20 febbraio 2018

FIGURANTI, PROTAGONISTI MANCATI E ATTENDISTI

Nel pasticcio deleterio delle liste ce n'è per tutti


La assoluta diversità tra il sistema elettorale regionale in cui siamo sicuri che verrà eletto presidente chi prende un voto in più e quello delle politiche in cui siamo sicuri che non verrà eletto nessuno presidente anche se prende un voto in più rendono questa campagna elettorale abbastanza schizofrenica. Molti primattori delle elezioni politiche diventano così alle regionali semplici figuranti.

02marossi07FBÈ il caso del Movimento Cinque Stelle, assoluto protagonista alle elezioni per Camera e Senato del tutto assente a quelle regionali dove non ha alcuna possibilità di vincere ed suoi eletti sono destinati a trascorrere i prossimi anni nell’anonimato di quelli appena trascorsi.

Alle ultime regionali hanno preso il 14,34% dei voti in Lombardia, l’11,19% a Milano, più che a Bergamo 9,82% ma meno che a Pavia 12,57%. Percentuali che sono comunque migliori di quelle ottenute alle comunali dove il candidato a sindaco di Milano ha ottenuto il 10,1%, a Bergamo l’8,25%, a Pavia 7,53%, a Brescia il 6,74%. Insomma sono poco più che una lista civica.

È il caso di LeU forse determinante nelle sfide nei collegi per il parlamento, dove Onorio Rosati ha tante possibilità di essere eletto governatore quante ne ho io di vincere i 100 metri piani alle prossime olimpiadi, condannando probabilmente la sinistra a non essere presente in consiglio regionale (ricordate che Alberini con il 4,12% non elesse nessuno).

È il caso dei Radicali di Più Europa che non paghi del modesto bottino delle ultime amministrative milanesi dove Marco Cappato ha preso l’1,9%, presentano liste provinciali che possono solo sperare nell’effetto di traino di quelle per Camera e Senato dove stanno facendo (teoricamente) il pieno dei sostenitori del centrosinistra non renziani.

Anche molti primattori alle elezioni amministrative diventano figuranti alle regionali. In questo caso però si tratta di una scelta volontaria del tipo: “aspettiamo e vediamo cosa succede Roma”. È il caso dei sindaci che dovranno andare a rinnovo nella tornata amministrativa quest’anno (vanno al voto 102 comuni sui 1516 della regione tra cui Brescia, Sondrio; Seregno, Cinisello Balsamo), che temono che le alleanze/divisioni alle regionali possano riproporsi alle comunali.

È il caso dei sindaci che sono stati eletti con coalizioni diverse da quelle nazionali e regionali che temono che le polemiche si ripercuotano sulla stabilità della loro giunta. È il caso di molti assessori, leader locali di gruppi o correnti in genere critiche con il nazionale che preferiscono non esporsi e non contarsi paventando il sempre presente rischio del “rimpasto”.

Vi è poi il caso dei figuranti malgré eux, tutti quei candidati nelle liste provinciali che non hanno nessuna ciance di essere eletti e che però si sono candidati vuoi per impegno civile a sostegno di una posizione politico ideologica vuoi per esibizionismo narcisistico o per meglio dire perché vogliono quei 15 minuti di notorietà che spettano a tutti nella vita. Sono i protagonisti o le vittime degli innumerevoli aperitivi elettorali che hanno sostituito i comizi volanti, organizzati da testimonial che per ogni chissà ne fanno per 3 o 4 candidati concorrenti.

Accanto ai figuranti ci sono però anche i protagonisti mancati. Due per tutti: 1)Stefano Parisi che da candidato a sindaco di Milano sconfitto per 17000 voti sembrava potere rappresentare la nuova fase del centrodestra e che invece si acconcia in modo abbastanza ridicolo a candidarsi da ex milanese a presidente della regione Lazio; 2)le correnti PD dai franceschiniani agli orlandiani ai martiniani (nel senso del ministro dell’agricoltura non i seguaci dell’ex cardinale) che indicati come potenziali rottamatori di Renzi e rinnovatori del rinnovato PD si contentano di un pugno di candidati testimoniali più da Amarcord e festa del pensionato che da sfida al futuro.

