5 marzo 2018

IL CASO CAPPATO E IL SUICIDIO ASSISTITO

La Corte d’Assise di Milano: un’indicazione al legislatore


Il 14 febbraio la Corte di Assise di Milano ha emesso un interessante ordinanza su un tema complesso, coinvolgente aspetti fondamentali dei diritti della persona, e assai discusso, specie ultimamente. Si tratta del procedimento nei confronti di Marco Cappato, esponente Radicale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, imputato di istigazione o aiuto al suicidio di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, in una clinica svizzera il 27 febbraio 2017, dopo che lo stesso, a seguito di incidente automobilistico, era diventato cieco e tetraplegico.

livigni09FBIl processo a Cappato, iniziato nel novembre 2017, è stato originato prima dall’autodenuncia dello stesso ai Carabinieri di Milano nel febbraio 2017, l’indomani della morte di Antoniani nella clinica svizzera ‘Dignitas‘, poi, dalla decisione del Giudice per le indagini preliminari di Milano che, rigettando la richiesta di archiviazione della Procura, ha disposto che l’imputato fosse rinviato a giudizio.

Marco Cappato, trasportando in auto Fabo in Svizzera nel suo ultimo viaggio, ha lottato per la dignità dello stesso o ha commesso il reato di aiuto al suicidio previsto dall’art.580 codice penale? È quanto dovrà stabilire la Corte Costituzionale, cui sono stati trasmessi gli atti del processo per valutare la legittimità costituzionale del reato. In un passaggio dell’ordinanza, si sottolinea, chiaramente, che all’individuo va “riconosciuta libertà di decidere come e quando morire”, in forza di principi della Costituzione e delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Secondo la Corte, Marco Cappato non ha rafforzato il proposito suicidiario di Fabo – che aveva maturato la determinazione nei mesi antecedenti, ne aveva parlato con i suoi più stretti familiari ed aveva assunto tale decisione in totale libertà – e la parte della norma che punisce l’agevolazione al suicidio, senza influenza sulla volontà dell’altra persona, potrebbe, quindi, essere valutata dalla Corte costituzionalmente illegittima.

Accusa e difesa avevano chiesto l’assoluzione di Cappato, mettendo in luce come lo stesso aiutò Fabo “a esercitare un suo diritto”, non il diritto al suicidio ma il diritto alla dignità nel morire. L’accusa aveva inoltre chiesto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la valutazione della legittimità del reato di aiuto al suicidio, ritenendolo in contrasto con il diritto fondamentale della dignità della vita; richiesta, questa, accolta dalla Corte di Assise.

Il provvedimento dei Giudici contiene lodevoli principi costituzionali, nazionali ed europei, di diritto penale, filosofia morale ed interpretazione sociologica, uniti ad una consequenzialità logica espressa, pur su argomenti così complessi e di recente interesse giurisprudenziale, che mostra anche una non comune sensibilità sociale.

Rimane, in ogni caso, aperta una questione fondamentale che la Corte ha cercato di risolvere, giuridicamente, con l’unica modalità tecnicamente ammissibile. Troppo controverso sarebbe stato assolvere tout court Cappato da ogni condotta contestata, peraltro da lui stesso pacificamente ammessa.

Tuttavia il rinvio alla Corte Costituzionale rischia di rimanere un mero artificio tecnico, riservato a pochissimi casi eccezionali, senza una legge complessa ed articolata sul fine vita che vada oltre il caso del biotestamento, recentemente normato, che affronti in modo capillare le questioni su cure palliative, accanimento terapeutico e relative volontà dell’individuo.

Bene che i giudici di Milano abbiano interessato la Consulta sullo specifico aspetto penale dell’aiuto al suicidio, ma in questa decisione si deve sentire coinvolto primariamente il legislatore in modo da prendere posizione su momenti così delicati della vita di ognuno.

In tal modo l’ordinanza Cappato del 14 febbraio 2018 non rimarrà solo atto giudiziario con massima dignità di pubblicazione tra i giuristi, ma diventerà punto di partenza per disciplinare un settore che, in Italia, attende da decenni leggi e parole chiare.

Ilaria Li Vigni



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