24 ottobre 2017

ALLORA: DIAMO A CESARA QUEL CHE È DI CESARA!

Le parole devono seguire la realtà


C’è un rapporto inscindibile tra linguaggio e realtà che fa di ogni parola che utilizziamo la chiave di volta delle nostre convinzioni e della nostra mentalità: agire sull’espressione significa, quindi, cercare di scardinarne l’obsoleta struttura che l’ha supportata fino a oggi.Funzioni e professioni che per anni sono state svolte solo da uomini oggi sono rivestite da uomini e donne, e se ancora non viviamo in una società che dà pari opportunità ai generi, è importante che anche il linguaggio che usiamo esprima la trasformazione della nostra realtà.

06demarchi35FBUn passo rilevante in questa direzione, lo ha fatto il Consiglio Comunale di Milano approvando nella seduta del 25 settembre scorso (senza i voti della Lega Nord che ha i consiglieri troppo impegnati ad occuparsi del dialetto) un cambiamento radicale che rivoluzionerà anche il pensiero approvando una mozione sull’Uso del linguaggio di genere negli atti del Comune di Milano.

Al linguaggio viene assegnato un ruolo fondamentale nella costruzione della realtà e dell’identità di genere, femminile e maschile, è un tema di forma e di sostanza. Sono ancora forti le resistenze di tipo culturale, più che linguistico, nell’utilizzare la forma femminile di alcuni termini e la resistenza si avverte specialmente a livello politico ed economico. Eppure sono chiare le indicazioni dell’Accademia della Crusca, che ha spiegato come l’utilizzo dei termini al femminile sia corretto e necessario dal punto di vista della lingua italiana, e quelle dell’Istituto di teoria e tecniche dell’informazione giuridica (Ittig, CNR) che ha elaborato una guida alla redazione degli atti amministrativi con paragrafi specifici dedicati alla scelta di un linguaggio rispettoso dell’identità di genere nella comunicazione istituzionale.

È stato un percorso lungo e non semplice, ad esempio, il far comprendere che l’essere consigliera è diverso dall’essere consigliere. I Paesi più evoluti hanno posto il problema dell’adeguamento del lessico e del linguaggio della comunicazione alla posizione della donna nella società. È un problema di mentalità e di cultura. La lingua non descrive solo ciò che esiste, ma spesso contribuisce a rafforzare vecchi e nuovi stereotipi culturali, fotografa, infatti, la cultura della nostra società. Questo è il motivo principale per cui un’amministrazione che ragiona sul linguaggio dei propri atti aiuta la riflessione sulle diseguaglianze di genere, ancora presenti nel nostro tessuto sociale e ne può favorire il superamento.

Noi dobbiamo intervenire in tutti gli ambiti della disparità ancora diffusi nel nostro paese, e dietro a battaglie sostanziali , anche le parole sono preziose per affermare modelli educativi e di comportamento che sappiano far comunicare tra loro tutte le differenze, quelle tra uomini e donne innanzitutto. Questi modelli devono essere sperimentati in primis dalle istituzioni e l’uso del genere nel linguaggio amministrativo rappresenta una buona base di partenza.

Dobbiamo avere il coraggio di utilizzare anche parole nuove, ancora troppo poco diffuse, senza spaventarsi ai suoni desueti, affinché il nostro lessico non continui a usare il maschile come se fosse neutro, esprimendo così un pregiudizio non ancora superato che dimostra quanto la cultura fatichi ad attraversare la necessaria trasformazione continuando a veicolare contenuti che legano le donne ai ruoli tradizionali.

Ormai la crescita delle donne in professioni e carriere un tempo considerate maschili è evidente, occupano ruoli decisivi in politica, nelle istituzioni e nel mondo del lavoro: chiamiamole con il loro nome. Eppure il linguaggio è ancora usato in modo discriminatorio e questo dimostra che il nostro lessico continua a “riconoscere” in modo parziale la donna e il suo percorso di studio, di lavoro, di affermazione sociale, e insiste per cristallizzarla in un ruolo ben definito, di fatto di subordinazione.

Certe forme di linguaggio sono ancora discriminatorie per le donne, perché tendono a nascondere la loro presenza o a farla apparire come eccezionale. Come testimoniato anche dagli studi del linguista Norman Fairclough sappiamo che esiste uno stretto legame tra l’uso del linguaggio e la disparità sociale di potere ed è per questo che abbiamo votato una comunicazione pubblica che non ostacoli il ruolo della donna nell’ordine familiare e sociale.

Spesso, purtroppo, assistiamo ancora a insulti e prevaricazioni, le cui conseguenze non sono solo dolore e danni fisici, ma anche disagi psicologici che richiedono un sostegno sociale, culturale e istituzionale, una sorta di rieducazione della mentalità e del senso civico. Continuare a lavorare per una modifica del linguaggio che riconosca alla donna una dimensione autonoma, significa, di conseguenza, anche lottare – e concretamente – per la sua libertà di essere.

Cambiare il vocabolario negli atti pubblici è, infatti, un chiaro messaggio che l’Amministrazione dà alla sua struttura e a tutta la società riconoscendo lo status di piena dignità alle donne. Inoltre la nostra mozione chiede di inserire nei piani di formazione del Comune di Milano l’uso del linguaggio di genere nel rispetto della lingua italiana e anche questo passaggio può essere di sostegno al raggiungimento del cambiamento culturale necessario.

Questo nostro lavoro ha certamente aperto una strada, ma i diritti, purtroppo, non sono mai acquisiti in maniera definitiva. È il momento in cui dobbiamo vigilare di più, perché la fase che stiamo vivendo è piuttosto complessa e ancora ricca di abusi troppo spesso camuffati.

Tornando a casa, dopo il riconoscimento del nostro “femminile”, ho pensato alle mie piccole nipoti che daranno per acquisito, così come noi abbiamo fatto con le numerose importanti conquiste che tanto sono costate alle nostre ave, anche questo superamento delle diseguaglianze che darà loro un’ulteriore tessera del mosaico per andare avanti a testa alta.

Diana De Marchi
Presidente commissione Pari Opportunità Comune Milano



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