25 gennaio 2022

PNRR E PIANO NAZIONALE BORGHI

Piccolo è bello


virtuani (3)

banner arancio

Grandi “mostri urbani” ci divoreranno? Le previsioni indicano per il 2050 un livello di urbanizzazione nel mondo del 70%, rispetto al 55% di oggi, con conseguente nascita o ulteriore espansione di enormi metropoli da diverse decine di milioni di persone. Per l’Europa, le stime raggiungono l’85%, rispetto al 74% attuale (1). 

La città metropolitana di Milano negli ultimi venti anni è incessantemente cresciuta, con un aumento di quasi il 7% negli ultimi nove (2). Non manca molto perché entri a far parte della categoria delle “Città Grandi”, dove sono cosi classificate dalle Nazioni Unite le aree urbane con più di 5 milioni di abitanti. Siamo ancora lontani dai livelli delle megalopoli mondiali ed è impensabile che si possa arrivare a quei numeri, ma il trend è chiaro. Con prevedibile aumento delle criticità da gestire, dal consumo di energia al traffico, dall’effetto isola di calore all’inquinamento, dalla criminalità al degrado, dal disagio sociale all’aumento delle disparità socio-economiche. 

È in questa direzione che vogliamo andare? E se cambiassimo prospettiva? 

Le premesse sono buone. All’interno della più generale sezione “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” del PNRR, troviamo la voce “Rilancio di turismo e cultura con un approccio digitale e sostenibile”, le cui misure si propongono di “valorizzare i luoghi storici e culturali migliorandone sicurezza e accessibilità, in particolare per le aree rurali e periferiche”. Tra gli strumenti previsti all’interno di questa categoria di interventi, il Piano Nazionale Borghi, che ha l’obiettivo di “contrastare lo spopolamento e incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso”. 

Sul piatto circa 1 miliardo di euro. Il progetto si articola secondo due linee di intervento. Linea A, con 420 milioni da destinare a progetti pilota di 21 borghi, uno per Regione/Provincie Autonome. La selezione è demandata all’ente locale (per la Lombardia la scadenza per presentare le manifestazioni d’interesse da parte dei paesi candidati era fissata il 24 gennaio). Linea B, con 580 Milioni di euro, di cui 380 milioni per finanziare almeno 229 “Progetti locali di rigenerazione culturale” presentati dai Comuni con popolazione sotto i 5.000 abitanti e 200 milioni per sostenere piccole-medie imprese all’interno dei borghi stessi. 

Senza entrare nel merito dell’adeguatezza o meno dei fondi stanziati – i soldi non bastano mai, si sa, ma le cifre sono comunque consistenti – e nella speranza che le disponibilità siano spese in maniera efficace ed efficiente – il che non è per nulla scontato, ma cerchiamo di essere ottimisti -il progetto potrebbe dare reale impulso ad una modalità di sviluppo alternativa. 

I primi orientamenti in questa direzione li abbiamo visti con la Strategia Nazionale per la Aree Interne avviata nel 2013 per contrastare la marginalizzazione e il declino demografico di zone periferiche, seguita dalla legge “Salva Borghi” (L. 158/2017) per il sostegno, la valorizzazione e il recupero dei piccoli centri. A queste si sono aggiunte diverse iniziative locali, come gli incentivi della Regione Piemonte per trasferirsi nei paesi di montagna o come la vendita di case ad un euro da parte di numerosi piccoli comuni. Ci sono i presupposti perché si inneschi un processo di crescita controcorrente rispetto alle tendenze che si stanno delineando nel mondo, che non preveda un ulteriore accrescimento delle maggiori città, già congestionate, ma che ponga al centro delle strategie di rilancio quel tessuto di insediamenti di medio-piccola dimensione che costituiscono l’ossatura portante della struttura socio-demografica del Paese.

Leggi o non leggi, incentivi o non incentivi, il controesodo è già iniziato! Spontaneamente. Una moltitudine non strutturata di persone, accomunate dalla voglia di lasciare alle spalle la vita metropolitana con lo stress e i disagi che questa comporta, ha già invertito la rotta, si sta già muovendo, sta già tornando! Un trend non destinato a fermarsi. Nuovi imprenditori, nuovi contadini, nuovi montanari, smart-workers, semi-pensionati. Sono questi i pionieri di un vero e proprio “ritorno collettivo” alla terra, di “un controesodo multiplo” che sta avvenendo ogni giorno sotto i nostri occhi, come ci racconta con entusiasmo Valentina Boschetto Doorly nel suo libro “La terra chiama” (2021). Di certo la pandemia ha influito su questo fenomeno, di certo le nuove tecnologie hanno reso possibile scelte prima impensabili.

Ma non c’è solo chi torna, c’è anche chi non vuole andarsene, chi non vuole a tutti i costi dover emigrare per trovare lavoro, chi vorrebbe potersi costruire il futuro nel luogo in cui è nato. È questa la “restanza”(3), la posizione di quelli che decidono di restare non per inerzia e rassegnazione, ma per scelta consapevole e con atteggiamento propositivo. E non sono pochi quelli che vogliono rimanere: due ragazzi su tre, secondo una ricerca di Riabitare l’Italia. L’associazione – nata come gruppo volontario di ricercatori, professori, professionisti esperti di politiche sociali, economiche e territoriali – si propone come laboratorio di riflessione sulle pratiche di recupero e rilancio delle aree interne, con l’obiettivo di contrastare lo spopolamento e favorire la rinascita di aree per anni decenni dimenticate, in primis, dalle politiche pubbliche. Il loro Manifesto per Riabitare l’Italia (2018) – corredato da ventotto parole chiave che costituiscono una prima «cassetta degli attrezzi» – mette a fuoco i termini della questione, spostando l’asse dalla tradizionale centralità delle aree urbane per porre al centro i territori in sofferenza e le loro potenzialità con l’intento di «contribuire a creare una nuova immagine aggregata dell’intero paese».

