6 febbraio 2018

LETTERA DI UNO SPETTATORE MILANESE

Il Piccolo torna grande con “Freud o l’interpretazione dei sogni”


Frequento il Piccolo Teatro da almeno sessant’anni (ne ho compiuti da poco settantotto).

Era del tutto comprensibile che la scomparsa prima di Strehler, poi di Ronconi, provocasse un calo del livello qualitativo. Ora, finalmente, abbiamo di nuovo una produzione di grande qualità.

08amoroso05FBFreud o l’interpretazione dei sogni”, di Stefano Massini nell’adattamento (con Fabrizio Sinisi) e con regia di Federico Tiezzi, protagonista Fabrizio Gifuni, in scena fino al 4 marzo: è un evento assolutamente da non perdere.

Tutti, più o meno, crediamo di sapere chi è stato Freud, che cosa ha rappresentato nella storia del ventesimo secolo e quanto sia tuttora un pilastro nella vita di tutti noi. Ma le quasi tre ore di spettacolo (intervallo compreso) ce ne propongono una versione molto più complessa, intrigante, coinvolgente.

Quello che vediamo in scena dal primo all’ultimo minuto non è affatto un demiurgo risoluto che fonda ex novo un mondo diverso, emergendo quale assoluto protagonista in una Vienna “fin de siècle” sul punto di crollare.

Il Freud che ci viene proposto è, al contrario, un uomo pieno di dubbi e di paure che si avventura con curiosità e coraggio nell’universo dell’inconscio dei pazienti, ma anche e prima di tutto nel proprio. In altri termini, uno scienziato colto ed assolutamente originale, ma tutt’altro che perfetto, al di sopra del tempo e fuori dal suo contesto storico e geografico. La grandezza del testo di Mossini risiede proprio nell’avere creato un personaggio a tutto tondo che è tanto più grande in quanto non appare affatto superiore a coloro che cura, bensì sodale con le loro debolezze, che confronta con le proprie.

L’adattamento e la regia di Tiezzi, a sua volta, collocano lo spettacolo in un’atmosfera sospesa nel tempo, in una Vienna fuori da ogni stereotipo che confina con un’attualità assolutamente credibile. Le scene di Marco Rossi spostano il contesto verso l’Art Nouveau e l’epoca moderna, così come i costumi di Gianluca Sbicca ci mettono nella condizione di vivere le vicende degli attori come se fossero le nostre. Gifuni è un Freud straordinario, che unisce un’assoluta credibilità fisica ad una misura eccezionale nella recitazione, mai eccessiva; è forte e corroborante verso i pazienti quando svela loro i significati dei sogni, ma affettuosamente partecipativa quando li coinvolge nelle proprie debolezze, nei suoi dubbi, nei dolorosi ricordi di un’infanzia segnata dai duri rimproveri del padre.

Del tutto originale e controcorrente, poi, è l’ assenza di sottolineatura degli aspetti sessuali così tipici della comune interpretazione del “fenomeno Freud”; se ne trova un solo accenno, molto coerente, là dove egli confessa di aver attribuito a diverse sue pazienti, nel suo fantasticare, il volto della moglie, quasi a voler praticare una sorta di prudente autocensura nei confronti delle molte tentazioni nelle quali necessariamente incorreva quotidianamente, frequentando belle donne che gli si affidavano completamente per guarire dalle loro sofferenze. Tutti gli altri interpreti, nessuno escluso, danno il meglio di sé, confermando il vecchio detto che “non esistono parti piccole o grandi, ma solo piccoli o grandi attori”.

A distanza di 55 anni il Piccolo torna quindi ai livelli di “Vita di Galileo”, con Massini al posto di Brecht, Tiezzi di Strehler e Gifuni di Buazzelli. Umberto Ceriani (classe 1939), allora interprete di Ludovico Marsili, oggi di Oskar K., fa da trait d’union fra i due spettacoli e, con la sua storia di fedelissimo del Piccolo, ne certifica la ritrovata grandezza.

In una qualsiasi sera di metà settimana la grande sala dello Strehler era piena, soprattutto di giovani studenti. Un ottimo segno di vitalità del teatro e di capacità organizzativa della scuola milanese. Conviene quindi prenotare per tempo, anche perché la programmazione del resto della stagione non consentirà proroghe, almeno per il corrente anno.

Pippo Amoroso



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