L’attendista è la terza tipologia politica che caratterizza queste elezioni almeno nel versante politiche. Fondamentalmente si tratta di individui e gruppi che non ritengono di essere considerati per quel che meritano ovvero che considerano l’equilibrio post elettorale instabile e foriero di rapidi cambiamenti nel quale possono avere un ruolo maggiore. Stante il fatto che sia il centro destra che il centrosinistra non hanno un candidato esplicito per la presidenza del consiglio e che i leader dei due schieramenti Berlusconi e Renzi hanno non poche possibilità di essere costretti al ritiro, uno per ragioni anagrafiche l’altro politiche l’aggettivo attendista può avere una valenza positiva (alla Fabio il temporeggiatore) o negativa (opportunista).

Ma mentre gli attendisti nel centrodestra si mimetizzano e si guardano bene dall’uscire allo scoperto, nel centrosinistra e in particolare nel PD è ragione di ricerca del consenso esporsi. Indicativa la vicenda di Lia Quartapelle. Il suo declassamento nelle liste, probabilmente uno sfregio trasversale del renzismo romano verso i suoi supporter, ha generato oltre alle legittime reazioni dei suoi amici nella base del PD anche reazioni impreviste.

«Su molte cose ci sarà da discutere, dopo il 4 marzo» afferma Bussolati; frase coerentissima sulla bocca di un Majorino o di altre minoranze interne al PD, ma del tutto incongrua se detta dal segretario (dal 2013) del partito, sansepolcrista renziano e teoricamente suo primo proconsole in Milano e sopratutto capolista a caccia di preferenze. Sembra quasi che per ottenere preferenze occorra in queste lande prendere le distanze da Renzi. Ma non solo preferenze anche voti, se al palese dissenso di Bussolati si aggiunge quello altrettanto palese di Gori: “Credo si sia pasticciato molto e che nell’attribuzione delle posizioni eleggibili in Lombardia il Pd lombardo non ne sia uscito bene, si è ascoltato poco il territorio” e quello di Sala “questa è una nuova scommessa di Renzi, c’è da sperare per lui e per il PD che non la perda perché non ce ne sarebbe una terza”. Siamo di fronte a quella che Crispi chiamava “Repubblica ambrosiana”, e non era un complimento.

Stante il dissenso del segretario, dell’aspirante governatore, del sindaco si potrebbe arrivare alla conclusione che nel PD milanese e lombardo i renziani sono minoranza, tutelati solo da una legge elettorale che fa fare le liste a Roma. In particolare Sala le cui previsioni su Renzi non sono ottimiste: “Si potrebbe passare dal trionfo all’ecatombe” si inserisce in quella lunga lista di sindaci milanesi (pressoché tutti, compresi i podestà) che malgré soi vengono indicati, “come protagonisti nazionali e alternativa alle leadership del proprio partito”.

Diciamolo subito, da Caldara a Pisapia si è sempre trattato di una investitura iellata, foriera di battaglie perdenti. Ma mentre in passato l’investito minimizzava e in alcuni casi negava recisamente, Sala ci ha preso gusto tant’è che in questa campagna sembra ritornato ad essere un indipendente. Ma non più il tecnico neutrale, il direttore generale del Comune e dell’EXPO prestato alla politica quanto un politico a tutto tondo indipendente solo dal PD, che rispolvera antiche parole d’ordine (MSI fuorilegge) e si prepara alla battaglia per rottamare Renzi come del resto ha preannunciato la stessa Quartapelle (datele torto): “Ho chiesto spiegazioni ma non ne ho avute. Sono stata la settima parlamentare per produttività, la seconda nel PD, sono renziana, radicata nel territorio, ho sostenuto il referendum, mi sono spesa per Sala. Mi aspetto una spiegazione il 5 marzo”.

Dice un vecchio detto cinese: “siediti sulla sponda del fiume e aspetta passare il cadavere del tuo nemico” nel caso di Renzi a Milano sembra che bisogna aggiungere. “e aspetta rigorosamente il tuo turno che c’è la fila”.

Walter Marossi



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