Una gestione intelligente delle politiche di rilancio dei territori potrebbe per altro trasformare quello che fino ad ora è stato considerato come un problema, l’immigrazione, in una grossa opportunità. La questione, più di altre, è soggetta a opinioni di tipo politico, basti vedere le discordanti conclusioni, basate più su un approccio ideologico, a cui giungono articoli di differenti testate giornalistiche(4). Il progetto di ricerca europeo Matilde – coordinato dalla University of Eastern Finland e partecipato, per l’Italia, dall’Università di Torino e dall’Università di Parma – tenta invece un approccio più scientifico allo studio del potenziale contributo dell’immigrazione nella rivitalizzazione economica e sociale di territori rurali e montani. 

Non solo di borghi si tratta. Il rilancio non può partire esclusivamente dai piccoli paesi, ma deve coinvolgere i centri di media dimensione (20 mila-200 mila abitanti (5)) – spesso capoluoghi di provincia –  che al pari dei borghi, trovandosi in molti casi ai margini delle dinamiche di sviluppo degli ultimi decenni, sono stati interessati anch’essi da forme di spopolamento. Sono queste le realtà in cui si concentra una moltitudine di funzioni e servizi di tipo economico, sociale, culturale, politico, amministrativo al servizio del territorio, non ipotizzabili per un piccolo insediamento. Il rilancio di queste realtà dovrebbe passare soprattutto dallo sviluppo di un’economia della conoscenza che sia in grado di attirare persone qualificate e innescare percorsi di sviluppo sostenibili, da un punto di vista non solo ambientale, ma anche economico, sociale e culturale. Dove i centri di ricerca e le università, possono svolgere un ruolo fondamentale nel “promuovere le specificità locali e nuovi progetti, al fine di limitare i processi di marginalizzazione e il divario con le aree metropolitane” e configurarsi come “punto di riferimento nell’ecosistema regionale proprio per contribuire al cambiamento delle traiettorie di sviluppo territoriale”(6).

In questo contesto le misure messe a punto dal PNRR per contrastare la marginalizzazione delle aree interne costituiscono un passo importante, forse un momento di svolta, non solo per le risorse messe a disposizione, ma anche per la consapevolezza che una rigenerazione del Paese debba partire dalle proprie specificità e trovare fondamento nella propria storia, nelle proprie radici, in quei luoghi “dimenticati” che sono in realtà i veri i custodi della profonda identità del Paese. 

In fondo, la grande dimensione non fa parte del DNA italiano. La suddivisione preunitaria in diversi stati di media-piccola estensione, ci ha lasciato in eredità una struttura demografica caratterizzata dalla presenza di tanti capoluoghi di media dimensione – ognuno con le proprie eccellenze produttive e culturali – diffusi su tutto territorio, a differenza di altri Stati dove un’unica grande capitale ha svolto un ruolo accentratore. Non è forse un caso, del resto, che la forza e l’innovazione dell’economia italiana sia basata su quel tessuto di piccole medie imprese che hanno fatto grande l’economia italiana, piuttosto che su grandi multinazionali.

E non ne abbiano a male i milanesi che leggono questo giornale: anche se la città perde qualche abitante, Milan l’è, e sarà semper, on gran Milan!

Francesco Virtuani

Cara lettrice, gentile lettore, se sei arrivata/o qui, c’è voglia e bisogno di dibattito pubblico su Milano, indispensabile ossigeno per la salute della democrazia. Sostienici subito perché solo grazie a te possiamo realizzare nuovi articoli e promuovere il primato dei beni comuni per Milano. Attivati ora!

NOTE:

(1) UN, World Urbanization prospect 2018,…

(2) https://www.tuttitalia.it/lombardia/provincia-di-milano/statistiche/popolazione-andamento-demografico/

(3) Vito Teti, Pietre di pane. Un’antologia del restare, 2014.

(4) https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/08/26/migranti-una-semplice-proposta-a-sinistra-ripopoliamo-i-piccoli-borghi/4581427/

https://www.ilgiornale.it/news/politica/ripopolare-i-piccoli-comuni-possibile-solo-se-si-accolgono-i-1917782.html

https://www.lastampa.it/cronaca/2016/08/07/news/cosi-i-migranti-hanno-salvato-il-borgo-destinato-a-scomparire-1.348165126

(5) Non si fa riferimento alla classifica prima citata dell’ONU, che considerava una prospettiva mondiale, per la quale sono considerate medie la città da 1 a 5 milioni di abitanti. In questo caso, la prospettiva è nazionale e si fa riferimento a realtà di qualche decina di migliaia di abitanti. Non entriamo nelle questioni definitorie, rimandiamo al proposito a: https://it.wikipedia.org/wiki/Citt%C3%A0_media

(6) Michela Lazzaroni, nel paper Università e innovazione nelle aree periferiche: dinamiche di sviluppo, inclusione sociale e progetti di rigenerazione urbana

  



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





5 dicembre 2023

ELLY SCHLEIN, UNA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA?

Giuseppe Ucciero



18 aprile 2023

QUALI SPAZI PER NUOVI “ORTI URBANI” A MILANO?

Claudio Cristofani



4 aprile 2023

DISCONTINUITÀ, COERENZA, CREDIBILITÀ

Marco Cipriano






24 gennaio 2023

LAVORO. IL DIBATTITO: INNOVARE!

Francesco Bizzotto


Ultimi commenti