12 dicembre 2017

CITTÀ METROPOLITANE, PROVINCIE, COMUNI: L’ARMATA BRANCALEONE

A un anno dal referendum oblio e confusione sulle scelte istituzionali


Come il naso di un racconto di Gogol, staccato da un incauto barbiere, le Province tagliate dalla legge Delrio, non eliminate ma occultate tra gli stracci, subiscono un travagliato percorso e un incerto destino. Il maldestro tentativo di gettare l’involto nel fiume, cancellandole dalla Costituzione, è stato bloccato dalla non prevista apparizione di un popolo sovrano al Referendum di giusto un anno fa.

ballabio41FBStessa sorte per le finte Città metropolitane, marginalizzate, senza rilievo politico e di conseguenza senza risorse, in balia di una legge istitutiva obsoleta a soli tre anni di età: inefficace in via di fatto e incostituzionale in diritto. Tuttavia, avvicinandosi la campagna elettorale, partiti, gruppi e possibili coalizioni riscoprono i “contenuti”: lavoro, fisco, welfare ambiente, ecc. Ma i contenitori? E gli strumenti per renderli effettivi e fruibili? Se ti offro pastasciutta fai come Pulcinella oppure servono anche piatti e posate?

Sotto questo profilo perdurano purtroppo oblio e confusione. Il candidato del PD alle prossime elezioni regionali lombarde, Giorgio Gori, è lo stesso che ha sostenuto il Sì renziano al referendum costituzionale (che prevedeva un riaccentramento di poteri dalle regioni allo Stato) e il Sì maroniano al referendum regionale (che richiede il contrario).

Tuttavia anche il fronte del NO, che per il fatidico 4 dicembre aveva espresso figure autorevoli e critiche argomentate, si è poi perso nella proposta: alla risoluta conferma del Titolo V° non è seguito un coerente progetto attuativo. Tutta l’attenzione si è deviata sulla legge elettorale e ancora una volta ha prevalso la logica del “chi sta con chi” a scapito del “per fare che cosa” – salvo la tardiva e strumentale scoperta dei “contenuti”. La ritirata dei volonterosi civici del Brancaccio ne è la poco incoraggiante conferma.

Così, al di sotto del livello regionale nel quale resta l’ambiguità delle materie “concorrenti”, enti locali e intermedi rimangono in balia della legge Delrio. Il modesto tentativo di applicare qualche correzione col Progetto di Legge di Daniela Gasparini e altri (4357 del 9 marzo 2017) non pare sortire effetti in questo finale di legislatura. In realtà tale proposta si muove nell’alveo della legge che vorrebbe modificare, senza metterne in discussione l’impianto traballante che non ha retto alla prova dei fatti.

Rimane così in piedi (si fa per dire) un sistema pletorico e inefficace: 93 province e 14 città metropolitane allorché la prima cifra potrebbe essere dimezzata e la seconda ridotta a 3 o 4. L’autonomia reale resta in capo ad un eccesso di Comuni disomogenei per natura e dimensione – l’accorpamento per unioni e fusioni affidato a un improbabile “fai da te” – mentre i grandi capoluoghi lesinano sul proprio decentramento spesso ridotto a paravento di una formale “partecipazione”.

Lo jus aedificandi deregolato e combinato a interessi privati viene usato dai Comuni che ne sono pressoché esclusivi titolari come zecca per fare cassa, spesso a scapito reciproco e incuranti degli effetti sul contesto più ampio. Il disordine urbanistico complessivo induce un tributo occulto in termini di salute dei cittadini e tempo di vita dei pendolari perso in code e mezzi pubblici a singhiozzo. Un razionale governo di territorio, mobilità e risorse ambientali è impedito, stante l’impotenza di enti sovra-comunali fittizi, ridotti a giocare con fantastici Piani strategici privi di efficacia.

Il “modello Milano” purtroppo non depone in favore di un’inversione di tendenza. Centralizzazione euforica nella città capoluogo (scalogna a parte), particolarismo dei comuni medi e piccoli circostanti, fragilità della neo-istituzione metropolitana, distacco delle mini-province limitrofe oppongono – in assenza di una visuale politica complessiva – una tenace resistenza al cambiamento.

Valentino Ballabio



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