23 gennaio 2024

GLI ALPINI IN URSS CON L’ARMIR NEL 1942-1943

Quale memoria e quale sacrificio?


Progetto senza titolo (6)

Il 26 gennaio ricorre la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini per commemorare la battaglia di Nikolajevka combattuta ottantuno anni fa, durante la disperata ritirata di Russia, tra le truppe d’invasione italo-tedesche e quelle sovietiche. Ma può servire a ricordare anche la battaglia di Nowo Postojalowka in occasione della quale, una settimana prima, il 19 e 20 gennaio 1943, fu decimata la Divisione Cuneense sotto il comando del generale Emilio Battisti, mio zio paterno, di cui porto il nome. Commemorazione che, per il modo pretenzioso del titolo, considero impropria in quanto gli alpini furono mandati al massacro invadendo l’URSS a fianco delle divisioni naziste, perché Mussolini voleva partecipare alla “crociata antibolscevica” scatenata da Hitler nel giugno del 1941 violando il controverso patto con Stalin dell’agosto 1939. In un certo senso, l’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin che condanniamo fermamente, appare analoga all’invasione dell’URSS che l’Italia fascista fece a fianco dei nazisti nella Seconda guerra mondiale.

Ma questa ricorrenza mi offre l’opportunità di riflettere criticamente anche sulla mia vicenda familiare che con quella grande tragedia e con i territori nei quali si continua a combattere l’attuale guerra in Ucraina, ha attinenza

Ne ho già scritto in occasione della bella mostra che si è tenuta  alla biblioteca Sormani a Milano nel 2022 intitolata Naufraghi in un mare di neve, dedicata ad alcuni artisti e scrittori che avevano partecipato alla campagna di Russia, per raccontare le vicende dell’ARMIR attraverso loro testimonianze e  opere, avendo vissuto in prima persona il dramma della ritirata, con il suo terribile bilancio di morti e dispersi.

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Erano esposte opere pittoriche e disegni originali dei “pittori di guerra”, scritti, lettere, documenti e libri, molto noti, che testimoniano l’esperienza vissuta sul fronte russo da Nuto Revelli e da Mario Rigoni Stern con i resoconti più lucidi e terribili riguardanti una autentica tragedia nazionale. Le visita a quella mostra, mi aveva indotto a riflettere sulla drammatica situazione della guerra in Ucraina, che durava già da alcuni mesi ed è tuttora in corso, ulteriormente aggravata dalla guerra tra Israele e Hamas, rispetto alle quali ci sentiamo incapaci e impossibilitati ad agire. Come certamente è stato per i nostri nonni e padri nei confronti delle due guerre mondiali che hanno insanguinato il secolo breve.

Digitando il mio nome in Internet, avrete notato che insieme al mio profilo compare anche quello di un altro Emilio Battisti, il citato generale degli alpini, morto oltre cinquant’anni fa, fratello di mio padre. Poiché era l’esponente più prestigioso della famiglia, mi è stato dato il suo stesso nome e anch’io avrei dovuto intraprendere la carriera militare. Destino a cui scampai essendo stato trovato, a dispetto dell’olio di fegato di merluzzo fattomi ingurgitare, troppo gracile per essere ammesso alla Scuola militare “Nunziatella” di Napoli.

EMILIO BATTISTI, GENERALE DELLA CUNEENSE, DURANTE LA PRIGIONIA IN URSS

EMILIO BATTISTI, GENERALE DELLA CUNEENSE, DURANTE LA PRIGIONIA IN URSS

Non ho avuto frequenti rapporti con mio zio, a parte qualche riunione familiare, e averlo accompagnato in occasione dell’adunata degli alpini che si tenne a Milano nel 1959, quando rimasi impressionato dalla venerazione che gli veniva tributata. Cosa che allora sfuggì alla mia comprensione, ritenendo fosse una consuetudine degli alpini nei confronti dei superiori in grado.

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Ho poi compreso che gli alpini onoravano il comportamento che mio zio aveva tenuto durante quella tragica ritirata, perché si rifiutò di abbandonare i sottoposti al suo comando della divisione Cuneense, quando i tedeschi lo raggiunsero con un aereo per portarlo in salvo. Pagò quella scelta a caro prezzo, con quasi otto anni di prigionia in URSS insieme ad altri due generali italiani, Umberto Ricagno ed Etelvoldo Pascolini, tra i quali è ritratto davanti al monumento di Stalin.

