dei cittadini e si lascia andare dicendo: “noi lavoriamo e voi vi limitate a criticare”. Continuare a dirlo serve solo ad alienare simpatie perché non è così: tutti lavorano – tutti quelli che hanno un lavoro – e producono reddito, pagano le tasse dunque: “a ognuno il suo” [lavoro].

Luca Beltrami Gadola



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