3 ottobre 2012

IL MAGUTT NON POSA IL MATTONE


“L’acqua c’è, ma il cavallo non beve”, diceva Keynes e noi, parafrasando, potremmo dire: “ci sarebbe dove mettere il mattone ma il magutt non ce lo mette”. La fola rinverdita dalla passata amministrazione e dal suo PGT che basti offrire cubatura disponibile perché l’edilizia riparta – e con questo si risolvono tanti problemi tra i quali per primo quello degli alloggi destinati ai ceti più deboli – si è mostrata per quello che è: una fola.

Lasciamo da parte per un attimo la questione del risparmio di suolo, principio sacrosanto, ma parliamo di quello, molto, che oggi si potrebbe fare pur risparmiando il suolo, e non si fa. Quali sono dunque i nodi che vengono al pettine, quali i danni per la città, quali le ragioni? Cominciamo con l’allineare qualcuna di queste: la crisi economica generale del Paese certo è la prima, le famiglie sono più povere e quelle che non lo sono non investono i propri denari che oggi più che mai costituiscono un paracadute prezioso. I risparmi restano nel circuito finanziario e le banche trattengono questa liquidità senza farla tornare in circolo verso il settore produttivo. Il mercato, per quanto fermo, non fa scendere i prezzi ma anche quando scendono il numero delle transazioni è bassissimo e i tempi si sono allungati. I privati aspettano momenti migliori per chi vende e le società immobiliari se abbassassero i prezzi, fatti quando la domanda solvibile era alta, andrebbero in perdita e dovrebbero portare i libri in tribunale: mercato fermo.

L’unica attività che incontrerebbe il mercato è quella della edilizia agevolata, più accessibile per prezzo di vendita: questa attività è in sostanza possibile per le imprese di costruzioni che siano disposte a cercare i profitti solo sul versante dell’attività di costruzione e non sui margini immobiliari ma oggi le imprese probabilmente disponibili non hanno i capitali necessari e accedono al credito con grande difficoltà. Veniamo ora ai danni: se l’attività edilizia è ferma tutte le aspettative, ancorché modeste, di risolvere il problema delle case per i ceti deboli, come anche previsto nel nuovo PGT, con una sorta di prelievo sull’attività nel libero mercato – la quota del costruito da convenzionare – visto che questa “base imponibile” non c’è, ogni aspettativa è vana.

Con l’attuale crisi molte società immobiliari o hanno già portato i libri in tribunale o comunque hanno fermato la loro attività e i cantieri lasciati a mezzo, le cesate dietro le quali nulla si muove, le case da ristrutturare lasciate come se ci fosse passata la guerra o la peste non si contano nel paesaggio urbano. Molte città straniere hanno coperto questi edifici di divertenti murales o di trompe l’oeil ma non credo sia una soluzione che soddisfi i milanesi, gente concreta. Qualunque speranza di una rapida soluzione è illusoria, anche solo pensando che, nel caso di un’area o un edificio, un fallimento per chiudersi ha bisogno almeno di una decina di anni e fino a quel momento nulla o quasi si muoverà. Va nella direzione giusta, ma è di portata molto limitata, il provvedimento adottato dall’assessore De Cesaris con la richiesta di mettere in sicurezza alcuni immobili – operazione questa costosa e i cui costi sono a perdere – per stimolare gli operatori a chiudere qualche ferita urbanistica.

Altro danno consistente è il duplice peso per l’amministrazione come conseguenza della rinuncia ad aprire i cantieri: aver restituito gli oneri di urbanizzazione già incassati – a oggi circa 10 milioni – e la quasi certezza di doverne restituire ancora 3 nell’anno in corso e con la prospettiva di dover fare in futuro forti rettifiche al bilancio di previsione. Come venirne a capo? Oltre alla legittima speranza che l’economia del Paese riprenda dobbiamo tener presente che se, come per tutte le crisi, non cogliamo l’occasione per un ripensamento generale del comparto dell’edilizia – pubblica e privata – le nostre città non avranno un futuro accettabile. Bisogna eliminare una volta per tutte la separatezza concettuale tra economia, urbanistica, funzioni dello Stato, ruolo e poteri dell’amministrazione locale e delle rispettive burocrazie, l’efficienza di queste ultime e per finire la collegata fiscalità

Un’occasione per ripensare potrebbe essere il nodo da sciogliere delle aree metropolitane e delle conseguenze sull’urbanistica, questione ben più urgente e praticabile che non le farneticazioni formigoniane delle macroregioni.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 



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