27 luglio 2009

MARCO PONTI REAZIONARIO? PERCHÉ?


Reazionario, perché? No, direi, ma acuto provocatore delle idee correnti si. Marco Ponti ha ragione, ma il suo ragionamento è limitato. Intanto è vero che le aree agricole erose sono soprattutto coltivi, ma perché dovrebbe essere diversamente? In città si deve mangiare no? E se non è nella città a fianco i prodotti saranno per un’altra città. Anche da un punto di vista strettamente ambientalistico le città lasciano un’impronta che comprende anche la necessità di produrre intensivamente, da qualche parte. Nella vulgata corrente prevale ancora la visione ottocentesca della contrapposizione tra città e campagna, anche se questa distinzione è oggi fittizia e si basa su concezioni obsolete, benché tuttora ampiamente diffuse nell’opinione pubblica, anche quella colta.

Il geografo svedese Staffan Helmfrid nota che “gli abitanti delle città pretenderebbero di trovare nel paesaggio il prodotto di una società rurale che vive in armonia con se stessa e con la natura, immutabile e per sempre congelata in una mitica Età dell’Oro” e accusano gli agricoltori di contaminare questa natura con le loro pratiche sempre più meccanizzate, dipendenti dall’impiego di prodotti chimici e distruttive del tessuto rurale tradizionale. Ma è proprio la crescita impetuosa delle città ad aver cambiato quella che ci si ostina ancora a chiamare “campagna”.Comunque il problema non è solo economico, la “domanda” di abitazioni o la comodità di avere una casa con il box, il giardino per i bambini e un ottimo supermall a dieci minuti d’auto.

Tutte cose vere, ma Marco Ponti sa bene che un conto sono gli interessi e i bisogni individuali, che il sistema di mercato è bravissimo a soddisfare (“dammi un desiderio – anzi te lo propongo io – e ti solleverò il mondo”) ma gli interessi e i problemi collettivi che il mercato non è particolarmente bravo a risolvere, anzi. La sprawl è una di queste situazioni: “Otto volte l’Italia: è la nostra impronta ecologica. Un deficit che è anche indicatore di sprechi. Che sono da limitare modificando il nostro stile di vita” (Il Corriere della Sera, 10 luglio 2009). Otto volte Italia. Ci vorrebbe la superficie di otto Italie per produrre ciò che in un anno i 60 milioni d’italiani consumano. Invece la superficie è quella che è (301 mila chilometri quadrati), i consumi sono da Paese – cicala (soprattutto in fatto di energia) e il deficit ecologico rilevante.”.

Ma il problema non è solo ambientale e politico, ma sociale, culturale e politico in senso ampio. Robert Beauregard ha scritto un bellissimo libro spigando in modo convincente come i sobborghi americani abbiamo cambiato la natura del sistema politico e sociale americano (Beauregard Robert A., When America Became Suburban, University of Minnesota Press, Minneapolis 2006). Il famoso box, com’è ben spiegato in questa illustrazione, ha “mangiato” la città. Ma non è solo la tecnologia della mobilità ad avere effetti negativi: senza le tecnologie a rete, dall’acqua all’informazione e soprattutto a quel gran rubinetto d’informazione che è la televisione, non avremmo lo sprawl in cui l’agorà è stata assorbita dal tinello lasciando quella società della rappresentazione e dell’imbonimento e del cittadino suddito.

Guido Martinotti



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