I GENERALI RICAGNO, BATTISTI E PASCOLINI

I GENERALI RICAGNO, BATTISTI E PASCOLINI

Ma ho avuto modo di interessarmene più a fondo, essendo venuto in possesso delle lettere inviate alla moglie da varie località di conflitto e di molte cartoline militari dalla prigionia in URSS, oltre alla documentazione originale di alcuni momenti della sua lunga carriera, durante la quale partecipò a tutte le guerre, nessuna esclusa, da quella italo-turca del 1910 fino alla disastrosa campagna di Russia.

A proposito della lunga prigionia esiste una sua dettagliata testimonianza nel volume “Italianzy kaputt” dedicato alla ritirata di Russia, a partire dalla sua cattura, avvenuta nella sacca, creata dai russi a Waluiki, insieme a Ricagno e Pascolini nel gennaio 1943. Lo zio si dilunga su aspetti relativi all’ingiustificabile comportamento dei carcerieri perché, per il loro grado di generali, avrebbero dovuto ricevere un trattamento di maggior riguardo. Come sembrava avessero ricevuto i 32 generali tedeschi catturati dopo la disfatta di Stalingrado, trasferiti a Mosca in carrozze letto.

I passaggi più interessanti del racconto riguardano i lunghi interrogatori il primo dei quali svoltosi presso la Lubianka, sede del KGB e terribile carcere dei perseguitati politici di Stalin, dove si impose a mio zio di dichiarare le fasi della sua lunga carriera militare, scrivendo un accurato elenco delle guerre a cui aveva partecipato.

LA LUBIANKA QUARTIER GENERALE DEL KGB

LA LUBIANKA QUARTIER GENERALE DEL KGB

Cosa per lui assai semplice perché aveva partecipato proprio a tutte le guerre, nessuna esclusa. Salvo decidere se confessare che nel 1938 era partito volontario, per fare carriera, a combattere nella guerra civile di Spagna, a fianco di Francisco Franco insieme ai nazisti, ottenendo di essere promosso generale di brigata per meriti di guerra.

MANIFESTO DELLA GIUNTA REPUBBLICANA DELLA DIFESA DI MADRID L’ARTIGLIO DELL’INVASORE ITALIANO MIRA A RENDERCI SCHIAVI

MANIFESTO DELLA GIUNTA REPUBBLICANA DELLA DIFESA DI MADRID
L’ARTIGLIO DELL’INVASORE ITALIANO MIRA A RENDERCI SCHIAVI

La decisione fu di confessare anche quella partecipazione, per evitare di essere giudicato vile e reticente, essendo certo che chi lo interrogava già conosceva dettagliatamente la sua carriera. Confessione che gli valse l’accusa di essere un criminale di guerra confermata anche formalmente e oggetto del processo a cui fu poi sottoposto. Trasferito presso la prigione di Voronesch durante la relativa l’istruttoria lo accusarono di  distruzioni e furti ai danni della popolazione civile dei villaggi nei quali la divisione Cuneense si era asserragliata per far fronte agli attacchi sovietici. Ma le accuse ebbero discutibili conferme dalle testimoniaze, benché tutte di parte, prodotte durante il processo.

Il 1° giugno 1949 a seguito del rifiuto di firmare, insieme a Riccagno, il verbale redatto dal giudice istruttore e della presentazione, da parte sua, di alcune richieste a garanzia della propria condizione di imputato – tutte negate a parte quella di non essere giudicato insieme a otto generali tedeschi – era ormai rassegnato ad essere avviato a un campo di lavoro a scontare una pena che gli avrebbe impedito di rivedere la sua famiglia e di morire in Italia.

Poiché, malgrado l’annuncio della data della sentenza fissata per il 10 giugno, i tempi si prolungarono indefinitamente lo sconforto prese il sopravvento, per cui pensò anche di farla finita, trattenuto dalla considerazione che la pensione versata a moglie e figlia da vivo era il doppio di quanto avrebbero ricevuto se lui fosse morto.

In questa situazione di acuta disperazione l’unico conforto e incoraggiamento gli arrivò dal secondino che, dopo avergli chiesto se aveva fatto fucilare qualche militare o civile avendo ricevuto da mio zio assicurazione di non averlo fatto gli disse:”presto a casa”.

Passò alcuni mesi intervallati solo da ispezioni che avvenivano ogni due o tre settimane, quando del tutto inaspettatamente il 24 dicembre 1949, lui e alcuni altri ufficiali e soldati furono convocati dal direttore del carcere che mostrò loro un documento nel quale era scritto:”L’Autorità giudiziaria delle Repubbliche socialiste sovietiche dichiara che non esistono più i motivi per detenere l’imputato…” e tutti furono trasferiti in un campo di concentramento nei pressi della città fino al 19 febbraio e di lì ulteriormente trasferiti al campo n.4 di Kiev, che lasciarono per raggiugere Vienna e  rientrare in Italia attraverso il passo di Tarvisio il 16 maggio 1950.

