6 dicembre 2011

PER UNA PATRIMONIALE DI SINISTRA


Il 28 maggio 1947 Raffaele Mattioli scrisse una lunga a meditata lettera a Palmiro Togliatti. Nello scritto, l’uomo della Comit, dà al segretario del Partito Comunista alcune chiavi interpretative della situazione economica e suggerisce qualche soluzione. “Oggi si è determinato uno stato di cose in cui il rapporto tra moneta e finanza da una parte, e cose (produzione e distribuzione) dall’altra – è falsato. La moneta e la finanza se ne vanno per conto loro, in un mondo di falsità, e non compiono più la loro funzione di metro e strumento per meglio maneggiare le cose.”. Era l’eredità del ventennio, della guerra, del collasso economico. In seguito ci avrebbero pensato il liberismo ideologico e i banchieri d’assalto.

Tutta l’argomentazione di Mattioli ruota attorno all’esigenza di ripristinare un corretto rapporto tra economia e finanza. “Poter fare i conti vuol dire ripristinare una condizione […] in cui si possa di nuovo calcolare costi e ricavi, determinare l’incidenza effettiva di un’imposta e il potere d’acquisto di un salario, fare delle previsioni ragionevolmente approssimative per un periodo di tempo moderato.” Poi Mattioli fa l’esempio della patrimoniale. “In regime di moneta fondente […] si incassa in realtà molto meno del previsto – e si butta via uno strumento politicamente e finanziariamente utilissimo per realizzare la stabilizzazione, a cui si dovrà arrivare.”

Scopo delle imposte straordinarie, tipo patrimoniale, è il finanziamento di spese considerate indispensabili, senza ricorrere, “in forma aperta o dissimulata”, all’inflazione. La patrimoniale, cioè, bisogna giocarsela bene, facendo con cura i conti su quanto si vuole ottenere, quindi in regime di relativa stabilità finanziaria, e individuando per tempo le spese cui il gettito deve essere destinato. “Bisogna che queste, come tutte le altre spese, siano quanto più è possibile, produttive. E se non è possibile che siano immediatamente produttive di beni di consumo, almeno produttive di beni di produzione e di consumo duraturo. Un accenno solo: l’edilizia urbana e rurale, anche in funzione per esempio del problema del latifondo.”

Sembra che Togliatti non abbia mai risposto alla lettera di Mattioli. Ma quegli accenni tornano oggi di attualità, visto che di patrimoniale, senza troppe specificazioni, si è ricominciato a parlare con insistenza, non solo a sinistra. Mi pare che lo schema di massima suggerito da Mattioli sia valido oggi non meno di allora. Non solo, ma il compito della sinistra direi che sta proprio nel contrattare il destino della patrimoniale (cioè il che cosa farne), dando a questo problema almeno la stessa importanza che ha lo stabilirne le fonti (da dove, da quali redditi, trarre il prelievo). Bisogna cioè utilizzare la patrimoniale per fare in modo che cambi effettivamente qualcosa nel paese.

Se non dovesse essere così, la patrimoniale finirebbe con l’assomigliare un po’ a un condono fiscale, magari solo un po’ più di sinistra. Per questo non mi sembrano particolarmente convincenti gli interventi a sostegno della patrimoniale, intesa come modalità una tantum per abbattere il debito pubblico. Il debito pubblico, oggi, è come l’inflazione del dopoguerra, un’entità estremamente mobile, e giocarsi la patrimoniale in funzione di volumi troppo grandi e per niente sotto controllo (basta guardare all’entità dei titoli in scadenza), può essere fin troppo rischioso. Anche perché, bruciata una patrimoniale, sarà ben difficile farne un’altra.

Due mi sembrano i problemi da affrontare in via preliminare. Il primo, come detto, riguarda la fonte, l’entità del gettito che si intende conseguire e che va stabilito a priori (proprio perché non è un condono), e l’utilizzo che si dovrà farne. Metter mano al territorio è più che una necessità, potrebbe anche essere di stimolo all’economia, ma abbiamo un piano senza doverci affidare ai Bertolaso e Balducci di turno?

Il secondo riguarda il contesto economico-finanziario. Perché la sinistra è così restia ad affrontare il nodo vero del problema? La moneta e la finanza se ne vanno per conto loro, “in un mondo di falsità”, ammoniva Mattioli, e continuerà a essere così, perché così è stato anche dopo il 2008, se non interviene la politica. Ci siamo disperati per la sua scomparsa, l’abbiamo evocata senza successo. Ma qui c’è all’ordine del giorno un tema cui solo la politica può dare risposta, perché riguarda la visione che abbiamo del futuro e il tipo di società che vogliamo costruire.

Ci aveva provato Paul Volcker a chiedere con forza la separazione tra banca commerciale e banca d’affari. Ci ha provato Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra. Qualche giorno fa, forse con minor convinzione ma con ancor più responsabilità, è tornata sull’argomento Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale. Ho chiesto a un banchiere perché in Italia non c’è nessuno che si sforzi di aprire un dibattito serio su questo argomento. Mi ha risposto che tutti i grandi banchieri sono contrari. E allora la politica e la sinistra cosa ci stanno a fare?

 

Mario De Gaspari



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