8 marzo 2010

Scrivono Vari 08 03 2010


Lettera

Scrive il Circolo PD Milano forma partito – L’editoriale di Luca Beltrami Gadola “Il Pd e le tre scimmiette” invita il popolo di sinistra a far sentire almeno la sua voce. Filippo Penati è stato candidato alla presidenza della regione Lombardia senza che il Pd abbia elaborato tutte le ragioni della sua mancata riconferma alla provincia di Milano. Il programma del Pd non scalda i cuori e le liste dei candidati non brillano. Di questi il 42% sono donne, ma solo due su undici sono capolista; il 63% del totale ricopre già un incarico istituzionale o di partito, c’è un doppio incarico (deputato e consigliere provinciale), diversi sono sindaci e c’è pure il segretario regionale, capolista nella sua provincia.

Poiché non siamo elettori-scimmiette, siamo delusi dall’esiguo numero di donne capolista (18%), perché significa fare molto poco per aumentare la presenza femminile nella politica. Il 63% di candidati appartenenti al ceto politico vuol dire negare il ricambio, mentre la sovrapposizione dell’ambito di partito con quello istituzionale significa rompere la reciprocità del controllo.

E poi ci sono procedure opache, ormai intollerabili per elettori e militanti adulti. I candidati sono stati scelti senza criteri omogenei a livello regionale: da un’opzione tutta interna al ceto politico in alcune provincie, sino alle primarie aperte a tutti gli iscritti a Cremona. Non sono state rese note le ragioni delle ricandidature per il secondo mandato e neppure quelle delle deroghe concesse per il terzo, ma non conosciamo nemmeno i profili dei neo candidati nelle liste e nel listino. Non c’è l’abitudine a rendere conto da parte degli eletti e neppure la dirigenza che li ha messi in lista sente il dovere di verificare se il mandato sia stato portato a termine con diligenza: avete mai visto pubblicate sul portale del Pd le percentuali di presenza in aula e commissione di ciascun consigliere, il bilancio della sua attività in consiglio regionale, la regolarità dei contributi versati al partito?

La disaffezione nei confronti dei partiti cresce dopo ogni scandalo, gli ultimi riguardano le inchieste sulla Protezione civile, le frodi fiscali in odore di ‘ndrangheta e le irregolarità procedurali nella presentazione delle liste elettorali. Che siano quelli del PdL ad essere coinvolti non deve essere un alibi per sentirci immuni dal dovere di uno stile politico diverso, che renda esplicita la differenza fra uno schieramento politico e l’altro, proprio perché non ci piace lo stereotipo che tutti i politici sono uguali e corrotti.

Se i criteri di buona politica non hanno guidato la scelta dei candidati, qualcosa si può ancora fare per rimediare: la legge elettorale regionale consente la preferenza e sarà proprio il numero delle preferenze, non la posizione in lista, a fare la differenza fra un candidato e l’altro. Possiamo allora individuare quei candidati che rispondano ad alcuni requisiti di buona politica: non scegliamo chi ha già un incarico di partito, perché sia chiaro che vogliamo separare partito e istituzioni, chi si è candidato mentre ricopre già un altro mandato, perché ha tradito il rapporto fiduciario con gli elettori che lo hanno eletto; chi è già stato eletto per due mandati perché il ricambio è importante e si può stare al servizio del partito anche fuori dalle istituzioni. Usiamo le preferenze per eleggere candidate e candidati che dimostrino attenzione per la cultura del rendere conto e che sappiano con proposte politiche innovative rimediare alla carenza di idee del programma.



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