3 dicembre 2014

EXPO TRA COMPIACENTI REGALI E BANALI SCOPIAZZATURE


Cosa ci possiamo fare? Nulla ma almeno abbiamo il diritto di sapere chi ci ha messo la faccia (la firma), sempreché la nebbiosa burocrazia nostrana non si renda complice nell’occultare autori e responsabilità. Sto riavvolgendo il film con le ultime puntate di “Expo2015 show”. Il dottor Cantone, l’angelo custode della legalità della nostra esposizione universale, ha dato il via libera all’Albero della vita. Peccato. Se lo avesse bloccato avrebbe preso due piccioni con una fava: impedire lo spreco di denaro ed evitarci la figuraccia di copiare altrove quello che dovrebbe essere il simbolo imperituro dell’Expo. Spendere con leggerezza 8 milioni e mezzo dei quali 2,5 nel budget del Padiglione Italia, di questi tempi fa male: basta guardarsi attorno. Non importa se 5,8 milioni sono degli sponsor bresciani: vorrei che fossimo tutti d’accordo nel dire che con i tempi che corrono chiunque spenda male i suoi soldi fa un torto al Paese.

editorialeDico “male” perché per di più li spendiamo nel realizzare qualcosa che sembra proprio copiato, vedi foto, dai Gardens by the Bay di Singapore, aperti nel 2012 e che forse sono rimasti impressi nella fantasia di Marco Balich, il nostrano poco fantasioso autore. Sempre riavvolgendo il film mi trovo per le mani la questione del Cirque du Soleil. La cosa era poco risaputa ma ormai se ne parla sui giornali: questo famoso circo sarà a Expo2015 con un contratto di 6 milioni di euro. La scelta quantomeno è curiosa. Perché andare a cercare questi eccezionali mimi, acrobati e giocolieri? Per fare più cassa vista la poca attrattività dell’Expo milanese?

Si dice che faranno uno spettacolo speciale dedicato al cibo e mi viene la curiosità di sapere se declineranno il tema della nutrizione (o meglio della denutrizione) mandando in scena scheletrici giocolieri dello Zambia, lo Stato più affamato del mondo, insieme a qualche Nord Coreano, o fedeli alla loro cultura francese, non faranno camminare sul filo l’obeso Pantagruel. Ma noi non eravamo proprio capaci di allestire uno spettacolo? Noi che abbiamo inventato la commedia dell’arte, il carro di Tespi, il teatro di strada, l’opera buffa, noi, i veri inventori dei giochi circensi (magari con qualche innocente vittima cristiana allora)?

Sempre riavvolgendo il film arriviamo alla passerella che collega l’area di Expo a Cascina Merlata che sta di là della ferrovia ed è costata oltre 9 milioni di euro a carico di Expo. La ragione di tanto impegnativo cavalcavia pedonale sarebbero quelle di consentire il passaggio di 1300 persone (gli addetti di Expo alloggiati a Cascina Merlata secondo i calcoli di Euromilano, l’operatore immobiliare) per raggiungere il sito espositivo durante i sei mesi di Expo. Come dire 37 euro al giorno per persona: degli autobus navetta ci sarebbero costati meno di un quinto ma Euromilano non avrebbe incassato gli affitti né si sarebbe trovata alla fine un ulteriore collegamento alla sua area poco servita con la futura area del dopo Expo e i suoi per il momento incerti destini. Insomma una bella valorizzazione a spese della collettività.

Ma la vicenda di Cascina Merlata non è partita ieri. Anche qui riavvolgiamo il film. La vicenda si perde nella notte dei tempi e su quest’area le ambizioni degli immobiliaristi milanesi si susseguono e si accavallano e, se se ne segue la storia, ben documentata nella sezione Milano che cambia del sito dell’Ordine degli Architetti di Milano, si possono ripercorrere tutte le fasi della legislazione urbanistica e dei destini delle aree milanesi dell’ultimo decennio. Storia serpeggiante comunque quella di Cascina Merlata e che vede nel 2009 anche il ministro Lupi, allora assessore all’Urbanistica, presentare in conferenza stampa il “Progetto Cascina Merlata: a Milano la prima grande stazione attrezzata per i Tir. Abbandonato quel progetto, la vocazione edilizia residenziale prevale e alla fine si arriva alla svolta finale. Nella scintillante cornice del cinema Odeon, siamo nella primavera del 2011, Euromilano SPA, un’immobiliare non ancora salita agli onori della cronaca, di fronte a un parterre des rois tra immobiliaristi e politici, presenta il suo progetto di Cascina Merlata, frutto di un Accordo di Programma tra Comune, Regione, Provincia e la suddetta SPA. Per chi non se lo ricorda il cosiddetto Accordo di Programma era il grimaldello che apriva le porte all’urbanistica fai da te.

Ne scrissi allora su la Repubblica e, se fossimo al giorno d’oggi, sarei stato definito un “gufo” ma ci avevo visto giusto. Quello che allora feci notare è che si era saldato un fronte impressionante: nel progetto di Cascina Merlata c’erano dentro tutti, cooperative rosse, bianche, quindi destra e sinistra, immobiliaristi di varia natura e, forse insieme per la prima volta, persino le Coop e Bernardo Caprotti, visto che nell’area doveva sorgere un centro commerciale importante. Alla presentazione dell’Accordo di Programma in Consiglio comunale la sinistra fece una blanda opposizione, allora c’era una sinistra milanese che si era autorelegata per tre legislature a restare all’opposizione e dunque incline ad ammettere che il suo braccio secolare – la Lega delle Cooperative – facesse accordi anche col diavolo ma si sa, gli affari sono affari.

Oggi tutto è cambiato: la crisi dell’edilizia che già nel 2011 cominciava a mordere e solo gli sprovveduti pensavano a un ciclo di breve periodo, ha messo in crisi Euromilano e tutta l’operazione, almeno a quanto scrive Il sole 24 Radiocorr nello scorso mese di settembre e che consiglio vivamente di leggere. Mali di pancia per tutti, tutti litigano con tutti, i consigli di amministrazione diventano risse, anche per IntesaSanPaolo impigliata, a quanto si dice, in quest’operazione per 300 milioni (come dire la cifra del salvataggio di Alitalia). Nell’intreccio di interessi compare anche la Cassa di Depositi e Prestiti, ma che ci fa? Un bel pasticcio all’italiana legato a doppio filo alle sorti di Expo ma soprattutto al destino delle aree nel dopo expo. Nuvoloni all’orizzonte. La bolla immobiliare si trasforma in tante bollicine avvelenate. Avevano ragione i “gufi”?

Luca Beltrami Gadola



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