12 ottobre 2009

LO SCUDO, L’ETICA E I DANEE…


Ci sono due tipi di classe dirigente: quella che fa credere agli altri che i suoi interessi particolari sono generali e quella che promuove una mediazione costante tra il proprio interesse particolare e quello generale, anche sacrificando talvolta i propri interessi del momento.

In Italia vi è drammatica carenza di classi dirigenti del secondo tipo, e la vicenda dello Scudo Fiscale sembra purtroppo confermarlo.

Non parliamo qui ovviamente della classe politica dell’asse Bossi – Berlusconi, che neppure ha la nozione d’interesse generale. E non parliamo nemmeno dell’opposizione, che una volta di più ha dimostrato di non essere in grado di rispettare il mandato ricevuto dai propri, ormai disperati, elettori oltre e di non avere a cuore le sorti del Paese, rendendosi protagonista di una clamorosa, vergognosa e in assoluto ingiustificata assenza di gruppo.

No, intendiamo riferirci a quella particolare tipologia di entità, gruppi, istituzioni, aggregazioni, che hanno saputo elaborare e far vivere nel tempo una visione della società, del proprio ruolo e dei propri compiti, efficacemente mediata con gli interessi generali, sforzandosi di superare localismi, corporativismi, insomma appunto gli interessi particolari di gruppo, e quindi anche del proprio.

Quest’ampiezza di visione porta a loro, anche se non sempre è specificamente ricercata, una particolare autorevolezza che qualifica e rafforza la loro posizione di potere. In molti casi queste entità sono chiamate “poteri forti”, anche se non tutti i “poteri forti” condividono questo status.

Tra questi Confindustria, la potente associazione imprenditoriale, ha certamente assunto negli anni un’autorevolezza che non discende solo dalla forza economica dei suoi associati, ma dal rigore etico, dall’ampiezza delle vedute, dalla capacità di analisi rigorosa e dalla capacità di ricercare mediazioni articolate, pur nella tutela degli interessi mirati, con distinti e opposti interessi. Vi è un filo, una continuità ultradecennale, che proviene dalla Confindustria di Guido Carli, ma anche di Agnelli e Carlo Callieri, che stata ed è punto di riferimento per molti, non importa in quale campo operino, non importa se su tutte le questioni e non importa neppure se condividendo del tutto o meno le sue singole posizioni: in ogni caso, serietà, rigore e senso della mediazione ne innervano l’attività.

Ci saremmo quindi aspettati sulla questione dello Scudo Fiscale la conferma di questa tradizione e quindi un atteggiamento e una visione già affermati in passato (condoni edilizi e previdenziali) e fondati sul prevalere dell’interesse generale sui vantaggi che il provvedimento porta alle tasche di tanti (?) suoi associati.

Ci saremmo aspettati, un gonfiarsi dei petti, un “non a noi”, un austero e motivato appiglio a quella morale di stampo anglosassone che pure è citata ogni dì nell’analisi dei vizi italici, quello stesso furore insomma che monta quando si parla in casa confindustriale, e non sempre a torto, di spesa pubblica o di pensioni.

Che delusione e che tristezza allora vedere Confindustria, la casa di Ugo La Malfa, perdere tradizione e coscienza di sé di fronte alle sirene dello Scudo Fiscale, almanaccando pretesti puerili per zittire una dimensione etica che pure, ne siamo certi, non è rara tra molti imprenditori e dirigenti del sistema associativo. Che spettacolo deprimente vedere gli intellettuali della casa concedere sul Sole 24 Ore che sì, in fondo, lo Scudo Fiscale è un provvedimento che premia comportamenti scorretti, ma che insomma alla fine i denari che se ne ricavano (il miserabile 5 % ndr.) andranno alla ricerca e alla scuola!!! Per non dire dell’argomento che prevede che queste risorse andranno a rafforzare la finanza delle piccole e medie imprese: qui si dimostra alla radice, e in modo incontrovertibile essendo affermato sul foglio istituzionale dell’Associazione, che una vasta platea d’imprenditori ha distratto risorse essenziali per lo sviluppo prima di tutto per le proprie imprese, e non solo per la collettività, per anni e decenni. Peggio il tacon che il buso!!

Quale distanza tra queste posizioni e quelle della Confindustria Siciliana che impone ai suoi associati l’eroismo della denuncia contro i mafiosi che pretendono il pizzo ma tant’è, il vero eroismo per un capitalista è rinunciare ai dané.

Di fronte ai dané non c’è morale, etica, rigore, memoria dei lontani padri, e neppure calcolo politico, che tenga, e quindi cari imprenditori (o è più appropriato il termine desueto di capitalisti?), turiamoci il naso e arraffiamo i soldi: “del doman non v’è certezza”.

Nel frattempo, mentre enormi risorse generate spesso da gravi reati finanziari, sottratte al fisco ed esportate illegalmente, tornano candide nelle mani dei loro, diciamo, legittimi proprietari, quasi un milione di lavoratori perde il posto di lavoro e campa con 800-900 euro il mese. Nel frattempo, si chiede moderazione salariale, unità d’intenti con i sindacati, al ritmo di “remiamo insieme che siano sulla stessa barca”: invito rivolto ai lavoratori, ai precari, ai giovani, ma anche agli imprenditori onesti, piccoli o grandi che siano. Nel frattempo, si chiede alla società rigore sulle pensioni e sulla spesa pubblica, provvedimenti si dice essenziali per generare risparmi di spesa di proporzione neppure lontanamente commensurabili con il bottino sottratto e ora rigenerato dallo scudo.

Allora ci spiace, dobbiamo ammettere che ci siamo sbagliati, che ci siamo illusi, dobbiamo prendere atto che di fronte ai dané il titolare della “fabbrichetta” (quella del caro vecchio Carlo Emilio Gadda), perde la testa come un vecchio di fronte ad un amorazzo di stagione e ritrova, crede di ritrovare, la vigoria dei vecchi tempi, di quando si facevano i soldi senza tante balle sulla responsabilità sociale, sulla “proprietà che obbliga”.

Così, Confindustria, con i suoi silenzi e le contorte argomentazioni portate a scusante, non solo ha perso un’irripetibile occasione per affermare la propria qualità di classe dirigente, ma, ed è ciò che è più grave, si allinea al berlusconismo come modello di governo consistente specificamente nell’assegnare a ciascuno, specie quelli che contano, una bella fetta di interessi particolari: c’è un prezzo da pagare ovviamente, che si può ben immaginare e che peserà sia sulla credibilità di Confindustria, sia sui suoi rapporti con chi ha concesso queste laute prebende.

Tutto questo Confindustria, l’avrà ben calcolato, avrà creato dei bei mal di pancia tra molti suoi associati e dirigenti, ma alla fine la decisione è presa sull’unico punto su cui un’associazione padronale trova sempre la sua raison d’etre: i dané sono i dané.

Se poi il Paese va a fondo, che s’impicchi … che anche in Argentina i ricchi non se la passano poi così male.

Giuseppe Ucciero



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