21 gennaio 2015

VIA PADOVA BASTA CON LE FALSE ETICHETTE! LA LUNGA STRADA DELL’INTEGRAZIONE


Ora sarebbe addirittura “come la banlieue dei terroristi”: ecco, nell’immaginario di via Padova mancava questo furbo paragone, e ci ha pensato Mario Borghezio – una domenica mattina in visita al quartiere – a trovare le parole adatte per gettare un po’ di benzina sul fuoco. In certi casi le parole durano giusto il tempo di essere pronunciate, eppure lo stesso arrivano alle orecchie della gente, a chi ha gli strumenti per comprendere e chi no, chi ride e purtroppo chi applaude, chi conosce e chi no luoghi e situazioni. Buttate lì, non con leggerezza ma con studiata provocazione e mancanza di un serio approfondimento dei problemi, frasi superficiali e a effetto sono come uno schiaffo alla gente che nella zona vive, lavora, si impegna ogni giorno per l’integrazione e il miglioramento della qualità della vita sul territorio.

04poli03FBTra i quartieri difficili di Milano, via Padova – la lunga strada multietnica tra viale Monza e via Palmanova – è senz’altro in grado di suscitare, anche senza bisogno di commenti di sottofondo, le opinioni o le reazioni più disparate. Paura repulsione curiosità interesse, fino ad arrivare alla “familiarità”, all’annullamento di ogni iniziale sensazione di estraneità. Il succedersi di queste percezioni opposte va spesso di pari passo alla dimestichezza con il posto, i negozi, le persone; ben diverso se ci passa per caso una sera in macchina, da via Padova, se la si frequenta abitualmente, se si affitta o acquista una casa qui. La conoscenza accorcia le distanze, modifica le valutazioni.

Tanto che, qui più che altrove, molti residenti scelgono di dedicare tempo ed energie ad associazioni, comitati, gruppi politici o di volontariato; e di partecipare alle attività del Consiglio di Zona 2 e delle sue commissioni con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita sul territorio. Prove, esperimenti di coesione sociale sotto varie forme quindi – dalla scuola alla musica, dal teatro alla politica – in un circondario abitato da tante nazionalità diverse, dove la convivenza nasce in molti casi forzata e reciprocamente poco tollerante. Apertura e disponibilità dei cittadini, italiani e non, fanno segnare progressi che, impercettibili al primo sguardo, non sfuggono però a chi vive la realtà quotidiana del quartiere.

Perché via Padova non è solo emergenza e allarme, è soprattutto quotidianità. Vivace e densa umanità, spalmata su quattro chilometri di strada, da piazzale Loreto al quartiere Adriano. A tutte le ore del giorno e della notte la tagliano fischiando i treni che passano sul ponte sopraelevato della ferrovia, a tutte le ore donne e uomini di ogni Paese la attraversano in lungo e in largo: parlano, fanno la spesa, fumano, mangiano, bevono, non di rado si prendono a botte. La strada non è mai vuota. Ci sono i musulmani che aspettano la moschea in zona e gli italiani-cristiani che la temono come il peggiore dei mali, c’è la chiassosa comunità dei peruviani, i cinesi con i loro ristoranti e negozi, tanti dai Paesi dell’Est … .

No, via Padova non è un idillio di culture che si incontrano, un’isola felice, o una colorata stradina di Parigi: racchiude contraddizioni e contesti drammatici, specie in alcune aree limitrofe. Eppure non è nemmeno il Bronx che qualcuno vorrebbe a suo uso e consumo far credere, quello che esci dopo le dieci di sera e ti sparano o ti rapinano. È uno spazio concentrato, non solo di popolazione, ma di vita che scorre e a volte si incaglia, in un equilibrio instabile sempre pronto a rompersi. Per questo le parole pesano qui più che altrove, rischiano di avere un effetto deflagrante sulla paura e l’insicurezza dei residenti: gli anziani, chi vive in zona da poco, chi non ha, appunto, quella familiarità che discerne il vero dalle esagerazioni. L’attenzione dei media arriva puntuale a ogni rissa violenta, specie se scorre sangue, a ogni scoperta di cinesi che lavorano negli scantinati o di occupazioni abusiva; a ogni polemica da talk show post-attentato terroristico internazionale.

