24 ottobre 2017

ACCORDO DI PROGRAMMA: UNA QUESTIONE DI CIVILTÀ URBANA

Pensare nuove norme al di là dei tecnicismi per il recupero degli ex Scali Ferroviari


L’Accordo di Programma appena approvato attribuisce a FS Sistemi Urbani l’iniziativa dei masterplan Farini e Romana, al fondo associato Olimpia solo quello di Farini. I masterplan sono “orientativi”, hanno bisogno di una traduzione esecutiva, ovviamente ancora affidata ai partner economici, e saranno eseguiti dagli acquirenti i volumi, che stranamente realizzeranno pro quota le opere di superamento della ferrovia (art. 20\f.). FS Sistemi Urbani realizzerà invece l’urbanizzazione primaria. (art 20\d.)

09bacigalupo35FBIl Comune con la sua Delibera 44/2016 del 14 novembre 2016 e dalla Mozione C.C. 15 giugno 2017 riassunta nell’Accordo di Programma nelle Premesse 43i) ritiene necessaria una regia del processo edificatorio ma nei fatti non la assume, demandandola al Collegio di Vigilanza (CdV, art. 23), in cui quattro partners economici fronteggiano i due pubblici e politici, Regione e Comune.

Gli amplissimi poteri del Collegio di Vigilanza vanno dal promuovere e fare, al disfare, e prorogare, nel caso che qualsiasi difficoltà imprevista si frapponga al percorso ipotizzato. Il Collegio di Vigilanza dirimerà all’unanimità ogni controversia, fino a comminare eventuali sanzioni al Partner inadempiente e danneggiante gli altri, che anche lui sarà sicuramente d’accordo. Siamo ampiamente nel ridicolo. Una così forte concentrazione di potere corrisponde al sostanziale ritiro dall’iniziativa della parte politica, presente solo a sorvegliare, ma col tacito patto di non creare difficoltà ai partners economici.

Le conseguenze ambientali sono preoccupanti. Si discuterà su masterplan che non sono strumenti urbanistici esecutivi, (piani troppo tecnici, evidentemente ritenuti incomprensibili al pubblico), con alto rischio di una progettazione seducente e destinata al consenso, cercando quindi di ripercorrere un percorso già visto.

Nei fatti l’interesse reale è a vendere volumi a prescindere dal come, quindi secondo le richieste al botteghino, e i tempi di arrivo dei clienti. Gli arrosti si vendono a pezzo, ma il salame si affetta senza problemi. Meglio dunque il flessibile salame, cioè la previsione di volumi edilizi non scanditi e identitari, ma una pasta “stradale” omogenea, frazionabile a piacere, secondo la richiesta del momento. Magari omogenea anche come progettista, più economico e conveniente quanto più realizza, sia in termini di studio urbanistico esecutivo che di volume edilizio. Favoriti quindi i grandi studi e i soliti pochi. Risultato ambientale: Berlin, Stalinallee, meglio, se preferite Bicocca, Gregottiland.

La pietanza si presenta molto indigesta; ma salvo l’Accordo di Programma adottato, potrebbe migliorare? Infatti la possibilità di invalidare o di correggere l’accordo firmato incontrerebbe sicuramente un muro di fortissima opposizione politico economica, e tempi così lunghi da incappare in nuovi atti approvati, magari con costruzioni iniziate nel frattempo.

L’Accordo di Programma ha norme urbanistiche scarne, di processo quasi assenti. Queste sono ancora largamente da precisare e sia la cittadinanza sia la politica milanese qualche richiesta a garanzia della qualità ambientale ed edilizia potrebbero ancora avanzarla. La comunità dei progettisti, ingegneri e architetti, potrebbe chiedere attraverso i propri Ordini di insistere per fissare un limite ai volumi progettati da un singolo studio o associazione di professionisti, ottenendo sia la moltiplicazione dei benefici economici tra gli iscritti, sia una sperimentazione e immagine edilizia e dell’ambiente futuro più variegata e interessante. Si è già fatto; il QT8 deve la sua qualità all’impianto urbanistico, ma anche al numero dei suoi progettisti. Anche Venezia, anche ogni città storica.

