15 ottobre 2014

EXPO 2015, CITTÀ, COMUNITÀ: A CHE PUNTO SIAMO


Qualche giorno fa ho avuto l’occasione di partecipare a un’interessante discussione nella magnifica cornice della Fabbrica del giocattolo di Cormano. Oggetto il libro “Le mani su Milano” di Franco Stefanoni, edito da Laterza. Presenti, oltre all’autore, Pippo Civati e il giornalista del Fatto Quotidiano Mario Portanova. Il dibattito ha avuto quale focus il tema dell’edilizia, dell’abusivismo e della schizofrenia del cemento, cuore della ricerca nell’inchiesta di Stefanoni: sottotitolo del suo libro è, non a caso, “Gli oligarchi del cemento da Ligresti all’Expo“.

10telesca35FBMolte riflessioni sul tema dell’esposizione universale sono possibili ma una l’avverto quale di primaria importanza: quanto il concetto di comunità sia stato smantellato dalla modalità di realizzazione di Expo da parte dei nostri governanti. Una costruzione verticista, un modello verticale di utilizzazione delle risorse e del suolo pubblico, installazione di opere e strutture senza un reale coinvolgimento democratico della cittadinanza. Expo 2015, la grande occasione per Milano e l’Italia, si è trasformata inesorabilmente nell’ennesimo scandalo nostrano. La popolazione dei quartieri e dei paesi maggiormente interessati dalla manifestazione si sono visti piombare, tra capo e collo, ruspe e gru. In nessuna occasione amministratori locali, manager e funzionari di Expo si sono esposti in prima persona, presentando i progetti che potevano interessare la vita quotidiana della cittadinanza. Si è abbandonato il valore della sussidiarietà, che rende protagonisti gli enti locali rispetto al governo nazionale quali centri di potere, e di scelte politico-amministrative, più vicini a ognuno di noi.

La reazione è stata inevitabile: un rifiuto sempre maggiore nei confronti dell’evento, una sfiducia diffusa, la nascita di numerosi movimenti di protesta. Una battuta di Civati, riportata dalla direzione nazionale del PD, è emblematica: come faranno a terminare i lavori in soli sei mesi, quando nello stesso tempo faccio fatica a terminare i lavori di ristrutturazione del mio bagno di casa?

Il tema della comunità, e della sussidiarietà, non è casuale. Esso è presente nelle dinamiche della politica cittadina degli ultimi giorni. La scelta della giunta Pisapia di spingere sulle trascrizioni di matrimoni omosessuali eseguiti all’estero può essere interpretata in questo senso. Dando pieno senso al termine di comunità, è un bene collettivo il riconoscimento di unioni civili tra persone dello stesso sesso: vi è un valore affettivo, legale e persino economico da tutelare. L’ente comunale diviene sussidiario di un governo e un Parlamento nazionale bloccati sui temi dei diritti civili, avviluppati in dinamiche di mera strategia politica dalle pastoie conservatici del NCD. La scelta della giunta Pisapia, e della maggioranza di Palazzo Marino, è puramente politica, recuperando il senso più lindo e nobile del termine.

Comunità e sussidiarietà che a Milano sono state spinte ai vertici più alti dell’agire con le politiche di accoglienza riservate ai cittadini siriani. La città ha mostrato il suo volto migliore, mettendo a disposizione le scuole per fornire ai nuovi arrivati un luogo di transito verso il nord Europa che fosse tutelato e sicuro. Un intervento di supplenza alle assenze degli enti territorialmente e gerarchicamente superiori, leggasi Regione Lombardia e governo italiano.

Concludo lanciando un allarme: la nuova conformazione della policy amministrativa, con l’abbandono meramente figurato delle provincie e la nascita della città metropolitana, rischia di allontanare ulteriormente i governati dai governanti. Il disinteresse per le nuove regole, e le dinamiche che ne sono figlie, è diffuso tra i cittadini. Non potrebbe essere diversamente in un contesto nel quale prevalgono le nomine alle elezioni, in cui la politica si avvita in una costruzione cieca dei desideri di partecipazione alle dinamiche del bene pubblico.

Disperdere il valore laico e civile di comunità e sussidiarietà vuol dire dimenticare le nostri origini costituzionali e repubblicane, violando quel contratto sociale nato dalle ceneri dello stato autoritario e fascista. Expo 2015 è oramai alle porte: ciò che è stato, è stato. Dobbiamo lavorare per costruire nuove dinamiche virtuose con uno sguardo rivolto al 2016, anno di elezioni, nel quale torneremo a esprimere il nostro parere all’interno di una cabina elettorale. Ma con l’ambizione di un coinvolgimento continuo, quali membri di una comunità costantemente impegnata a progettare il proprio futuro.

Emanuele Telesca



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema








20 gennaio 2016

TRAIETTORIE: EXPO, DONNE, POTERE, LIBERTÀ

Giulia Mattace Raso



12 gennaio 2016

EXPO DOPO EXPO: SEI ANNI DOPO

Valeria Bottelli



16 dicembre 2015

NEBBIA SUL DOPO EXPO

Luca Rinaldi



10 dicembre 2015

DOPO EXPO. MA COSA SERVE A MILANO?

Lanfranco Senn


Ultimi commenti