10 luglio 2013

PROVINCE: GOVERNO “MI STAI DILUDENDO”


La Consulta ha dichiarato illegittima l’eliminazione per decreto delle provincie. Bene! La proposta di eliminare le provincie è il frutto del populismo imperante e della debolezza del riformismo degli ultimi venti anni. Il decreto di Monti proponeva di ridurre il numero delle provincie e di affidarne il governo a organismi di secondo livello, cioè a forme consortili tra comuni; soluzione già sperimentata negli anni ’70 e ’80 con esiti nulli. Per le provincie lombarde si sarebbe tratto di organismi formati dai rappresentanti di centinaia di comuni: paralisi sicura di ogni decisione.

Ora sembra che la proposta del Governo sia di eliminare totalmente le provincie con legge costituzionale, affidandone le funzioni alle regioni. L’Italia sarebbe dunque l’unico tra i grandi paesi europei a non avere un livello di governo intermedio tra comune e regione; resterebbe il rapporto diretto tra comuni e regione, sia nel Molise con 320.000 abitanti e 136 comuni, sia in Lombardia con 9.900.000 abitanti e 1544 comuni (per inciso nella graduatoria per popolazione dei paesi dell’Unione europea, la Lombardia si collocherebbe al 13° o al 14° posto).

Il vero obbiettivo di una riforma seria dovrebbe essere l’adeguamento della struttura delle autonomie locali, concepita nella Costituzione del 1948, al mutamento dell’assetto sociale e produttivo del territorio. La distribuzione della popolazione e delle imprese sul territorio nazionale, come si è andata configurando negli ultimi trent’anni, richiede modelli istituzionali differenziati. La sola eliminazione delle provincie è una proposta populista perché si presenta come soluzione semplice a un problema complesso: una soluzione sbagliata e dannosa.

Mancando lo spazio per un esame sistematico della struttura territoriale del Paese che dovrebbe essere alla base delle decisioni politiche di riassetto delle istituzioni, almeno per chi si definisce riformista, darò alcuni spunti.

1. Il territorio nazionale ha subito un intenso fenomeno di metropolitanizzazione. Secondo una recente ricerca del CENSIS sul pendolarismo, sappiamo che la metà della popolazione italiana si sposta quotidianamente fuori dal proprio comune di residenza, prevalentemente all’interno della rispettiva provincia. Il 70% dei movimenti globali, di persone e merci, è di corto e medio raggio; il sistema dei trasporti di scala provinciale / metropolitana è quantitativamente più importante degli spostamenti di lungo raggio (Alta velocità, autostrade, ponte di Messina, ecc). Ciò significa che metà della popolazione non abita solo il territorio del proprio comune ma utilizza quotidianamente quello provinciale.

2. Ci sono provincie che non diventeranno città metropolitane (se mai si faranno), ma che per popolazione e complessità produttiva pesano più di intere regioni. La provincia di Brescia con 1.256.000 abitanti e 206 comuni è più “grande” della Val d’Aosta, del Trentino Alto Adige, del Friuli Venezia Giulia, dell’Umbria, del Molise e della Basilicata ed è più popolosa (e produttiva) delle future città metropolitane di Venezia, Firenze, Palermo e Cagliari. Che senso ha non dare a tale territorio un livello di governo forte e rappresentativo?

3. Le provincie si occupano di: pianificazione del territorio, trasporto pubblico, viabilità, ciclo delle acque, smaltimento dei rifiuti, gestione delle aree protette, tutela dell’assetto idrogeologico, istruzione superiore, mercato del lavoro, ecc. Scelte di grande rilevanza politica che richiedono di essere assunte dai rappresentanti diretti dei cittadini. Per dare risposte efficaci ai cittadini e alle imprese e alla tutela dell’ambiente i poteri delle provincie dovrebbero essere rafforzati.

4. Dunque l’eliminazione delle Provincie sotto il profilo funzionale non ha alcuna logica razionale: il provvedimento è dettato dall’unico criterio mediatico di offrire al pubblico un risparmio della spesa pubblica a breve termine; si sono scelte le provincie perché sono la compagine politicamente più debole del quadro istituzionale. Il risparmio sarebbe oltretutto poco significativo perché riguarderebbe solo gli emolumenti degli amministratori. Infatti, non potendo eliminare le funzioni svolte dalle provincie, il personale dovrà essere trasferito alle regioni che hanno contratti mediamente più onerosi e dunque il loro maggior costo compenserà i risparmi.

5. In Italia ci sono 8.092 comuni: 5.700 hanno meno di 5.000 abitanti: a parte Roma capitale con 2.617.000 abitanti, il comune più popoloso è Milano con 1.300.000 abitanti circa; il più piccolo è Pedesina (SO) con 30 abitanti: le prerogative istituzionali dei due comuni sono le stesse. Forse andrebbe ridotto il numero di comuni, accorpando i più piccoli, prima di eliminare le provincie. A lungo termine i costi di un assetto territoriale irrazionale e di istituzioni poco efficaci saranno enormemente superiori ai risparmi ottenuti con la soppressione delle provincie.

Se il grande obbiettivo di riforma degli enti locali di questo Governo deve essere l’eliminazione delle provincie senza alcuna credibile alternativa di governo del territorio, senza ridurre il numero dei comuni, senza scalfire il patto di stabilità che li strangola e senza controllare la spesa delle regioni, meglio andar a votare sperando che i riformisti alle prossime elezioni si presentino avendo studiato meglio.

 

Ugo Targetti

 



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