6 febbraio 2018

CLIMA ELETTORALE: IL DESTINO DI CITTÀ STUDI E I CITTADINI

Un incontro coi candidati in Regione


“Quale futuro per Città Studi?” è quello che Assemblea di Città Studi chiederà ai candidati alla Presidenza della Regione Lombardia in un incontro il 7 febbraio. Esattamente tre mesi dopo la fiaccolata del 7 novembre che ha visto scendere per le vie del quartiere un migliaio di persone al grido di “Giù le mani da Città Studi”, l’Assemblea di Città Studi, il soggetto che riunisce tre comitati di quartiere, il collettivo studentesco universitario I-Light e la RSU UniMi, ha organizzato per mercoledì 7 febbraio un incontro con i candidati alla Presidenza della Regione Lombardia.Solo Fontana (candidato del Centrodestra) ha declinato l’invito, mentre gli altri 4 parteciperanno. Non sarà un convegno istituzionale, tanto meno una specie di talk show con i politici che si parlano l’uno sull’altro. Sarà un’assemblea della cittadinanza su “Quale futuro per Città Studi?”.

06romano05FBChiederemo ai vari candidati quali azioni concrete intendano intraprendere, in caso di vittoria, rispetto al proposto trasferimento dei dipartimenti scientifici dell’Università Statale nell’area ex Expo. Siamo anche interessati a sapere quale sia la loro idea di università e di diritto allo studio, di città, di pianificazione, di partecipazione e condivisione da parte della cittadinanza di progetti che riguardano beni di interesse collettivo come sono un’università pubblica e un intero quartiere della città di Milano.

Ricordiamo che dopo che nel 2014 l’asta per vendere i terreni di Expo ai privati è andata deserta, il governo guidato da Renzi ha pensato di creare lo Human Technopole, luogo dell’eccellenza scientifica. Era a quel punto necessario che un nuovo campus scientifico universitario facesse da traino all’ambizioso progetto. Nel 2016 l’Università Statale manifesta interesse a trasferire a Rho i dipartimenti scientifici, e nel Patto per la Lombardia, siglato a novembre 2016 tra il Presidente Maroni e l’ex Presidente del Consiglio Renzi, vengono stanziati 130 milioni di euro, risorse statali provenienti dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione Tale somma copre circa un terzo del costo dell’intera operazione di trasferimento calcolato in 380 milioni di euro ed è vincolata alla costruzione del nuovo campus a Rho. Chiederemo ai candidati se saranno disponibili, in caso di vittoria, a modificare il Patto (cosa possibile in base all’art.8), e a riallocare quei fondi o una parte di essi alla zona est di Milano, già in sofferenza per le aree ex industriali di Lambrate e Rubattino, ora in abbandono: ristrutturando gli edifici universitari che versano in situazioni critiche, riqualificando l’esistente ed espandendosi nelle zone limitrofe, si potrebbe realizzare quello stesso campus universitario attrattivo e competitivo che si spera di far nascere a Expo. Per un approfondimento si veda https://chenesaradicittastudi.wordpress.com/2017/05/15/perche-ce-lo-chiede-leuropa/

Sarebbe a tal fine necessario e doveroso effettuare quanto prima uno studio comparativo indipendente sui costi di un campus moderno, riqualificato e ugualmente ambizioso e all’avanguardia a Città Studi. La nostra ripetuta richiesta in tal senso non è mai stata presa in considerazione. Il Comune ha invece affidato al prof. Alessandro Balducci lo studio di fattibilità per il post trasferimento, dando per scontato che il trasferimento ci sarà. Una valutazione dei pro e contro dell’intera operazione non è mai stata fatta, e la nostra proposta ai decisori di fare un passo indietro in attesa di poter operare un reale ed effettivo confronto su quale fosse la scelta migliore è rimasta inascoltata.

Nessuna alternativa quindi, nessun dialogo, nessun “noi”, uno strano linguaggio della democrazia su questioni di pubblico interesse. Peccato che con questo modo di procedere la politica abdichi alla sua stessa funzione, che è quella di garantire il bene comune e di interagire con chi li ha eletti a propri rappresentanti. È per questo motivo che nascono un po’ ovunque comitati di cittadini sempre più consapevoli e responsabili che cercano di portare avanti progetti di interesse collettivo, confidando in un reale confronto con chi ha scelto di fare il politico di professione.

In questa vicenda si è così creato un circolo vizioso, un meccanismo perverso che permette agli attori coinvolti di scaricare l’uno sull’altro la responsabilità dell’intera vicenda del trasferimento e delle incerte conseguenze sul futuro del quartiere.

Quella stessa parte politica, che ha vincolato i 130 milioni al trasferimento, risponde alle preoccupazioni dei cittadini attribuendo la responsabilità della decisione all’Università la quale, privata della possibilità di impiegare altrove il finanziamento, è riluttante a rinunciare a tanta grazia.

