6 febbraio 2018

LAVORO E CHI SE NE OCCUPA. CONCORRENZA DOPPIA

Sindacati e Confindustria: poco interesse al problema della disoccupazione


Aumentano i sostenitori delle Politiche attive del lavoro. C’è anche Pietro Ichino. E il ministro De Vincenti le ricorda al coraggioso duo Calenda – Bentivogli. Avessimo fatto a Milano una iniziativa come si deve – una ricerca, con pluralità di posizioni e un creativo visionario – saremmo pronti con ciò che oggi si auspica: un orientamento (per giovani, scuole, famiglie) e una formazione professionale dieci volte più ampi, mirati a quel che serve alle imprese; e Agenzie pubbliche locali, con dieci volte il personale attuale, per l’incontro tra Domande e Offerte di lavoro. Agenzie apprezzate, in concorrenza con quelle private e capaci di accompagnare i lavoratori (dipendenti e autonomi) nel dialogo con le imprese. Ecco, moltiplichiamo tutto per dieci e saremmo come la Germania. Meglio. Avremmo già chiesto Politiche attive europee. Per una maggiore libertà sia delle aziende sia del lavoro. E l’Europa, con il suo formidabile capitale umano e d’intrapresa, sarebbe ancor più sugli scudi. Così si battono i populismi.

05bizzotto05FBMancano all’appello (dei sostenitori delle Politiche attive) le associazioni delle imprese e quelle dei lavoratori. A dire il vero le Camere di Commercio si son mosse e la Cisl qualcosa dice, mentre la francese Cfdt l’ha ben chiaro: sì alla libertà per le imprese di licenziare, di scegliersi i collaboratori, se anche i lavoratori vengono accompagnati a scegliere l’imprenditore (e a cambiarlo se non va); fare equità e giustizia, produttività e uguaglianza (di chance, di apertura); e nessuno rimanga nel bisogno. Produttività e uguaglianza viaggiano infatti in parallelo, come possibilità e rischi. Qui il sentiero liberale (rete regolata di individui) finisce su un precipizio. Va rinnovato.

Qual è il nodo? La concorrenza. Che le imprese da sé non scelgono, perché mirano al “bottino”, e neanche i lavoratori: troppe volte cercano il posto tranquillo, e pensano ad altro. In entrambi i casi è passività perdente, rifiuto del rischio. Lo Stato allora serve per attivare, pungolare con “spinte gentili”, direbbe il Nobel per l’economia ‘17 Richard Thaler. Incentivare, mettere in doppia concorrenza: le imprese tra loro e nell’attrarre lavoratori. E viceversa: i lavoratori in concorrenza per i ruoli e nella scelta dell’imprenditore. Capite perché Confindustria e Sindacati non parlano di Politiche attive del lavoro? Non amano la concorrenza (che è il cuore del libero mercato).

Scaviamo sul concorrere: correre insieme; misurarsi e lasciarsi misurare; mettersi alla prova; scoprirsi e fiorire. Implica occasioni, sostegni, e una dose d’incertezza valutata, di rischio gestito. È bellissima: sradica la povertà materiale e culturale. Il nemico numero uno della concorrenza? Il lavoro nero (3,7 milioni di lavoratori e quanti imprenditori?): una vergogna con molte ricadute sfascianti.

Alla concorrenza serve un disegno istituzionale nuovo, fin nel territorio. Non basta guardare ai meriti. Il merito è statica. Serve la dinamica. Cosa diciamo ai lavoratori precari, a tempo, a chiamata? Quali meriti possono vantare? Per loro, perché è giusto e anche per i figli di chi può (per non tarparne la personalità), servono chance di crescere liberi e di sbocciare: strumenti che pareggino i poteri in campo e consentano di rischiare. Questo lavoro (pareggiare i poteri, uguaglianza di chance: per fiorire) lo deve fare lo Stato con Istituzioni partecipate. Altrimenti vincono i furbi e il rancore. Non lo può fare da solo un sindacato (la lotta di parte). Non c’è altro modo: l’uguaglianza non si impone, né per volontà né per legge; servono motivazioni, “nudges” (da Thaler: pungoli gentili) e grandi maturazioni.

Allora, il punto di partenza è l’assegno di ricollocazione del Jobs act: una somma da utilizzare presso le Agenzie pubbliche o private per ottenere l’accompagnamento a un lavoro; attiva e responsabilizza le Istituzioni e i lavoratori. Lo ha detto chiaro Maurizio Del Conte, presidente di ANPAL, l’Agenzia nazionale per le Politiche attive. La legge di Bilancio 2017 estende la possibilità di richiedere l’assegno di ricollocazione anche ai lavoratori in Cassa integrazione. Significa che, se l’impresa vuole il sostegno pubblico, scatta un allarme. È un segnale che consente di giocare d’anticipo, mediare e accorciare i tempi di Cassa (con la prevenzione tutto costa la metà). Se i lavoratori decidono di rimanere significa che si fidano. Altrimenti cercano di andarsene, se hanno chance di poterlo fare. Rischiano in modo ponderato. Nessuno fa azzardi.

Milano può fare di più per il Paese. Macchine e robot vanno a mille; le imprese qualificano l’offerta, il servizio, l’assistenza da remoto e s’ingegnerizzano. Riducono costi e dipendenti. Questi sono nell’angolo, eppure decisivi, indispensabili. E chi non ce la fa e non serve all’impresa del profitto? Ci sono mille altre vie di attività, di responsabilità, di concorrenza e di rischio. Di fioritura. Gli anziani attivi sono già in campo: volontariato, scuole, cooperazione no profit, attività diverse gestite dalla PA. Le Politiche attive del lavoro amplino in questa direzione il loro raggio d’azione e offrano nuove chance alle PA, ai giovani, alle donne. L’impresa profit si automatizza? Non è di questo che moriremo.

Si possono -si devono- fare accordi locali che superino le norme nazionali, nel rispetto del dettato costituzionale ed europeo. Aderire alla realtà è il primo passo. Anche per essere solidali. Partire dai numeri, da dati, esigenze e possibilità (rischi) locali. La Lombardia è pronta e ancora non l’ha fatto. È questione politica.

Chiudo con uno scatto di Michael Walzer (politologo Usa, 1935 da Il filo della politica, Diabasis, 2002, pag. 91): “Poiché la società civile, lasciata a se stessa, ingenera rapporti di potere radicalmente disuguale, che solo il potere dello stato può sfidare (…) lo stato non può mai essere, come appare nella teoria liberale, una mera struttura per la società civile. È altresì strumento di lotta, usato per dare una forma particolare alla vita comune.”

Francesco Bizzotto



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