Silenzio invece su tutto il resto, su quanti in via Padova lavorano da anni per l’integrazione, facendo leva soprattutto sulle relazioni umane. Il complesso scolastico del Trotter, dove i bambini cinesi e magrebini fin dalle elementari studiano e convivono felicemente con gli italiani senza porsi gli stessi problemi dei loro genitori e nonni, non è una “nota di colore” da citare qua e là, è una delle tante realtà positive del quartiere. Così come l’associazione di Villa Pallavicini, al confine della via, che da anni organizza tante attività tra cui corsi di italiano per gli stranieri. Lo stesso sta facendo il circolo PD che, attivo da meno di due anni, ha riscoperto proprio grazie ai conflitti di via Padova l’idea di una politica sul territorio, vicina al quartiere e ai bisogni della gente. E proprio dal circolo Pd di via Padova sono nate altre iniziative, sviluppate nell’ambito del progetto dei “Luoghi ideali” di Fabrizio Barca, raccontato mesi fa da Elena Comelli qui sulle pagine di ArcipelagoMilano. Ora il progetto va avanti, nell’idea che questa via non sia una macchia da nascondere alla città, ma addirittura un luogo da esibire, non attraverso eccessi in negativo o false idealizzazioni, ma per quello che è.

Via Padova is not a lonely street” è il titolo della guida “turistica” che sarà realizzata per presentare la strada in occasione di Expo: bar, ristoranti di ogni etnia, storie e testimonianze nelle tante attività commerciali che hanno attraversato la trasformazione della zona nei decenni, da quando era terra di meridionali emigrati a Milano all’attuale mix multietnico … Intanto alcuni negozianti hanno accettato di farsi decorare le saracinesche da giovani artisti di Brera dando l’esempio agli altri: dalla Torrefazione al numero 64 al Supermercato della carta al numero 89, la via inizia a colorarsi.

Con questo non si vuole credere che gli abitanti siano tutti entusiasti frequentatori del circolo PD o del Consiglio di Zona, che tengano tutti corsi volontari agli immigrati o che siano nel comitato organizzatore dell’annuale, ormai celebre festa di maggio, “Via Padova è meglio di Milano“. Non è così: bisogna mettere in conto anche il vicino di casa che urla quasi ogni giorno “ecco, questa giunta ha favorito arabi e rom, e qui c’è solo degrado”. Ma che cos’è il degrado? La moto bruciata e abbandonata; i divani sventrati scaricati in via Arquà; l’immancabile bottiglia di birra vuota davanti al portone; o le bucce di quei semi di zucca sul marciapiede, mangiati in quantità buttando per terra gli scarti. Il degrado è temuto, e poi cavalcato in modo indegno da chi sa bene dove andare a parare, giocando sui sentimenti della gente, giocando sporco su ignoranza, diffidenza e istinti di cieca difesa dal possibile intruso … .

E veniamo allora a un punto cruciale, che cosa ha fatto e sta facendo questa Giunta per migliorare via Padova? In campagna elettorale l’impegno per un futuro cambiamento era stato forte, da queste parti. Qualcuno ora dirà semplicemente che non si è fatto niente; altri sosterranno, per sentito dire, che Pisapia “distribuisce aiuti e case solo agli immigrati e agli islamici”, ma niente fa di concreto contro il degrado e le sue cause: rabbia e indignazione trovano terreno facile, nei contesti difficili. Ma la percezione di molti è un’altra. Che se i problemi non sono risolti, qualcosa però è cambiato, soprattutto nell’approccio.

Da quasi quattro anni, una giunta progressista trasmette l’input che se l’integrazione ancora non è stata raggiunta, è però giusto – normale e non eccezionale – lavorare insieme per farla crescere, incentivando tolleranza e aggregazione, a differenza di quello che hanno fatto, per decenni, le amministrazioni di destra; non che criminalità e violenza siano magicamente scomparse, ma si è scelto di contrastarle insieme, in forme diverse dalla repressione, le ronde, l’esercito sotto casa. Con queste nuove premesse, alla fine hanno poi fatto probabilmente di più per via Padova i cittadini e le associazioni che non le istituzioni. Eppure pensiamoci, pensiamo a Borghezio e alla Lega: queste premesse non sono affatto così scontate! È un lavoro lungo, che passa attraverso le persone nel superamento di pregiudizi e diffidenza reciproca. Sono piccoli passi.

In via Padova molte signore anche anziane vanno ora dal parrucchiere cinese perché costa poco ed è tanto gentile; o fanno un salto al mini market arabo perché sta aperto fino a tardi e ha proprio di tutto, o provano i dolci della nuova pasticceria tunisina; e si chiama sempre più spesso l’idraulico rumeno, che in fondo non lavora male … . Per necessità, per caso e un po’ per curiosità le abitudini cambiano, con risultati lenti ma sorprendenti: con la conoscenza tra i singoli, il razzismo perde la sua primaria ragione di essere e il buio non fa più paura. È così che da via Padova scompaiono i mostri facendo posto a esseri umani.

 

Eleonora Poli

 



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