8 maggio 2018

COME CAMBIA LA CITTÀ: L’ABITANTE TRANSITORIO

Spunti per una riflessione sull’home sharing a Milano


La transitorietà versus la stanzialità delle popolazioni metropolitane è oggetto di numerose riflessioni, almeno da quando l’esperienza urbana ha smesso di avere un contesto spaziale di riferimento universalmente identificabile. L’oscillazione tra i due termini ha ampliato la possibilità di individuare le popolazioni metropolitane sulla base delle tre attività dell’abitare, lavorare e consumare *. La categoria del city user esprime identità estremamente articolate che si collocano in maniera trasversale alle differenti ragioni che spingono un numero crescente di individui ad abitare transitoriamente le metropoli.

05barzi17FBUn aspetto che emerge come indicatore dell’ampliamento dello spettro della condizione abitativa transitoria è la crescente offerta in affitto per periodi brevi di unità residenziali e/o di sue porzioni. Il fenomeno è facilmente identificabile con Airbnb, la piattaforma che consente l’incrocio tra la domanda e l’offerta di abitazioni o loro parti per periodi non previsti dai contratti di locazione in uso. Da dieci anni, da quando la compagnia di home sharing è nata a San Francisco, sono molte le città, compresa quella in cui ha cominciato ad operare, che si interrogano sull’impatto che sta generando l’integrazione nel concetto di abitazione sui servizi per l’ospitalità.

L’amministrazione comunale di Milano ritiene che avvantaggiarsi della opportunità delle locazioni brevi sia una occasione di sviluppo dell’economia della città. Airbnb fa parte di una serie di soggetti cui è stato dato il compito di promuovere la sharing economy; il settore degli affitti brevi d’altra parte era già stato normato dalla legge regionale sul turismo del 2015 che regolamenta la ricettività svolta da privati. Chi voglia condividere parte della propria abitazione o affittarla integralmente per meno di 30 giorni può farlo seguendo una procedura amministrativa ed adempiendo ad alcuni obblighi, come la trasmissione in questura dei dati degli ospiti. Nel frattempo è anche sorta una associazione di host milanesi che assiste chi voglia mettersi in regola per affittare con questa modalità.

Ma come sta reagendo Milano alle trasformazioni nel concetto di abitare introdotte da questo ramo della sharing economy? In altri termini, che impatto ha l’home sharing sul tradizionale mercato degli affitti e in che modo risponde alle necessità dell’abitare transitorio, ormai non solo espressa dai turisti ma anche dagli studenti e da alcune categorie di lavoratori?

Incrociando i dati dell’Osservatorio Immobiliare sull’offerta residenziale in affitto con quelli di Airdna, che analizza i dati delle proprietà affittate attraverso Airbnb, è possibile farsi un’idea del rapporto esistente tra immobili residenziali nel mercato dell’affitto convenzionale e quello a breve termine. A Milano un appartamento in affitto su sette può essere occupato per brevi periodi e un bilocale in zona semicentrale affittato via Airbnb consente un reddito medio mensile pari a quello di un trilocale affittato a lungo termine.

Un ragionamento va però fatto su cosa implichi essere host con Airbnb rispetto al locatore di un appartamento arredato del quale non ci si occupa più una volta firmato il contratto. Decidere di affrontare l’impegno di numerose accoglienze non ha niente a che vedere con la consegna del proprio appartamento per quattro anni a persone che se ne prenderanno cura. Ma forse sono proprio le ricadute del lungo termine sulle successive manutenzioni e sui rischi di morosità che potrebbero spiegare la crescita esponenziale degli affitti brevi, anche al di là della domanda generata dal turismo.

Un altro aspetto che classifica in modo molto diverso l’offerta di affitti di appartamenti a breve termine rispetto al lungo termine e l’effettiva occupazione dell’unità immobiliare. Un conto è affittare a breve termine una casa intera, che potrebbe essere invece essere messa in locazione per più anni, un altro è lasciare che per brevi periodi una parte delle propria casa (una stanza o anche un divano letto) sia occupata da persone di passaggio in città.

A Milano il 71% di tutti gli spazi residenziali (intere case, stanze private o condivise) affittati tramite Airbnb riguarda immobili che potrebbero essere messi in locazione per periodi superiori ai 30 giorni. Ciò significa più di ottomila appartamenti non disponibili a soddisfare la domanda di affitti a lungo termine.

Gli host milanesi complessivamente presenti sulla piattaforma sono oltre settemila, dei quali il 17,5% affittano più di uno spazio residenziale contemporaneamente. L’aumento dell’offerta di servizi di concierge, che consentono ai proprietari di non occuparsi direttamente del proprio annuncio, potrebbe spiegare una parte del fenomeno, che dall’altra si spiega con la crescente disponibilità di intere abitazioni, e persino di interi immobili, affittati a singole stanze da soggetti che operano in modo imprenditoriale.

Da marzo 2018 il Comune di Milano riscuote la tassa di soggiorno direttamente da Airbnb, evitando di rendere questo onere responsabilità degli host. Si tratta di una misura già introdotta in altre grandi città che mette al riparo l’amministrazione dall’evasione e consente un migliore monitoraggio dell’attività di home sharing rispetto all’affitto tradizionale di abitazioni o loro parti.

Sarà interessante in futuro capire l’impatto di questa misura sul mercato degli affitti brevi, anche perché Airbnb non è l’unica piattaforma esistente e non è da escludere che il pagamento di tre euro a persona a notte al momento della prenotazione non sposti la domanda di home sharing verso altre modalità meno tracciabili ed anche sugli host della città metropolitana esenti da questa tassa.

Michela Barzi

*Guido Martinotti, Metropoli, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 152-3

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