Dal giorno della sua cattura a Valuijki il 20 gennaio 1943 erano trascorsi 7 anni, 3 mesi e 26 giorni.

A proposito della sua lunga prigionia, un fatto assai controverso da approfondire riguarda la notizia riportata dal Corriere della Sera nel 1992 quando, in occasione della desecretazione degli archivi dell’URSS, è stato trovato un documento, datato 1° settembre 1943, dal quale risulta che 164 prigionieri italiani, compresi i tre generali, sarebbero diventati, una volta rientrati in patria, informatori del KGB. Un sospetto che valse loro l’accusa di essere dei traditori. Il fatto è tuttavia controverso, perché la data del documento anticipa di soli due giorni la firma dell’armistizio con la nostra resa incondizionata agli alleati, di cui faceva parte anche l’URSS. Ma anche perché una volta in patria, mio zio riprese servizio nell’esercito della Repubblica, e dopo il congedo si candidò nelle liste del MSI. E ciò sembra escludere la sua collaborazione con il paese comunista. Anche se nulla, in quell’opaco scenario, si può ritenere impossibile.

La candidatura nelle liste del MIS oltre a confermare la sua incondizionata adesione al fascismo, lo mise in grave contrasto con i territori dai quali provenivano gli alpini della Cuneense. Nel 1962, in occasione di una adunata che doveva essere ospitata in una sala del Municipio di Roccavione, comune della valle Vermenagna che si attesta sul Colle di Tenda, fu concessa a condizione che non vi partecipasse il neofascista generale Battisti.

Ma nel carteggio ereditato ho trovato altri documenti ancora più inquietanti, perché la sua lunga carriera, che lo portò ai massimi gradi, diventando sotto il fascismo capo di stato maggiore Gruppo Armate Ovest, comportò rapporti ufficiali con la Germania nazista, come documentato in questa foto nella quale lo si vede sedere alla destra di Hitler in occasione di un banchetto in suo onore presso la cancelleria di Berlino, nel luglio del 1939.

BANCHETTO PRESSO LA CANCELLERIA DEL REICHES IN ONORE DEL GENERALE BATTISTI CON LA PARTECIPAZIONE HITLER

BANCHETTO PRESSO LA CANCELLERIA DEL REICHES IN ONORE DEL GENERALE BATTISTI CON LA PARTECIPAZIONE HITLER

Tale riguardo gli fu probabilmente riservato in considerazione del fatto che aveva partecipato alla guerra di Spagna, terminata proprio quell’anno in aprile con la vittoria di Francisco Franco, grazie all’appoggio nazifascista, al quale mio zio partecipò. Infatti, attorno al grande tavolo di quel banchetto, insieme a Hitler e una ventina di alti ufficiali nazisti sedeva il generale spagnolo Don Juan Yague, soprannominato el carnicero de Badajoz per la strage di 4000 civili che compì durante la guerra civile dopo avere espugnato la città.

I COMMENSALI DEL BANCHETTO IN ONORE DEL GENERALE BATTISTI

I COMMENSALI DEL BANCHETTO IN ONORE DEL GENERALE BATTISTI

La partecipazione alla guerra di Spagna valse a mio zio un’onorificenza a firma di von Ribbentrop, ministro degli esteri del Terzo Reich, autore del controverso trattato di non aggressione con l’URSS, principale organizzatore dell’Olocausto e primo dei condannati a morte per impiccagione al processo di Norimberga.

ONORIFICENZA DEL REICHES A FIRMA DI RIBBENTROP

ONORIFICENZA DEL REICHES A FIRMA DI RIBBENTROP

L’autorevole immagine familiare che avevo dello zio è stata cancellata, perché è risultato del tutto evidente che nel luglio del 1939, dopo quasi un anno dalle nostre leggi razziali, era certamente complice di quanto si stava compiendo in Italia e accadeva in Germania già da anni.

Ritornando alla ritirata della campagna di Russia, a posteriori si può ritenere che, rifiutando il soccorso dei tedeschi, si sia in effetti salvato la vita. Infatti, se fosse tornato in Italia in quel momento sarebbe sicuramente stato considerato tra i responsabili della disfatta, forse coinvolto nella repubblica di Salò e chissà in quali altri rischi avrebbe potuto incorrere. Non salendo su quell’aereo e restando a capo della Cuneense che condusse alla totale distruzione, fu fatto prigioniero in prossimità di Waluijki, una località non lontana dal confine ucraino attualmente conteso da Putin.

