22 maggio 2013

L’ASTINENZA DA AUTOMOBILE È SOLO UN MITO?


Ci vuole una bella faccia tosta per dire che è ora di uscire dalla civiltà dell’automobile di proprietà o che bisogna iniziare a immaginare e a perseguire un modello di città senz’auto, alla luce delle considerazioni, vere ma parziali, svolte da Marco Ponti nel suo articolo [ArcipelagoMilano, 15 maggio 2013]. E però viviamo un’epoca storica in cui la faccia tosta bisogna averla. Bisogna uscire da quel tunnel, da quella immane forma di dipendenza sociale e mentale (tengo auto, dunque sono!) che fa sì che alle 18.01 di una stupenda domenica senz’auto migliaia di guidatori di SUV si riversino nelle strade milanesi come i fumatori fuori dall’ufficio alla pausa caffè.

Senza trascurare il fatto che l’intero ciclo economico da cui stiamo uscendo dolorosamente è stato il ciclo dell’automobile di massa. L’automobile di massa, la sua produzione, la mutata percezione delle distanze che ha sovvertito le regole non scritte della rendita urbana (che ha reso possibile lo sprawl urbano e la delocalizzazione dei siti produttivi: l’economia del mattone selvaggio) ha generato e distribuito ricchezza di cui tutti in varia misura abbiamo beneficiato. Ha prodotto anche debito, pubblico e privato, quando al crepuscolo di quella fase di sviluppo, gli Stati (non solo l’Italia) e le banche hanno sviluppato politiche di accanimento terapeutico per mantenere in vigore artificialmente un ciclo già declinante, attingendo dalle proprie casse per inventarsi forme di surrettizio sostegno a una domanda ormai satura, dagli incentivi per la rottamazione dei veicoli a quelli per costruire capannoni vuoti.

Ma quel ciclo è finito, e dobbiamo chiederci se ripartirà con la ripresa delle stesse forme di consumo che si sono affermate per tutta le seconda metà del XX secolo, riproponendone le medesime contraddizioni. Oppure secondo nuove traiettorie. La rete promotrice dalla manifestazione di sabato 4 maggio ha la faccia tosta di definirsi ‘Mobilità Nuova’: una sigla ambiziosa, che sottintende un cambio di modello sufficientemente radicale da tracciare una nuova traiettoria. Gli avvertimenti di Ponti sono dunque utili a leggere le irrazionalità del presente, ma sono superati da questa visione.

È vero, gli automobilisti sono ottimi contribuenti, con una fiscalità che, ci ricorda Ponti, genera un’entrata allo Stato per diverse decine di miliardi. Ma a quale costo economico e sociale? Il possesso e la gestione del parco auto costa a una famiglia media (1,5 automobili/famiglia: più automobili che figli) una cifra che si avvicina ai 10.000 euro/anno (al netto dei costi di rimessaggio, visto che in Italia quasi ovunque sono i comuni a concedere l’uso gratuito di spazi pubblici per lo stazionamento dei veicoli dei residenti, per un controvalore non riscosso di svariati miliardi) e che pertanto costituisce la prima voce di spesa delle famiglie, superando di gran lunga le spese per l’alimentazione e pure quelle per la casa. Questa somma, moltiplicata per il numero di famiglie, fa circa 250 miliardi come spesa nazionale dedicata alla sola mobilità individuale e proprietaria. Il fatto che da questa spesa si cavi un enorme beneficio fiscale è sufficiente a renderla ragionevole?

Aggiungo poi che è da capire quanto di questa entrata resti e quanto invece torni direttamente agli automobilisti, per coprire il costo di realizzazione e gestione di una rete stradale sovradimensionata, per pagare i corpi di polizia chiamati a presidiare il codice della strada, e soprattutto per i costi sanitari connessi all’abuso dell’auto. Costi che solo in parte sono quelli legati alle patologie da smog, dal momento che ospedali, reparti di pronto soccorso e riabilitazione sono intasati di feriti da traumi stradali, e che invece le lungo degenze sono alimentate dalle patologie degenerative da sedentarietà, vero male della nostra epoca a cui la mobilità automobilistica concorre in modo determinante.

Queste enormità sono sufficienti a giustificare l’inefficienza nell’uso dei sussidi al trasporto pubblico? Assolutamente no, una ventata di innovazione e di vera competizione è necessaria da tempo in questo settore, ed è su questo argomento che le tesi di Ponti sono assai pertinenti, visto che un autobus che viaggia vuoto è più inefficiente della peggiore auto: ma il problema non è che si spenda troppo, bensì che si spenda in modo non qualificato in rapporto al bisogno.

Inaccettabile però è anche la tesi opposta, e cioè che la mobilità privata sia un modello di efficienza nella spesa. I 250 miliardi ‘immobilizzati’ dalle famiglie per la mobilità privata vanno su un mezzo di trasporto che opera con un livello di efficienza energetica (inteso come rapporto tra spostamento utile e energia spesa per generarlo) inferiore al 2%, visto che uso una macchina pesante una tonnellata per spostare corpi che pesano mediamente 70 kg e che l’efficienza dei motori non raggiunge il 30%. E servono per la detenzione e l’uso di un oggetto ingombrante e costoso inutilizzato per 22 ore al giorno e mal utilizzato per le altre due: è come se, per avere l’acqua in casa, ogni famiglia si costruisse il proprio pozzo privato.

Vogliamo partire da questi dati termodinamicamente oggettivi e finanziariamente immensi per valutare quanto siano enormi i margini per immaginare, progettare e costruire un sistema di mobilità radicalmente rinnovato, una mobilità nuova e non proprietaria (se vi piace l’inglesismo, chiamatela pure open source), che segni un salto di civiltà non meno rilevante di quanto abbiano fatto, un paio di secoli fa, gli investimenti pubblici in acquedotti e fognature? Opere pubbliche che ci hanno cambiato la vita, liberandoci dall’onere di costruirci un pozzo privato per avere acqua in casa. Ecco dunque, praticare la mobilità nuova significa investire per dotarsi delle infrastrutture (molto più piattaforme digitali che autostrade) di cui ha bisogno il nostro secolo, per consentire a chiunque l’accesso agevole ai servizi e ai mezzi di mobilità, senza che questo comporti la necessità di investire un terzo del proprio reddito per esserne proprietari.

C’è lavoro in vista per gli economisti dei trasporti, oltre che per i creativi della Mobilità Nuova.

Damiano Di Simine*

*presidente di Legambiente Lombardia

 



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