15 maggio 2013

MOBILITÀ: CHI PAGA È IRRILEVANTE, DECIDE IL PRINCIPE


Le posizioni espresse recentemente su ArcipelagoMilano a proposito del traffico e della mobilità (dall’ottima Maria Berrini ma in diverse forme anche da altri) sono certo “politically correct”, ma un po’ inquietanti per un economista che si occupa di politiche pubbliche: le macchine devono essere più represse di quanto sono ora, (anzi se possibile sarebbe meglio proibirle del tutto, ma questo non si può dire troppo). Il fatto che il settore automobilistico generi allo Stato qualche decina di miliardi all’anno, mentre gli utenti del trasporto pubblico paghino solo una piccola quota dei servizi che usano, costando a tutti gli altri cittadini con le tasse (a Milano più di un milione di euro al giorno), sembra un aspetto totalmente irrilevante.

Anzi, questa situazione deve essere ulteriormente squilibrata. La nuova normativa che i promotori della recente manifestazione ciclopedonale promuovono infatti recita: “…. una legge di iniziativa popolare che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere pubbliche che favoriscono lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato” (questo ultimo settore, poverino, è innocente, richiedendo pochi soldi pubblici).

Ora, alcune cose di questa proposta di legge non sono irragionevoli, per esempio quando parlano di uno squilibrio tra spese per infrastrutture di lunga distanza e infrastrutture di breve, dove si svolge la maggior parte del traffico e c’è la maggior parte dei problemi. Ma anche qui, la logica proposta è indifendibile: ci sono infrastrutture per la lunga distanza che forse possono essere utili. Occorre decidere sempre sulla base di analisi costi-benefici comparative e “terze”, non su allocazioni arbitrarie delle risorse pubbliche. Queste analisi oggi comprendono ovviamente anche gli aspetti ambientali, e darebbero molte sorprese proprio ai difensori a oltranza dell’ambiente. E poi c’è il piccolo dettaglio che per le autostrade si richiede che le paghino gli utenti per almeno il 50%, mentre per le ferrovie questa percentuale scende un po’, siamo intorno allo 0%, ma generalmente anche meno, visto che si richiedono molti soldi pubblici persino per farci andare sopra i treni. Tutto benissimo, se i soldi pubblici fossero abbondanti, o non ci fossero altre drammatiche priorità sociali. Questi lussi potremmo permetterceli.

E a proposito di socialità, come si può ignorare la ricerca del CENSIS sui pendolari, che testimonia che il 10% va in treno, il 20% in bus, e il 70% in auto, ma non solo: gli operai vanno molto di più in auto, gli impiegati e gli studenti, lavorando e studiando in aree più centrali, usano molto di più i mezzi pubblici. L’argomentazione che con i soldi pubblici si potrebbe fornire più servizi anche alla mobilità operaia, e più in generale nelle aree a bassa densità, è indifendibile: per motivi di reddito, infatti gli operai risiedono e lavorano in tanta malora (cioè generano una mobilità estremamente frammentata), che non è servibile dai trasporti collettivi se non in piccola parte.

Tutti i modelli di simulazione mostrano che lo spostamento modale ottenibile, con costi pubblici molto alti, sarebbe di pochi punti percentuali, e moltissimi operai e cittadini “esterni” dunque continuerebbero a spostarsi in macchina, pagando un sacco di soldi per la benzina e stando sempre più in coda (se questa curiosa legge passasse). Gli impiegati, e chi ha potuto comperarsi una casa in città, sarebbero invece molto più contenti.

Si noti poi che questa politica di altissima tassazione del modo automobilistico, e di elevatissimo sussidio al trasporto pubblico, è in atto da decenni, con risultati modesti o nulli. Forse dunque le ragioni strutturali illustrate sopra, che rendono difficile lo spostamento dell’utenza sul trasporto pubblico, hanno qualche fondo di verità.

Ovviamente c’è poi il problema ambientale, che è massimo nelle aree urbane dense a motivo dell'”effetto canyon”: tanta gente esposta alle emissioni su strade relativamente strette, dove queste emissioni fanno fatica a disperdersi. Qui è ragionevole e funzionale limitare l’uso del mezzo privato (cfr. l’Area C), ma forse non irragionevole sussidiare in modo mirato con le tariffe del trasporto pubblico solo le categorie sociali più deboli (perché sussidiare i ricchi che vivono in centro?).

E infine non si può dimenticare che il traffico motorizzato è il settore inquinante che “internalizza” più di tutti gli altri i costi ambientali che genera (secondo il principio, equo ed efficiente, noto come “polluters pay“). Ma già, dimenticavo: cosa importa chi paga? Decide il principe….

 

Marco Ponti

 



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