30 gennaio 2018

GLI SCHIAVI DEL FOOD DELIVERY: TORNATI ALL’OTTOCENTO?

Contro silenzio e debolezze, riaprire il discorso pubblico sui diritti del lavoro


Li vediamo sempre più spesso, all’ora di cena ma non solo. Come indiavolati, pedalano contromano, uno sguardo alla strada ed un altro allo smartphone, in cerca dei clienti assegnati, lavorano al buio, ma non sono lucciole. Spesso giovani e giovanissimi, ma anche più su d’età. Spesso extra comunitari, ma anche italiani. Non hanno divisa aziendale, ma lavorano solo per un padrone, di cui portano sulle spalle un grande scatolone con stampato il marchio (Foodora, Deliveroo ecc.), che s’intende, con tutti i soldi che gli danno, devono ricompensare la generosità con la pubblicità “gratis”.

05ucciero04FBMoltissimi utilizzano i loro servizi: loro sono i forzati della consegna a domicilio, i free riders del delivery enogastronomico, acrobati urbani sul filo dei paraurti, altro che mountain climbers! Fuor di ironia, il fenomeno è grave e crescente, talmente sregolato da riportarci agli albori della condizione dei lavoratori, qualcosa che pensavamo avere lasciato lontano, dismesso nella pratica perché squalificato nelle coscienze, ancor prima che dalle norme, qualcosa di pre-Quarto Stato.

Ed invece no. Si tratta di un fatto moderno, anzi avveniristico nella sua mescola inquietante: piattaforme tecnologiche, marchi seduttivi, imprenditorialità fasulle, sfruttamento intensivo, arbitrio padronale, zero tutele e zero regole.

Nel post-Expo che ci siamo meritati, la Milano Smart incuba anche scenari di sottomissione insostenibile, finora ben nascosta sotto il manto ingannevole della sharing economy, dell’autonomia, della flessibilità e della libertà imprenditoriale, narrato con quel fasullo linguaggio liberista che, mentre allude al sogno di libertà e successo, ci precipita nella realtà della privazione dei diritti più elementari.

Lavorano a chiamata, quando piove e tira vento, più veloci corrono e più consegne fanno. E se fai storie “sei fuori”, come urlava il protagonista di un format televisivo di successo divenuto nel frattempo Presidente degli Stati Uniti, il più disgustoso e pericoloso dell’era moderna. Il nostro pedalatore, dicono i proprietari delle griffe delle consegne a domicilio, è un lavoratore “autonomo”, che procede da sé alla preparazione della logistica (bici), all’installazione dei mezzi di sicurezza (luci, giubbotti.), al telefono ed alle riparazioni, oltre che nella gestione del cliente insoddisfatto.

Che lavori è certo, ma possiamo credere alla sua effettiva autonomia?

Qui siamo all’inferno della sharing economy, una cosa che funziona così: io, impresa, trovo il cliente e confeziono il prodotto, organizzo interamente il ciclo integrato della consegna, programmo e coordino la flotta dei rider, ne impongo e monitoro il percorso, ma alla consegna provvedi tu, caro simpatico rider, nella tua “piena autonomia” organizzativa e strumentale (la bici ed il tuo corpo). E ringraziami pure, che così facendo ti elevo al rango mio e dei miei pari: siamo tutti imprenditori, la differenza tra noi essendo solo nel merito, ovvero la capacità di fare soldi.

E’ davvero paradossale ed amaro assieme: l’impresa non fornisce neppure i mezzi di produzione (la bici) e proprio questa mancanza diviene, secondo i padroni del delivery, il fondamento giuridico di quella condizione di autonomia del lavoro che le consente di non riconoscere i diritti al lavoratore bici – montato! Eppure esiste il Contratto Collettivo Nazionale – Facility Management (agenzie di recapiti corrispondenza, stampa e plichi, servizi poste e pony express) a regolare il rapporto di lavoro: ciononostante ogni anno cresce il numero di infortuni per questi lavoratori, che naturalmente neppure vengono denunciati per timore dell’interruzione del rapporto con il committente – cliente.

Assicurazione? Ferie? Fisso retributivo? Contributi? Macché questa è ferraglia del Novecento, qui si torna al caro vecchio Ottocento pre-sindacale. E’ il mondo delle start up, del servizio smart, delle app e di tutto quel repertorio anglo americano, sempre più invasivo e sempre meno autentico. Il fatturato del settore della consegna a domicilio cresce con valori esponenziali, ma pressoché interamente sulle spalle di un nuovo venuto, che ha una faccia antica: il proletario precarizzato, o se si vuole, il precario proletarizzato, tale quale, bisogna pur ricordare, è stato per quasi un secolo prima del successo delle imponenti lotte popolari ed operaie.
Qualcosa si muove? Per fortuna sì, ma troppo poco e troppo lentamente. Cominciano episodi di rivendicazione e perfino scioperi, qualche forma organizzativa prende forma, ma la voce resta debole, così come debole è la ripulsa sociale. Come consumatori dovremmo prendere maggior coscienza del guasto tremendo generato da questa pratiche imprenditoriale, ma è molto difficile trovare il bandolo della matassa: se l’unica arma del cliente è il mancato ordine, temiamo che in questo caso l’unico effetto consista nel portare in cantina la bici del free rider rimasto privo di commesse. Unica eccezione il caso in cui si trattasse di avere l’opzione di scegliere imprese eticamente sensibili piuttosto che altre che non lo sono affatto.

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Come Sindacato, c’è consapevolezza ma anche grande difficoltà ad organizzare un soggetto sociale che resta pur sempre polverizzato, diviso linguisticamente e socialmente, talmente disperato da accontentarsi di qualsiasi cosa, pur di sbarcare il lunario. Resta lo Stato, restano i partiti, resta l’opinione pubblica. Restano i soggetti della collettività, dell’etica, delle tutele normative. Cosa hanno fatto finora questi imponenti attori della scena pubblica? Per lo più tacciono, distolgono lo sguardo, farfugliano.

Sconcertante poi è l’assenza omertosa dei controlli da parte degli enti preposti, assenza grave nella Milano smart quasi quanto nella disperata Rosarno. Eppure, stato, partiti ed opinione pubblica dovrebbero ben comprendere che il fenomeno dei free rider è solo l’antipasto (absit injuria verbis) di un futuro assai più esteso e pervasivo, un futuro angosciante, dove il paradigma “piattaforma – controllo – schiacciamento dei diritti e dell’autonomia” rischia di diventare preponderante nel campo dei servizi, e non solo.

Le elezioni sono alle porte: non sarebbe allora il momento opportuno per rompere il silenzio pubblico ed aprire finalmente un discorso politico, sociale e sindacale, capace di ragionare di nuovo su diritti e dignità del lavoro, per manifestare vicinanza a quanti ne sono oggi privati, anche per la nostra debole acquiescenza?

Giuseppe Ucciero



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