IN ROSSO LA RITIRATA DELLA CUNEENSE

IN ROSSO LA RITIRATA DELLA CUNEENSE

CADUTI DELLA CUNEENSE – VALUIJKI GENNAIO 1943

CADUTI DELLA CUNEENSE – VALUIJKI GENNAIO 1943

Ritornato in Italia nel 1950, al termine della prigionia, riprese servizio nell’esercito della Repubblica come generale di corpo d’armata e poi come presidente del Consiglio Superiore delle Forze Armate. Una carica per la quale, al momento del congedo, ricevette una lettera autografa di Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica che, indicando le tappe della sua carriera, lo congedò con un omaggio ingiustificato a fronte dei suoi trascorsi nazifascisti e della sua militanza neofascista.

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Soprattutto se si tiene conto del fatto che quella della Cuneense può essere considerata la più grande disfatta mai subita da una divisione nella storia moderna dell’Europa occidentale, con circa 16500 caduti e dispersi a fronte di 18000 combattenti, dei quali meno di 1600 sopravvissuti.

E non sembra proprio abbia senso, alla luce della disfatta dell’Armir, celebrare il 26 gennaio di ogni anno con la Giornata della Memoria e del sacrificio degli alpini, la ricorrenza della battaglia di Nikolajewka unica vittoria sul campo nell’ambito della tragica ritirata di Russia in cui migliaia di alpini abbandonati e persi nel freddo, equipaggiati malamente, si sono battuti tenacemente, con l’obiettivo di evitare la prigionia e tornare a casa.

Cosa ci facevano infatti gli alpini insieme ai tedeschi nei pressi del confine russo-ucraino, a tremila chilometri da casa, nel freddo inverno del 1942-’43. L’“Armata italiana in Russia” e l’invasione dell’URSS, a fianco dei nazisti, fu una delle vicende più vergognose e drammatiche della storia del fascismo. Di 229.000 soldati italiani inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancarono all’appello 84.830 uomini di cui 10.030 furono restituiti dall’Urss. Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini. Molti di loro, in base ai documenti scoperti di recente negli archivi del Pcus, morirono di stenti nei campi di prigionia russi.

Ben altro ci sarebbe da ricordare e celebrare: ad esempio tutti quegli alpini che, tornati in Italia, parteciparono alla Resistenza. Infatti, non pochi soldati dell’Armir maturarono una profondissima avversione per i nazisti e per i fascisti italiani che li avevano mandati al macello, e che avrebbe portato alcuni di loro, pochi mesi più tardi, a scegliere di combatterli.

Quando mio zio morì fu sepolto nel Sacrario militare di Redipuglia, ma nel 1983, rispettando le sue volontà, gli alpini trasferirono le sue spoglie al Colle di Nava, dove sono sepolti i caduti della Cuneense.

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Ho deciso di rendere pubblici questi trascorsi dello zio generale perché, pur immaginando che negli archivi esista copia della documentazione di cui sono venuto in possesso, desidero condividerla per denunciarne la gravità e perché si tratta di fatti storici la cui conoscenza e memoria sono, queste sì, condizione per evitare l’indifferenza e riflettere sul presente.

Emilio Battisti



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  1. Annalisa ferrarioMi rifiuto di credere che qualcuno possa assimilare l'invasione dell' Unione sovietica da parte di Germania e Italia con l' attuale intervento di Putin in Ucraina. L' invasione tedesca e italiana aveva infatti l'obiettivo dell' assoggettamento dei russi, visti come popolazione inferiore oltre che come avversari politici, e l'impossessamento delle loro risorse naturali. La questione russo-ucraina è molto diversa. Russia e Ucraina sono state la stessa nazione per secoli. Il 40% degli ucraini parla russo e la stessa lingua ucraina è semplicemente un dialetto russo. Il candidato filorusso aveva vinto le elezioni, ma è stato spodestato con eventi di piazza (cosiddetta rivoluzione di piazza Maidan attuata da reparti paramilitari) perlomeno dubbi. La prima azione del nuovo governo sono state la messa fuori legge della lingua russa (ovvero quella del 40% della popolazione) e la richiesta di adesione alla NATO, che avrebbe portato la linea di confine degli armamenti pericolosamente avanti (la strategia difensiva russa nei confronti delle numerose invasioni europee - francesi, svedesi, tedesche, ecc - non essendoci barriere naturali si è sempre basata sull'esistenza di un profondo cuscinetto territoriale). Per più di sei anni la Russia ha cercato poi una soluzione diplomatica, senza trovarla. Senza volere giustificare l'attuale aggressione, mi sembrano comunque casi molto, molto differenti. Saluti
    24 gennaio 2024 • 09:33Rispondi
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