17 aprile 2018

PALAZZO CITTERIO: UNA RIAPERTURA MOLTO ATTESA

I peccati originali di un percorso progettuale troppo lungo


Tra le tante incognite il futuro ministro per i beni culturali si troverà sul tavolo il palazzo Citterio.

Tutta l’operazione Citterio fu compiuta senza che vi fosse un progetto preciso. Se ancora la pinacoteca e la biblioteca continueranno ad avere una sola direzione (quelle di James Bradburne ndr), il palazzo non dovrà aggiungersi come un problema in più. Palazzo Citterio e palazzo di Brera vanno infatti considerati insieme, sia come progetto che come funzioni.

08bertelli15FBL’acquisto del palazzo, e la sua conversione in museo, avvennero nel momento di euforia del governo Spadolini, dopo la soprintendenza di Alberto Dell’Acqua, che era stato commissario alla Biennale di Venezia, con lo slancio del giovane soprintendente Russoli, e diversi anni dopo che un primo indirizzo di Brera verso il XX secolo era stato impresso dal soprintendente Guglielmo Pacchioni in collaborazione con Franco Albini.

La destinazione del nuovo annesso di Brera non poteva essere che il XX secolo.

Questo è quanto fortemente voleva il dinamico presidente degli Amici di Brera, Lamberto Vitali, e con lui forti collezionisti come Jesi, Mattioli, Jucker.

Gli Amici di Brera continuarono sempre a vegliare sul nuovo museo, finché all’ inizio degli anni 80, dopo la grande mostra di Alberto Burri che concludeva i lavori condotti dagli architetti Ortelli e Sianesi che avrebbe consegnato alla città il lungo museo quasi completo, fu la presidente degli Amici di Brera, Rina Brion, che ottenne il finanziamento del Banco San Paolo per un rifacimento di alta qualità architettonica.

Ripresero i lavori, che continuarono anche dopo la morte di Stirling, così lunghi, tra le incertezze dei finanziamenti, che Brera perse la collezione Jucker sulla quale tanto contava – fortunatamente fu salvata per la città dall’ intelligente lungimiranza dell’assessore Luigi Corbani, è oggi esposta nel Museo del Novecento-.

Se dura la riforma Franceschini, la separazione tra Brera e la soprintendenza territoriale potrà alleggerire il peso degli uffici, le cui esigenze di spazio furono il movente primo per l’acquisto da parte dello Stato del Citterio, allorché il Comune volle recuperare l’uso dell’intero Palazzo Reale cacciandone gli uffici statali – tra i quali era la soprintendenza ai monumenti- nonché le abitazioni di diversi funzionari.

Allora, mentre si aspettava che si compissero i lavori nel palazzo Citterio, fu una fortuna che l’attività astronomica lasciasse il palazzo di Brera, liberando così un grande spazio, subito occupato dalla pinacoteca, con un bel progetto d’Ignazio Gardella; poco dopo anche questo spazio fu necessariamente preso dagli uffici e dalla biblioteca.

Se questi locali saranno sgombrati e destinati all’allestimento la pinacoteca tornerà a respirare. Non vi saranno più nemmeno le sale occupate dai depositi e dal laboratorio di restauro, una struttura disegnata da Ettore Sottsass su finanziamento degli Amici di Brera.

Ora la pinacoteca potrà sdoganare le collezioni d’ arte del XX secolo, che nella striminzita sede attuale fanno a pugni con tutto il resto; mentre le contenute dimensioni del palazzo Citterio non intimidiscono e anzi aprono al dialogo e a un rapporto più aperto con un quartiere di studenti, artisti, galleristi, negozi eleganti, trattorie e fast-food. Persino i chiromanti abbondano.

I grandi saloni sotterranei, dove già in passato si ebbero mostre, come quella degli Ori di Taranto, serviranno a mostre future, mentre in questi anni Brera ha dovuto arrabattarsi sacrificando gli spazi espositivi permanenti alle mostre provvisorie.

All’apertura ufficiale del palazzo poteva sorprendere che al tavolo degli interventi sedessero funzionari architetti e funzionari amministrativi, mentre il direttore era tra il pubblico degli invitati, come se il nuovo museo non fosse il suo e non avesse programmi da comunicare. Si può essere certi che non sia così. Sembra imminente il comodato per cinque anni della collezione Mattioli e già Brera in questi anni ha formato una discreta raccolta del XX secolo. Tutto fa pensare a un museo in crescita. Un museo per ora imprevisto, a giudicare almeno dagli spazi aperti, ovvero dal primo cortile e dal giardino, luoghi dove andava sin d’ora considerata la collocazione delle importanti e grandi sculture che Brera possiede, a incominciare dalla Muraglia di Pietro Consagra, attualmente confinata in un androne del palazzo di Brera, o dal Cavallo ferito di Marino Marini, sinora malamente accomodato sul loggiato di Brera.

Nel risanamento del palazzo, sembra però che due criteri opposti siano stati seguiti: quello del museo moderno e quello della conservazione della casa-museo. Mentre era stato abbattuto tutto il prospetto monumentale di Tommaso Buzzi, su per giù degli stessi anni della celebre Sgarzuola, ala che avrebbe dato ordine a tutto l’assetto del giardino (fu inutile allora opporsi alla demolizione, ma fu almeno salvato il piccolo Cafè Haus gotico), si sono conservate cose di nessuna qualità che creano oggi insormontabili problemi al museo. Un esempio milanese, quello della Fondazione Pasquarelli, nell’architettura di Daniela Volpi, dimostra che il carattere ambientale d’una dimora può restare anche senza storicismi.

Con un concorso pubblico, la conclusione dei lavori fu affidata all’architetto Amerigo Restucci, che si trovò di fonte a una costruzione ricca di contraddizioni, al punto che ancora a cantiere aperto sorse la proposta di un impossibile, e bizzarro, ponte di collegamento col palazzo di Brera.

In simili incertezze si rispecchia la travagliata storia del piccolo museo, nato senza un piano e con modelli incerti, dal Beaubourg, di cui non si era capita l’inimitabile forza progettuale, al Jacquemart-André, d’irripetibile eleganza.

Quarant’anni in cui Milano è stata in sconsolata attesa sono finiti e siamo ora grati alla soprintendente Antonella Ranaldi che li ha chiusi.

Incomincia il futuro.

Salite faticosamente le scale del Campidoglio, arrivato in cima, il re Vittorio Emanuele II sospirò: “Finalment i suma!” Ma aveva ancora tutta l’Italia da fare.

 

Carlo Bertelli

 

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