27 marzo 2018

NOMINE FEMMINILI ELEZIONI POLITICHE 2018

Pochi progressi sulla parità di genere


Centottanta cinque alla Camera e ottantasei al Senato, questi i numeri provvisori, da valutare ancora sulla base dei ripescaggi, di deputate e senatrici, elette alle ultime consultazioni il 4 marzo 2018. La pattuglia parlamentare femminile riparte da questi numeri. Nonostante il Rosatellum abbia introdotto una norma sull’equilibrio di genere, non sembra, a leggere questi dati, che si siano fatti grandi passi avanti sulla via della parità.

08livigni12FBIl Rosatellum prevede, infatti, che almeno il 40 per cento delle candidature debbano essere del genere meno rappresentato e, quindi, attualmente di quello femminile. Ma almeno due possono essere le ragioni alla base dell’esigua percentuale delle elette, ben al di sotto di questa soglia numerica. La prima, a prima vista evidente e scontata, ma certamente deplorevole, quella che ha garantito agli uomini collegi uninominali sicuri, ben sapendo che, nonostante le ultime elezioni abbiano stravolto qualche certezza in merito, che, in alcune regioni italiane, vi è un’omogeneità di voto importante che consente di individuare con relativa certezza i cosiddetti “collegi sicuri”.

La seconda potrebbe essere una ragione più tecnica da tenere in dovuta considerazione. La legge consente anche fino a cinque pluricandidature nei listini e, quindi, assegnare alla stessa donna cinque posti in posizione eleggibile, significa la certezza di far entrare una sola donna e i quattro uomini che seguono nell’ordine. La legge sarebbe rispettata, lo spirito dell’equilibrio di genere decisamente meno.

E così la presenza femminile in Parlamento, dopo le elezioni del 4 marzo, appare, in attesa dei dati definitivi, in linea con la legislatura precedente (addirittura identica al Senato), con una leggera flessione alla Camera, dove nel 2013 le elette furono 198. Un record particolare è detenuto da Elisa Tripodi, del Movimento 5 Stelle, trentunenne aostana di origini calabresi che ha vinto in tutta la Valle d’Aosta dove, mai, prima d’ora, era stata eletta una donna in Parlamento. Ad Aosta ha preso il 25% dei voti, a livello regionale si è attestata al 24%, in tutto 15.999 preferenze e quindi un ottimo risultato.

Al Senato la percentuale di senatrici si aggira attorno al 27 per cento. Il gruppo con più donne elette è quello del Movimento 5 Stelle, con 42 donne su 112 eletti, poco al di sotto del 40 per cento, soglia prevista dal Rosatellum come percentuale minima da rispettare in fase di candidature per un genere rispetto all’altro.

Lontano dal 40 per cento il Centrodestra nel suo complesso, con 30 elette su 137 e il Centrosinistra, con 13 su 59. Il risultato non soddisfacente di Liberi e Uguali determina un’unica presenza femminile su quattro eletti, nella persona dell’ex-capogruppo di sinistra italiana Loredana De Petris.

Alla Camera i risultati sono più o meno analoghi: le donne elette sono circa il 30%. Sono sempre i deputati del Movimento 5 Stelle ad avvicinarsi di più alla soglia prevista dalla ‘norma di genere’ sulle candidature. Il gruppo M5S presenta 82 donne su 222 eletti sicuri (circa il 37 per cento), mentre il centrodestra, su 260 seggi totali assegnati finora, presenta 67 donne (più o meno il 26 per cento). Il Pd, in attesa dei ripescaggi, ha 32 donne su 115 seggi assegnati (circa il 28 per cento). Anche in questo caso, lo scarso risultato elettorale penalizza LeU, che conta per il momento 4 donne su 14 seggi assegnati.

Insomma, per le ragioni tecnico politiche cui si è accennato in precedenza, anche in questa tornata elettorale il numero delle elette è risultato ben al di sotto di quanto previsto dalla legge per le candidature. Come si è visto, spesso in Italia un diritto viene tutelato dalla legge, ma viene subito subito trovato un modo squisitamente lecito per aggirare la legge stessa. E allora, ferma restando la concreta necessità della quota minima di genere nelle candidature, occorre interrogarsi se la questione non debba essere affrontata nella sua interezza, indipendentemente dall’aspetto normativo.

Infatti la questione è stata ed è tuttora di natura culturale, con la necessità di valorizzare la componente femminile di questo paese, in tutti i settori, dalla politica, alla Pubblica Amministrazione, alle aziende private. E ciò vale con particolare riferimento ai ruoli apicali, da cui le donne sono sempre state tenute lontano. I dati statistici ci dicono che qualcosa sta migliorando nelle aziende private (per quanto riguarda le società quotate anche grazie alla Legge Golfo Mosca del 2011), ma nella Pubblica Amministrazione ed in Magistratura in particolare i ruoli direttivi sono in gran parte ancora affidati agli uomini.

Occorre lavorare in questo senso, per abbattere caste di varia natura e pregiudizi, così consentendo a quanti sono davvero meritevoli di ricoprire ruoli idonei, indipendentemente dal genere: solo così le leggi sulla parità saranno concretamente applicate senza sotterfugi, voluti o inconsci e solo così vi sarà effettiva parità in tutti gli ambiti della nostra società.

 

Ilaria Li Vigni

 

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