25 febbraio 2015

L’ATTRATTIVITÀ DELLA CITTÀ PASSA ANCHE PER IL BRAND MILANO?


Come si esporta un’idea di città? Raccontandone la storia, probabilmente, in modo da riannodare la sua identità per cercare di definirne i confini e le potenzialità. Proprio partendo da questa considerazione il Comitato Brand Milano, presieduto da Stefano Rolando, ha mosso i suoi primi passi a partire dal luglio 2012, provando a far emergere i temi identitari e di immagine della nostra città, con un lavoro intenso e programmato (cfr. su ArcipelagoMilano del 5 febbraio 2014, S. Rolando, Progetto Brand Milano. Lo stato dell’arte).

Dalla sua istituzione, il Comitato ha fatto molta strada e un segno tangibile si è visto nell’esposizione titolata Identità Milano, ospitata in Triennale (ma con propaggini e installazione temporanee dislocate per tutta la città) durante la primavera passata.

04liva08FBOra, la due giorni di dibattiti del Forum Identità Milano, tenutosi gli scorsi 19 e 20 febbraio ha dato nuova linfa al delicato processo di “citytelling” che il Comitato – una sorta di squadra civica che rema per Milano – sta sviluppando. Due giorni con ben quindici tavoli di discussione, tanti contributi da differenti prospettive e angolazioni e dunque, in definitiva, molte diverse visioni di Milano. Una pluralità di istantanee derivanti dai molti mondi in cui si divide la città, ma con l’obiettivo comune di fare sistema, di proporsi come complesso articolato ma coordinato, variegato ma coeso, estremamente «denso», per dirla con un’espressione di Stefano Boeri. Già, perché Milano incarna i tratti distintivi di una metropoli (è per definizione, infatti, una città multiculturale e non monoculturale) ma in territorio ristretto, dove diversi saperi ed esperienze si sovrappongono tra loro formando un ecosistema innovativo, spesso in grado di guidare l’Italia intera.

Il Comitato, idealmente, ha provato a leggere le trasformazioni della città partendo da una data simbolo: l’Expo del 1906, ospitato proprio da Milano all’inizio della Belle Époque, per provare a elaborare un patrimonio di simboli, persone, luoghi, storie, esperienze che – quasi visivamente – identifichino Milano alla vigilia del nuovo appuntamento con Expo. E ciò non solo per promuovere la città verso l’esterno, ma anche per fare riscoprire ai milanesi stessi ciò che talvolta sottovalutano, se si pensa che secondo l’ampia ricerca effettuata da Ipsos per il Comitato Brand Milano, risulta che talvolta i pendolari e i cosiddetti city users apprezzano Milano più dei suoi stessi residenti. Significativo, inoltre, constatare come la maggioranza dei milanesi e dei fruitori della città, immagina e allo stesso tempo auspica che nel futuro prossimo Milano possa estendersi, inglobare comuni limitrofi e dare corso alla costruzione – già in essere – della città metropolitana. A testimonianza che quando si parla del “modello Milano” non ci si riferisce più (solo) agli abitanti del “borgo” ma bensì a tutte le circa tre milioni e mezzo di persone che usufruiscono della città.

Lavorare sul City Brand appare, insomma, un lavoro di prospettiva significativo, anche perché, diceva l’assessore D’Alfonso nell’aprire il Forum, la prospettiva è tutto per il milanese: «egli è concreto nel senso che vuole avere prospettive, compiti ed obiettivi definiti».

Certo, questa non è un’attività sorta oggi: la gestione e l’analisi dell’identità e reputazione delle città è, infatti, un tipo di studio iniziato alla fine degli anni sessanta, ma attualmente sempre più richiesto. Basti pensare, ad esempio, al rapporto periodico Anholt – GfK Roper City Brands Index dell’inglese Simon Anholt, una vera e propria figura di riferimento del citybranding, redatto sulla base di un questionario di oltre 40 domande sottoposte a circa 20.000 persone in venti nazioni diverse, finalizzato a misurare e tracciare la loro percezione sulla reputazione di 50 città globali, tra cui Milano, piazzatasi, nell’ultimo aggiornamento, al quindicesimo posto.

In ultima analisi, forse, alla radice di questi sforzi vi è la lungimirante considerazione che la competizione globale, oggi molto più che in passato, avviene tra città metropolitane più che tra Stati nazionali. Tesi, questa, ben argomentata dal politologo americano della Columbia University Benjamin Barber nel suo ultimo libro tanto accattivante quanto provocatorio, a cominciare dal titolo: If Mayors Ruled the World. Dysfunctional Nations, Rising Cities. Le città, infatti, dove vive più della metà dell’intera popolazione mondale, con il loro crogiuolo di esperienze e conoscenze racchiuse in territori ristretti si contendono primati ed eccellenze e nella quotidiana «guerra per i talenti», per dirla con il titolo di un libro Ed Michaels, sempre di più appaiono in grado di superare i confini dei propri Stati nazionali di appartenenza che, al contrario, risultano in declino.

 

Martino Liva

 

 



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