16 ottobre 2012

DALLA CASA BENE RIFUGIO ALLA CASA SOCIALE


Parto da questa notizia riportata dal Corriere della Sera di venerdì 5 ottobre: a Milano 80.000 alloggi sfitti e una notevole fascia di popolazione è senza casa, soprattutto giovani. Abitare è condizione dell’esistere, diceva Heidegger, tuttavia sembra che nella nostra città questa verità esistenziale non sia valida. A parte i popoli migranti come i Rom tutti gli altri hanno bisogno di una casa: ora osserviamo che a questo bisogno fondamentale si risponde nei modi più disparati. Nella città vi sono diverse opzioni tra edilizia del libero mercato, edilizia convenzionata e edilizia sociale: la prima è appannaggio dei privati che vogliono guadagnare, le società immobiliari, la seconda in genere è quella delle cooperative edilizie e la terza quella dell’ente pubblico.

Questa diversificazione dovrebbe risolvere la richiesta in ragione delle possibilità economiche ma non è così. Il mattone è diventato un bene rifugio per gli investimenti di denaro, quello che rende di più. Le grandi ricchezze negli ultimi sessanta anni si sono accumulate con la cosiddetta speculazione edilizia perché il valore è sempre in crescita, salvo brevi periodi, perché la domanda di investire risparmi in una casa è sempre alta, vedi i Fondi Pensione delle banche, Assicurazioni e via dicendo, salvo nei momenti di crisi come questo e allora tutto si ferma. Ricordo per inciso che l’attuale crisi economica nasce dalla bolla speculativa sulle case negli Stati Uniti che si è sgonfiata, l’economia dunque è condizionata dall’edilizia abitativa come abbiamo visto anche nel redazionale di Beltrami Gadola della scorsa settimana.

Così abbiamo una situazione di questo tipo: si continua a costruire per il libero mercato e quindi per la fascia di popolazione che ha denaro da investire e che acquista più di una casa, ma che oggi sta a guardare, e invece non si risponde alla domanda di una parte notevole di società che non ha i soldi per l’acquisto o l’affitto di una casa del mercato edilizio. Dunque abbiamo un continuo squilibrio tra una fascia di popolazione che possiede più di una casa e una che non possiede nemmeno la prima e non ha abbastanza reddito per affittarla. Poi vi è l’edilizia sociale, o popolare, quella costruita dall’ente pubblico ma oltre che essere insufficiente, non è accessibile alla fascia intermedia perché non ha i requisiti economici, che non sono così bassi.

In questa situazione si ritiene che a qualcuno interessi che le case siano costruite a regola d’arte seguendo principi di sostenibilità energetica e sociale? Un po’ diverso è stato l’operare del mondo cooperativo, almeno nella prima metà del secolo scorso, infatti sono di quegli anni progetti di città giardino e d’interventi edificatori che prevedevano la proprietà indivisa, prezzi d’affitto calmierati congiuntamente a una vita di relazione diversa e una filosofia che voleva alcuni servizi in comune e molta solidarietà, come ad esempio i quartieri della Società Umanitaria dei primi del ‘900. Purtroppo nel secondo dopoguerra la cooperazione, che intanto sceglie la proprietà divisa seguendo le mode, finisce per operare come le immobiliari: anche se all’inizio si costruisce per i soci che le abitano, dopo qualche anno le case possono essere vendute entrando così nel libero mercato e generando notevoli affari.

La condizione migliore per abitare dal punto di vista sociologico e urbanistico è che nel quartiere dove si risiede vi sia un mix di ceti che impediscano i ghetti e i non luoghi, secondo la definizione di Marc Augè, ma questo, benché teoricamente sia predicato, non è facile da raggiungere nelle condizioni su esposte perché dipende da diversi fattori tra cui la scelta delle aree e la presenza d’infrastrutture costose, senza le quali si ha il degrado, che non sempre è una caratteristica dell’edilizia popolare, Santa Giulia ne è un esempio.

Ma tornando al problema iniziale delle fasce di popolazione senza casa si può solo affermare che, perdurante la crisi economica attuale e stante così le cose del libero mercato, il numero dei senza tetto non potrà che aumentare e si aggiungeranno anche gli esodati, i separati, vedi l’ethnofiction di Marc Augè appunto, e quanti altri comuni mortali in situazione precaria nonché gli anziani con pensioni basse. Ora credo che vi siano più strade per risolvere il problema o quantomeno diminuirne la drammaticità. In primo luogo quella di costruire più edilizia sociale, cambiando le regole di accesso, ma questo richiede anni e avverrà soltanto con una politica della casa seria da parte di un governo forte.

In secondo luogo l’Housing Sociale di enti senza fini di lucro, come a Milano la Fondazione Cariplo, se infatti introduciamo nel mercato della casa il principio del costruire bene in zone non degradate, secondo criteri ecosostenibili, a prezzi modici per le fasce di popolazione che non hanno casa, questo potrebbe determinare circoli virtuosi che potrebbero abbassare i prezzi del libero mercato che per concorrere dovrà adeguarsi. Naturalmente perché ciò avvenga è necessario che la quota di questa edilizia sia abbastanza elevata e di alto livello qualitativo perché la bellezza è attrattiva. Terza e ultima strada quella di un fondo comunale di garanzia per aiutare chi non ce la fa con l’affitto del libero mercato. Questo aiuterebbe anche i proprietari ad avere più fiducia nella locazione perché saprebbero che saranno pagati o dagli inquilini o, nel caso peggiore di perdita del reddito, dall’intervento del Comune.

Nella situazione attuale invece noi abbiamo case brutte e costruite male ma molto costose che consumano molte risorse, abitate ovviamente da una sola categoria di persone o addirittura vuote, con un gap notevole fra il costo di costruzione e il prezzo di vendita, abbiamo la certificazione energetica, è vero, un segnale positivo ma non basta. In questo modo la città non risponde ai senza tetto ma si struttura per distretti separati dal censo, cosa opposta a quel mix cui si accennava, con un patrimonio immobiliare vuoto mentre aumenta il numero degli sfrattati.

 

Maurizio Spada

 

PS. Che in questa situazione gli Enti senza fine di lucro con un patrimonio immobiliare affittino case ai prezzi di mercato è scandaloso. Altro che considerare scandaloso il contrario cioè che non facciano il prezzo di mercato. Sarebbe giusto invece che praticassero prezzi calmierati con trasparenza nella selezione degli inquilini, che dovrebbero essere quelli che realmente hanno bisogno e non i soliti raccomandati della politica.     



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