I vertici della Statale sostengono infatti che questa sia un’occasione irripetibile e irrinunciabile: quando mai si ripresenterà l’occasione di beneficiare di 130 milioni così generosamente concessi dall’alto, soprattutto in un Paese che risulta essere terzultimo in Europa nell’investimento in formazione e istruzione e penultimo per numero di laureati?

Ci troviamo di fronte a un classico esempio di sudditanza, in questo caso da parte di un’importante istituzione universitaria pubblica, alla volontà politica, ovvero alla necessità di risolvere il problema del post Expo. Là dove la politica è sempre più spesso utilizzata come braccio operativo di quanto viene deciso dietro le quinte in ambienti economici e finanziari. Il tutto a discapito dell’interesse collettivo, come sono un’università pubblica o un pezzo di città.

Poco importa che il Dipartimento di Informatica sia contrario, che i matematici facciano appelli contro il trasferimento perché “La vita del campus ci penalizza”, che moltissimi docenti considerino il trasferimento “un salto nel vuoto per l’ateneo, anche per la sostenibilità finanziaria. Per noi comunque un passo indietro.”1

Molti docenti, lavoratori, studenti dichiarano che è una decisione calata dall’alto, che sono in pochi ad avere deciso, senza tener conto della volontà dell’eterogenea collettività che abita il mondo accademico.

Il condizionamento politico è tale che pur di prendere i 130 milioni e assecondare il piano salva Expo, i massimi organi dell’università costruirebbero un campus anche in mezzo al deserto, facendo un rendering futuristico e accattivante con cammelli volanti, tale da incantare tutti coloro che sono convinti che Milano sia predestinata a diventare sempre più il motore trainante del Paese, la locomotiva economica, la città dell’immagine dell’Italia nel mondo.

Ci dimentichiamo invece che operazioni di questo tipo comportano uno spreco di soldi pubblici, come puntualmente sostenuto da Giancarlo Consonni nel suo articolo del 9 gennaio su Arcipelago Milano

Lo scialo di denaro pubblico in un’operazione anti-urbana come quella del recupero dell’area ex Expo (vero e proprio buco nero di risorse collettive) dimostra che non è solo e tanto una questione di scarsità di risorse: fare città (nel senso di difendere e incrementare la qualità urbana dei luoghi) o disfare le città esistenti, è questo, più che mai, il tema centrale della politica.”

Dato che l’attuale Rettore è in scadenza e che verosimilmente ci saranno nuove elezioni a giugno, sarebbe opportuno sospendere fino ad allora una decisione epocale di tale portata. Tanto più che il professor Elio Franzini, uno dei candidati a ricoprire la carica di futuro Rettore, si esprime così a proposito di Città Studi:

“(il trasferimento delle Facoltà Scientifiche a Rho Expo) è la disgregazione di un corpo sociale vivente – Città Studi – a favore di un luogo dove nessuno ha mai pensato di abitare. Rendere abitabili i luoghi non significa costruire in luoghi inabitabili per farli abitare bensì costruire qualcosa all’interno del quale noi possiamo abitare”

L’Assemblea farà notare ai candidati che il quartiere perderà anche gli Istituti ospedalieri Besta e Tumori che emigreranno a Sesto. Si tratta a tutti gli effetti di due operazioni di espianto urbanistico, considerato che riguardano 219.000 mq di superficie fondiaria pari ai 2/3 di tutta l’area di Città Studi.

Ci chiediamo se i nostri amministratori siano così a corto di idee da dover disfare un quartiere per recuperarne un altro. Dato che sulla stampa si ventila l’ipotesi che l’Università si possa avvalere dello strumento del project financing per reperire parte dei fondi mancanti per l’operazione trasferimento, si potrebbe verificare che l’operatore privato si ritrovi a gestire in futuro anche l’area di Città Studi di proprietà della Statale. In tal caso è altamente verosimile che l’area in questione possa subire trasformazioni non in linea con l’obiettivo espresso dal Comune di mantenere quei luoghi servizi pubblici, visto che il privato vorrà fare profitto. Il timore diffuso è che l’abbandono dei vari edifici porti a un degrado e alla svalorizzazione dell’intera area in modo da favorire progetti di privatizzazione che si tradurranno in cementificazione per uso residenziale.

Chiederemo ai candidati come pensano che possano conciliarsi gli interessi del privato con gli interessi del pubblico, tenendo conto che l’Amministrazione pubblica deve avere come obiettivo quest’ultimo e non potrà/dovrà mai identificarsi con gli interessi delle grandi società private.

ll 7 febbraio vedremo se i candidati alla presidenza della Regione saranno più o meno sensibili alle sollecitazioni che arrivano dalla cittadinanza. Assemblea di Città Studi non si ferma.

Marina Romanò

Nota 1: Corriere della Sera, 1 febbraio 2018



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