6 febbraio 2018

IL TRITATUTTO ELETTORALE E IL LABIRINTO STRATEGICO

Candidati, liste e programmi: a ognuno il suo


La campagna elettorale per le regionali è partita in discesa per Gori, grazie alle improvvise dimissioni di Maroni; tuttavia si ha la sensazione, confermata dai sondaggi (ma ricordo sono fatti dagli stessi che preannunciavano una solenne sconfitta per Pisapia), che la strada sia tornata subito in salita per ragioni oggettive, ma anche per qualche scelta soggettiva discutibile. Tra le ragioni oggettive l’election-day che schiaccia le regionali sulle politiche e che cambia la platea elettorale. Infatti gli elettori alle ultime regionali, altro election-day, furono 5.938.000 come alle politiche, mentre nel 2010 furono solo 4.973.000 e alle europee (le ultime elezioni vittoriose per PD e apparentati) furono 5.100.000.

02marossi05FBIn pratica negli ultimi anni l’aumento dell’astensione ha favorito il centrosinistra; questo perché l’astensione non incide minimamente sull’elettorato di appartenenza, mentre incide sull’elettorato d’opinione. Un tempo l’elettorato d’opinione veniva identificato con un ceto medio urbano, colto ed informato, che sceglieva in funzione dei programmi. Oggi probabilmente bisogna intendere per elettorato d’opinione quello che non legge i giornali, che sta più nella periferia che nel centro della città e che forma le proprie convinzioni politiche fondamentalmente attraverso la televisione, il passa parola, i social e la campagna elettorale.

E’ un elettorato che spesso decide all’ultimo minuto. Un elettorato poco propenso alla riflessione approfondita, lo si sa da più di un secolo da quando Le Bon scriveva: «Le folle non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle evidenze che a loro dispiacciono, si voltano da un’altra parte, preferendo deificare l’errore, se questo le seduce. Chi sa illuderle, può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è sempre loro vittima.» e ancora «L’imbecille, l’ignorante e l’invidioso sono liberati dal sentimento della loro nullità e impotenza, che è sostituita dalla nozione di una forza brutale, passeggera, ma immensa. […] Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro» .

Su questo elettorato le panzane delle scie chimiche, la lotta contro le vaccinazioni o le ben più pericolose sottolineature dell’invasione di immigrati e di pericolo per la razza hanno presa. Se questo è un dato oggettivo, soggettiva è stata la scelta di scegliere come slogan della campagna “Fare meglio” che è una realistica presa d’atto del fatto che la Lombardia non è sull’orlo di una catastrofe e che non occorre un salvatore (ricorda un vecchio detto milanese: “piutost che nient l’è mei piutost”).

Rispetto l’onestà intellettuale di Gori, ma sostenere che Formigoni sia stato un discreto amministratore o meglio che: “nei 18 anni in cui ha governato la Lombardia, Formigoni ha espresso un’idea forte della politica: lo Stato non deve soffocare la società ma deve favorire il suo fiorire” appare un eccesso di “noblesse oblige” finalizzato a recuperare parte dell’elettorato moderato, come ben evidenziato dal voto sul referendum per l’autonomia; sembra però dimenticare una costante delle elezioni e cioè che: “alla copia si preferisce l’originale”. Gori sembra aver studiato una campagna contro Maroni e di essere stato preso in contropiede dall’arrivo di Fontana. Purtroppo per lui il voto non è quasi mai il risultato di un percorso razionale, anzi l’immaginario pesa spesso più del reale, occorre avere una chiamata potente, un “I have a dream”.

Oggettiva è la situazione di tensione che, dopo la scelta dei candidati alle politiche, si vive nel PD lombardo dove financo il mite Bussolati, per la verità un po’ spintonato, minaccia: «Su molte cose ci sarà da discutere, dopo il 4 marzo. Ora al lavoro per un grande risultato».

