23 gennaio 2018

UNA CAMPAGNA ELETTORALE DA DIMENTICARE

Ma cosa ci sta succedendo?


L’altro giorno ho ripreso un libro che tenevo da tempo, impolverato, un “Lessico della politica”, pubblicato dalle Edizioni Lavoro. Ho letto (forse riletto, ma non ci giurerei) le prime righe dell’Introduzione di Giuseppe Zaccaria, giurista dell’Università di Padova: “Questo libro nasce da uno spontaneo moto di fastidio per il degenerare del dibattito e dello scontro politico in Italia, caratterizzato dall’assoluta preponderanza di temi di piccolo cabotaggio, dall’impoverimento etico della lotta politica e dalla contestuale decomposizione corporativa delle spinte sociali. Sempre di più la politica sembra fondarsi esclusivamente sugli interessi immediati, su logiche e valenze ristrette, che rifiutano di rapportarsi a considerazioni e ricomposizioni di carattere generale…”. Data di pubblicazione: 1987. Trent’anni e mi sembra il nostro presente, mi sembra di ritrovare in queste poche righe la sintesi, nel ponderato linguaggio di un accademico, delle risse, delle promesse a vuoto, delle minacce che stiamo ascoltando da tempo e che ascoltiamo, moltiplicate, in questo scorcio di campagna elettorale.

03pivetta03FBLa fotografia scattata dal professor Zaccaria non poteva prevedere quanta strada avrebbe ancora percorso la povertà intellettuale e morale di molti contendenti, esibita senza remore nei vari talk show televisivi, prevedibili battaglie durante le quali chiunque cerchi di riflettere, di ragionare, di discutere, viene zittito e aggredito dall’altro (molto spesso coadiuvato da alcuni miei ex colleghi giornalisti, che hanno deciso di indossare abiti da giustiziere della notte, Travaglio onnipresente il primo della lista). Tutti nemici, odiati, bersagliati a colpi di slogan inconcludenti e, ahimè, pure di tweet. Il tweet, da Trump a Putin fino ai nostri dilettanti, s’è fatto largo ovunque e illustra bene quell’impoverimento di cui si diceva: se in poche battute si devono condensare i contenuti, per la propria propaganda non ci si può che arrangiare con battutacce denigratorie. Lo usano gli uomini più potenti del mondo, figuriamoci se ci possono rinunciare Di Maio e Renzi. Persino Papa Francesco c’è caduto, con altre intenzioni però, per fortuna sua e nostra.

Alcune sere fa un ex presidente del consiglio e illustre professore, Mario Monti, ai tempi assai criticato ma che ora mi sembra di dover rimpiangere, interpellato in tv, definiva “irresponsabili” questi nostri duellanti. Un giudizio che ha ripetuto più volte con estrema durezza. Come non essere d’accordo, se nel contesto di questo paese un politico non è in grado di esercitare il proprio ruolo offrendo soluzioni, cercando mediazioni, lasciando almeno intravvedere accordi e soprattutto spiegando proposte e illustrandone le conseguenze. Invece sentiamo proclamare: abolire il canone Rai (senza dire che comunque il bilancio Rai s’aggiusta con i nostri soldi), abolire le tasse universitarie (allo stesso modo si attinge alla fiscalità generale, trascurando il peso devastante dell’evasione, anzi proponendo condoni a raffica, Berlusconi più di tutti), ripristinare le case chiuse e cancellare l’obbligo alla vaccinazione (qui ci si mette Salvini, della cui competenza scientifica non abbiamo certezze), uscire dall’euro (Di Maio, che poi ci ripensa perché secondo lui l’asse Germania- Francia non è poi così forte) senza chiarire che l’Europa ci ha salvato dalla catastrofe economica, “stracciare” la legge Fornero (ancora Salvini, che non s’interroga sul futuro e sul successivo probabile crollo dell’Inps e quindi sulla cancellazione di quelle tutele sociali che ci hanno risparmiato panorami da day after…). Primatisti nella corsa ad abolire sono prevedibilmente Di Maio (via i finanziamenti all’editoria, ad esempio, via redditometro e spesometro, ma lui vorrebbe, alla maniera del dimenticato Calderoli, fare pure un falò di quattrocento leggi in un colpo solo) e Berlusconi (che getta nel cestino tasse su auto, prima casa, successioni, donazioni e Irap). Va bene tutto, per fare colpo. Nessuno che indichi una prospettiva di alleanza e quindi di governo: si tengono le mani libere.

Torniamo a Monti e agli irresponsabili. Irresponsabili sono, ma il punto è che in una condizione normale l’irresponsabilità politica sarebbe punita con la perdita del consenso. Invece gli elettori applaudono, ma nessuno tra i plaudenti immagino sappia, ad esempio, quanti soldi l’Europa paga all’Italia. Nessuno ci ragiona. Il ragionamento non cattura. Cattura invece “la nostra razza bianca” del candidato lombardo, il leghista Fontana, uno dei meglio… Il quale prima smentisce, poi si appella alla Costituzione, con una libera interpretazione della Costituzione, negando allora il lapsus, che non ci fu, perché quell’espressione rappresenta una deliberata esternazione per andar incontro alle attese di un diffuso elettorato. Fontana parla, come si dice, alla pancia della nazione. E’ evidente che Fontana è un “irresponsabile”, aizzando istinti più vicini al nazismo che a una democrazia liberale. Ma per questo non sarà punito al voto.

Allo stesso modo i compitini del candidato premier Di Maio hanno indotto molti a dimenticare la caterva di insulti osceni e brutali con i quali i fedeli del movimento si sono esercitati nel blog di Grillo (una caterva contro giornaliste e giornalisti, molti anche contro la presidente della Camera, Boldrini, assunta a simbolo del ”nemico”). Acqua passata. Eppure gli M5S si erano presentati con ambiziosi propositi di nuova democrazia, partecipata in ogni momento, naufragata negli intoppi del computer e nel risorto ferreo centralismo burocratico di stampo sovietico di Casaleggio e Di Maio: le liste le fanno loro, altro che parlamentarie.

Per concludere mi permetto di osservare come si stia assistendo a continui oltraggi, per ora solo verbali, alla democrazia, cioè a quel sistema che dovrebbe permettere a persone che si riconoscono in valori e interessi diversi di giungere a decisioni senza il bisogno di sopprimere l’avversario. Così la campagna elettorale risulta più simile alla guerriglia che a un confronto politico, una guerriglia da operetta, purtroppo, sul palcoscenico del Titanic in rotta verso l’iceberg, in cui i nostri aspiranti governanti si esercitano al tiro al bersaglio, sparando annunci eccitanti quanto poveri di valore, senza una visione soprattutto, una visione come il “sole dell’avvenire” di un lontano passato o come l’Europa sbandierata dal recentissimo Macron, qualcosa nel cui raggio collocare dunque aspirazioni e progetti. Chiamatela come volete, se non vi piace la parola “ideologia”.

Oreste Pivetta



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