27 febbraio 2018

ELEZIONI: SE I SONDAGGI DICONO NESSUNA MAGGIORANZA, HA SENSO DISERTARE LE URNE?

Difendere la sovranità della scelta elettorale


Dico subito che la risposta alla domanda contenuta nel titolo è “No”. Non ha alcun senso disertare le urne, specie in un momento come questo, in cui la democrazia italiana rischia una grave empasse, frutto di un’evidente grave crisi sia politica sia istituzionale.

03fasano08FBVenerdì 16 febbraio i quotidiani hanno pubblicato i risultati degli ultimi sondaggi che per legge potevano essere resi noti prima del silenzio stampa delle ultime due settimane di campagna elettorale. Lo scenario univocamente delineato dai dati era quello di una situazione di stallo, rispetto alla quale sembrerebbe che nessuna forza politica – partito o coalizione – potrà disporre dei numeri necessari per governare. È vero che gli indecisi (più coloro che dichiarano di non votare) si attestavano fra il 34% e il 45% degli intervistati – a seconda dei sondaggi – e quindi le previsioni a due settimane dal voto risultavano ancora fortemente condizionate dalla grande incertezza presente negli elettori.

Ma appare chiaro come l’immagine che l’opinione pubblica può derivare da quei dati sia quella di un paese incapace di ottenere dalle urne una precisa indicazione di governo. Un esito in larga parte dovuto alle caratteristiche di una pessima legge elettorale che, trovando un’interpretazione comune negli organi di stampa a maggiore diffusione nazionale, potrebbe favorire ulteriormente l’astensione dal voto. Un voto destinato a non produrre una maggioranza è infatti il peggior viatico per la partecipazione. L’assenza di una posta in gioco contendibile potrebbe infatti contribuire a tenere gli elettori lontano dalle urne.

Se consideriamo le tornate elettorali che si sono tenute in Italia dalle elezioni politiche del 2013 a oggi, si è quasi sempre registrata una partecipazione al voto inferiore al 75,2% di quell’anno. Fecero scalpore i dati relativi alle elezioni regionali in Sicilia e in Emilia Romagna, dove si recarono a votare rispettivamente il 47% (non molto meno rispetto alle regionali precedenti) e il 37% degli elettori (un vero e proprio crollo della partecipazione in uno degli insediamenti tradizionali del centro-sinistra, dove la partecipazione è sempre stata assai elevata). E un fenomeno simile si è verificato anche in occasione delle primarie dello scorso anno per l’elezione del segretario nazionale del Partito Democratico, che mobilitarono meno di due milioni di persone (1 milione e 800 mila circa), a fronte dei 2,8/3 milioni delle occasioni precedenti.

Ma perché diminuisce la partecipazione? Una prima ragione – indicata da molti osservatori e studiosi del fenomeno politico – è il disinteresse nei confronti della politica. Dati ISTAT del dicembre scorso dicono che almeno un terzo degli elettori italiani non nutre alcun interesse nei confronti della politica. Non dobbiamo però prendere questi dati come una predizione certa sulla scarsa affluenza alle urne che possiamo attenderci il prossimo 4 marzo. Spesso la scarsa fiducia nella politica si associa alla bassa partecipazione al voto in maniera non lineare, per cui elettori sfiduciati nei confronti delle istituzioni democratiche si recano comunque a votare. E lo fanno per ragioni più importanti di quelle che inducono a votare per un partito.

Disaffezione politica e indeterminatezza degli esiti elettorali giocano senza dubbio contro la partecipazione al voto. Però proprio le difficoltà della fase politica in cui ci troviamo, in cui una crisi di legittimazione dei partiti si associa a una crisi di fiducia nelle istituzioni rappresentative, dovrebbe indurci a considerare in questo momento il voto non come una semplice scelta di campo, ma come una vera e propria scelta di sistema. Non tanto come l’espressione di una preferenza per questo o quel partito. Quanto piuttosto per il fatto di voler ribadire una scelta di fondo a favore della democrazia.

In un clima caratterizzato dalla presenza di rigurgiti fascisti, atteggiamenti xenofobi, promesse demagogiche ed altri arnesi di un repertorio ideologico inadeguato e superato dai tempi, la decisione di recarsi alle urne rappresenta prima di tutto una scelta a sostegno della democrazia rappresentativa e delle sue istituzioni. Un segnale di responsabilità indirizzato ai partiti e candidati in lizza, nella convinzione che più ancora del vincitore sia il gioco ad avere un valore in sé. Aspetto che troppo spesso viene trascurato, ma che oggi assume un senso particolare. Per ribadire che prima dello slogan “uno vale uno” viene la massima “una testa, un voto”, perché l’uno di cui si parla è un cittadino, con la sua libertà e le sue scelte, non un semplice numero. E la democrazia è nata proprio per difendere l’autonomia e la sovranità di quelle scelte.

Luciano M. Fasano

Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche
Università Statale Milano



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