Soggettiva è invece la scelta di spalleggiare i dissidenti e distinguersi da Renzi e dalla sua leadership. La vicenda delle candidature alle politiche viene dal candidato così giudicata “Credo che si sia pasticciato molto sulle liste per eleggere e nell’attribuzione delle posizioni eleggibili il Pd lombardo non ne sia uscito bene. Si è ascoltato poco il territorio e si sono attribuiti posti in lista agli alleati e forse la Lombardia non era il territorio più adatto, visto che c’è già una fortissima riduzione dei seggi per la nostra rappresentanza parlamentare.” Il che appare contradditorio con la sua esigenza di recuperare passati elettori del centro destra: i distinguo, come tutte le subordinate, in campagna elettorale creano più danni che vantaggi. Gori non è Sala, un corpo estraneo al partito che può assumere una posizione terza e aspirare ad un ruolo politico nazionale subito dopo il 4 marzo, per la semplice ragione che Sala le elezioni le ha già vinte e sopratutto con uno schieramento e una maggioranza diversa da quella delle politiche, che legittimamente cerca di difendere. Sala del resto teme che un generale insuccesso nei collegi uninominali cittadini gli venga imputato e mini la sua autorevolezza: per questo reagisce preventivamente dicendo che è tutta colpa di Roma. Nella condizione di Sala si trovano, tra l’altro, molti sindaci eletti anche con i voti determinanti di quelli che oggi sono in LeU con i quali collaborano quotidianamente in giunta e consiglio.

Oggettiva è la necessità di ampliare la base dei sostenitori e degli attivisti, sopratutto a fronte della crisi di militanza del PD e alle defezioni nel sindacato e in generale nei soggetti terzi.

Soggettiva è invece la scelta di moltiplicare liste e candidati a suo sostegno. Schema che è utilissimo nelle comunali quando il candidato “carneade” fa un effettivo porta a porta, ma che non fa alle regionali quando invece, stante le dimensioni del collegio, va a botta sicura e cerca la preferenza la dove sa già esserci un voto certo per il suo schieramento. Aumentare i candidati significa aumentare: un fattore di competizione perversa e malsana tra candidati della stessa formazione, di lacerazione e indebolimento di un partito nel confronto con gli autentici avversari” come dicevano Fassino e Veltroni, senza contare che le preferenze sono un formidabile incentivo all’incremento delle spese elettorali e al proliferare delle pratiche clientelari. Del resto che il proliferare dei candidati non serva a molto lo conferma il fatto che è proprio nel centro sinistra che si ha la differenza maggiore tra voti al presidente e voti alla lista (per Ambrosoli fu dell’8%) mentre nei 5 stelle è stata dello 0,8% e per Maroni del 5%.

Guardando poi i numeri del passato i candidati delle liste minori che hanno preso meno di 20 voti sono dozzine. Alle regionali la campagna per le preferenze non sposta voti né tra gli schieramenti né tra l’astensione e il voto, mentre le candidature nei collegi delle politiche lo possono fare; opportuno quindi sarebbe, per il candidato, evidenziare la coerenza tra i due voti invece che cercare distinguo.

Oggettive sono le iperboli dei programmi elettorali dei partiti alle elezioni politiche: tra promesse di assistenza veterinaria gratuita, aumento delle pensioni, diminuzioni delle tasse, università gratuita, dazi contro i prodotti stranieri e stupidaggini varie è difficile che il “tema Lombardia” trovi spazio. Soggettiva però è la scelta di non avanzare, fino ad oggi, nemmeno poche proposizioni programmatiche chiare per i lombardi. Tradizionalmente il programma esaustivo, articolato per capitoli e sotto-capitoli, non viene letto neppure dai candidati delle liste provinciali; occorrono poche chiare proposte immediatamente comprensibili e veicolabili; una “unique selling proposition” che distingua la campagna di Gori, altrimenti schiacciata dai temi nazionali. Occorre distinguersi per non finire come diceva Trilussa: “Ma appena mamma ce dice che so’ cotti li spaghetti semo tutti d’accordo ner programma”.

In conclusione ci sembra di poter dire che, almeno fino ad oggi, la campagna di Gori appare troppo prudente, per non dire moscia. Ma c’è tutto il tempo per rimediare.

Walter Marossi



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