19 marzo 2018

AREA MILANESE: DA CIAMBELLA A CAPPELLO A CILINDRO

È ancora possibile configurare una forma della città?


“Oltre la metropoli” è il tema di un Seminar svoltosi presso l’Università Cattolica (*), a partire da una ricerca sui processi di urbanizzazione in Italia negli ultimi decenni che attualmente si qualificano all’insegna del “post”: prefisso chiave per delineare realtà territoriali e sociali altrimenti indefinibili. La scuola di pensiero che teorizza la “post-metropoli” osserva che, anche dove metropoli non c’è mai stata, si svolga una spontanea disseminazione della città verso un indefinito spazio regionale o forse globale.

04ballabio11FBDietro gli oltre ed i post si intravvede tuttavia una sorta di neo-futurismo che annulla il passato e affida il futuro ad una forza quasi automatica di trasfigurazione territoriale e socio-economica, ad un ineluttabile processo “in sé”. Manca il “per sé”: un governo del mutamento razionale e consapevole. Non a caso le parole urbanistica e pianificazione non compaiono mai; colpa di una politica debole e degenerata o anche di un rinnovato “tradimento dei chierici”? Di un inerte adattamento intellettuale al liberismo imperante ed all’apparente spontaneismo di labili governance che in realtà nascondono pesanti rapporti di interesse e di potere.

È curioso che tale scuola di sociologia urbana annulli la distinzione che avevamo appreso alle elementari tra carta geografica fisica e politica. La seconda, contrassegnata da contorni e spazi diversamente colorati, è scomparsa; i confini tra entità istituzionali ed amministrative vanno dimenticati. Lo studio del territorio urbanizzato si può fare a prescindere, semplicemente suddividendo la superficie territoriale in “tasselli” quadrati tracciati col righello.

Inevitabile allora che l’indagine si limiti alla costatazione di situazioni e tendenze, senza fornire gli strumenti interpretativi utili ad una loro guida e correzione. Si registrano ed elencano i problemi (Madamina, il catalogo è questo…) senza cercare le soluzioni (evocare un convitato di pietra che si levi a sistemare il dissoluto); ma Mozart, si sa, era architetto ed urbanista nel suo genere!

È ancora possibile invece procedere ad una valutazione critica delle trasformazioni intervenute e corredare l’analisi con la proposta? Confidare che le istituzioni democratiche abbiano ancora un ruolo attivo per regolare le condizioni territoriali, ambientali e sociali? Proviamo allora – in estrema sintesi – a ragionare sul mutamento avvenuto nella forma dell’area di Milano e suo intorno nell’ultimo trentennio.

Negli anni ’80 l’area milanese si configurava “a ciambella” per corone concentriche. Al centro “la Milano da bere” racchiusa entro i bastioni, bollata Via della Spiga e bar Jamaica. Poi una periferia in fase di de-industrializzazione e terziarizzazione con espulsione di giovani coppie e famiglie sfrattate verso le “palazzine immerse nel verde” di fuori-cintura; quindi un hinterland che recuperava virtuosamente le città dormitorio degli anni dell’immigrazione ’60-’70 ad opera di piccoli e medi Comuni attivi e solidali; oltre ancora la fiorente seconda fascia delle piccole imprese e delle abitazioni in proprietà.

Oggi la situazione si configura invece come “cappello a cilindro”. La “Milano da bere 2.0” si è allargata oltre le mura spagnole, dall’Isola al Mudec, appiattendo però tutta la vasta corona esterna: dalle eterne periferie prive di autogoverno, all’ex-hinterland politicamente muto, all’ampia plaga esterna ancora relativamente prospera per inerzia, ma condannata ad un tendenziale declino (vedi il crescente divario dei valori immobiliari). Monza e Brianza hanno voluto la separazione – sbagliando terapia a fronte di una malattia vera – al grido di “Milano matrigna”!

La “regione urbana milanese”, invocata nello studio citato quale sviluppo “oltre la metropoli”, pertanto registra il salto di una fase: una città metropolitana policentrica ed equilibrata che non si è mai verificata e non si è mai voluta, fatta eccezione per la breve stagione riformatrice degli anni ’70 quando i Sindaci della vasta provincia (allora non ridotti a semplici esattori di oneri di urbanizzazione) crearono il PIM ed il CIMEP.

L’idea – presto soffocata in fasce – di una pianificazione territoriale generale e di un governo dei problemi sociali (a cominciare da fabbisogno abitativo) unitario e paritario.

Pertanto l’area mediana della Lombardia risulta ora obbligata tra un effimero protagonismo centralista, una caotica frammentazione comunale/provinciale e la larva di una fantomatica Città metropolitana ex Legge Delrio, senza purtroppo – visti anche i programmi dei partiti alle recenti elezioni – prospettive politiche di recupero e riordino.

Valentino Ballabio

(*) Dipartimento di Sociologia – Urban Life and Territorial Research (16 marzo 2018) “La grande trasformazione urbana e territoriale – Nodi fisici, economici e sociali, e la ricerca del Buongoverno”, a partire da “Oltre la metropoli – l’urbanizzazione regionale in Italia” a cura di A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci (Ed. Guerini)



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