Sempre i progettisti potrebbero ribellarsi all’idea di vincere un concorso di masterplan destinato a essere tradotto da terzi, magari anche snaturato. I masterplan dovrebbero essere quindi approvabili come piani urbanistici esecutivi unitari, corredati delle norme edilizie e di processo atte a garantire la necessaria qualità e flessibilità progettuale e cantieristica; ne guadagnerebbe anche la velocità amministrativa ed esecutiva, potrebbe piacere anche a FS.

Se i singoli o i gruppi di volumi saranno realizzati da iniziative unitarie di dimensione e forme variabili, lo spazio pubblico invece dovrebbe avere caratteristiche omogenee in ogni sua componente: verde, pavimentazioni, illuminazione, arredo. È quindi giustamente prevista la sua esecuzione unitaria, ma deve risultare coordinata con l’avanzamento dei cantieri edili, essendo pagata pro quota da questi, in modo da presentare agli utenti acquirenti finali un ambiente completamente finito.

Ne deriva sia la necessità di una attenta regia e programmazione delle diverse iniziative, sia la constatazione che l’immagine urbana degli spazi futuri va affidata a ciò che è progettualmente definito e non modificabile, cioè lo spazio pubblico, con la necessità di una sua forte identità.

Il masterplan deve definire un insieme articolato di vuoti garantiti nella loro forma, finitura, funzione. Non è un prodotto artistico totale, che blocca completamente tutti i volumi da riempire solo tecnologicamente, che svilisce il progetto architettonico e blocca l’evoluzione di bisogni e tecnologie. Può imporre altezze, allineamenti, capisaldi necessari per lo spazio pubblico, ma deve sempre garantire la libertà progettuale degli altri parametri; è quindi costituito da un insieme di planimetrie e di norme sia edilizie sia di processo costruttivo sia di ripartizione degli oneri.

Sembra inoltre raggiungibile il risultato di quartieri totalmente pedonali e ciclabili al PT (salvo l’accesso di emergenza ed il controllo di PS), ma va scritto e normato chiaramente, prevedendo ogni accesso veicolare, carico e scarico e parcheggio all’interrato. Non mi sembra difficile prevedere anche un’alta percentuale di portici al PT, riservando gli spazi chiusi o chiudibili ad attività interessate ad insediarsi; ma sono altre norme.

Temo invece che il verde pubblico finisca tutto in parchi compatti, facilmente allungati data la presenza/disturbo della ferrovia da allontanare dall’edificato. Penso che se invece una quota significativa del verde, come servizi sportivi o di gioco compatibili con la residenza, venisse accettata nello spazio pubblico pedonale, avremmo il risultato di spazi pubblici fortemente identitari e innovativi, non generici, o peggio con caratterizzazioni formali forzate, come spesso avviene nei quartieri moderni.

Le conseguenze sociali, di tempo libero e di caratterizzazione degli spazi pubblici pedonali, con la presenza di attrezzature sportive e ludiche collocate nel verde costantemente fruibile penso siano determinanti a riempire di vita e significato gli spazi della città appena costruita, e siano la scelta determinante per la formazione di spazi urbani nuovi, coinvolgenti i cittadini anche nella gestione degli stessi. Sono altre norme da scrivere.

Se la comunità professionale e accademica ha a cuore il futuro della città assieme alla qualità di questa importante realizzazione dovrebbe mettersi a lavorare sulle norme e a proporle; il mondo politico e imprenditoriale dovrebbe accogliere favorevolmente l’aiuto al successo di un impresa non solo economica, ma anche di civiltà urbana.

Claudio Bacigalupo



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